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La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 14 compagni, è cominciata discutendo delle possibili riconversioni dell'industria automobilistica. E' assai probabile che l'ormai superato picco del petrolio porti l'estrazione del combustibile fossile a costi insostenibili, e questo, insieme alla crisi del settore dell'auto afflitto da sovrapproduzione cronica, sta spingendo i grandi gruppi industriali, energetici e finanziari, ad investire massicciamente in un nuovo mercato: quello della propulsione elettrica.

Il vetusto motore a scoppio è caratterizzato da una bassissima resa termodinamica e in buona sostanza dissipa il 70% dell'energia contenuta nella benzina o nel gasolio. Il motivo per cui ancora è utilizzato è dovuto solo al fatto che, nonostante sia un mostro dissipativo colpevole per il 13% delle emissioni di gas derivate dall'attività umana, fa parte di un ciclo produttivo così enorme e così compenetrato nella società del Capitale che oppone una inerzia tremenda al cambiamento. Oltretutto per la maggior parte del tempo le automobili stanno ferme come se fossero ferraglia buttata in mezzo alle strade. Le forme di produzione e accumulo di energia per i motori elettrici sono sostanzialmente due. La prima utilizza l'idrogeno per il processo elettrochimico generante energia nelle cosiddette fuel cell; l'altra appositi pacchi di batterie di vario tipo che accumulano l'energia elettrica immessa dalle comuni prese di corrente o da apposite colonnine di rifornimento. Le batterie più comuni sono quelle a ioni di litio, ma si stanno studiando dei modelli ad altissima capacità di accumulazione e velocità di ricarica a base di nanostrutture di carbonio.

Ma produrre automezzi a "emissioni zero", termine di gran moda oggi, non risolverebbe il problema visto che l'energia necessaria a farli muovere proverrebbe da centrali termoelettriche; semplicemente lo si sposterebbe dai tubi di scappamento alle ciminiere. Il vero nodo della "questione" è un altro. Se non si risolve alla radice l'abnorme concentrazione di esseri umani stipati in metropoli, attratti là dove il Capitale si concentra, nelle fabbriche, nelle banche, negli uffici, non si potrà nemmeno porre un freno al caotico traffico cittadino ed extraurbano.

Pubblicato in Teleriunioni luglio 2014

La teleriunione di martedì sera, presenti 17 compagni, è iniziata con una breve relazione sulla #MillionMaskMarch, la giornata di protesta globale lanciata per il 5 novembre da Anonymous International. Numerosi i paesi coinvolti: Turchia, Australia, Usa, Malesia, Canada, Thailandia, Armenia, Italia e tanti altri, dove i flashmob sono stati declinati secondo le peculiarità locali. L'iniziativa è riuscita grazie ad un intenso lavorio organizzativo avvenuto, prima e dopo la protesta, sui social network, e ha avuto un respiro globale.

Le foto arrivate dalle piazze mostrano cartelli scritti a pennarello con slogan contro il potere. Le motivazioni delle manifestazioni ci interessano relativamente, molto di più invece ci interessa il contesto in cui queste si svolgono: l'organizzazione territoriale connessa a una rete ormai mondiale annuncia i caratteri della rivolta futura e anticipa l'estinzione di una pratica rivendicativa compatibile col sistema.

Alla teleconferenza di martedì sera hanno partecipato 12 compagni.

Abbiamo iniziato commentando "The Venus Project": presentato con un filmato su YouTube (Paradise or Oblivion) dal fondatore Jacque Fresco, il progetto descrive una società futura cibernetica, completamente razionalizzata, basata sulla soddisfazione dei bisogni umani e ambientali senza il vincolo del denaro e dello scambio. Quel che risulta interessante – come ci scrive un corrispondente – è che, nonostante qualche parola ingenua di troppo, questo progetto è impregnato di comunismo assai più di quanto il suo fondatore non sia disposto ad ammettere.

Pubblicato in Teleriunioni maggio 2013

Uno degli ultimi post pubblicati sul sito di OWS intitolato Occupy Wall Street, Not Palestine (è stato rimosso!) affronta in modo interessante l'attuale conflitto israelo-palestinese. Le guerre, dicono gli occupiers, sono frutto degli interessi dell'1% e bisogna rivoltarsi contro il nemico interno: bisogna prendersela con la propria classe dirigente evitando la guerra tra poveri. Nel suddetto post si riportava pure il "Manifesto dei giovani di Gaza", scritto l'anno scorso sull'onda della Primavera araba.

Nella east coast americana dopo Sandy c'è stata una bufera di neve e quindi altri danni. Lo Stato è andato in tilt, soprattutto a New York, dove in migliaia vivono in roulotte e tende organizzati male. Le strutture di Occupy al contrario funzionano bene e sono ormai permanenti, supplendo al ruolo delle pubbliche autorità. Ultimamente si è verificata una curiosa alleanza tra alcune Unions e Occupy Wall Street. Tale alleanza si è verificata sia sul terreno della piattaforma di mutuo soccorso Occupy Sandy che per l'agitazione dei dipendenti ultra-precari della Walmart.

Pubblicato in Teleriunioni 2012

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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