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  • Sabato, 08 Maggio 2021

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  • Resoconto teleriunione  4 maggio 2021

Gli scenari prossimi futuri

Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo espresso alcune considerazioni riguardo l'importanza della previsione per i comunisti. Il tema è stato proposto in conclusione del precedente incontro e riguarda nello specifico la possibilità di poter individuare i paesi e le aree geografiche maggiormente esposte ad esplosioni di carattere sociale.

La previsione è indispensabile per elaborare e portare a compimento azioni di qualsiasi genere e dimensione, all'interno di piccoli o grandi sistemi; e la sua scientificità non è inficiata dal fatto che essa venga confermata o meno da quanto avviene in seguito. Per esempio, negli anni '50 la nostra corrente criticò l'approccio della borghesia alla questione spaziale, sostenendo che in quella maniera l'uomo non sarebbe riuscito ad andare sulla Luna. Quando invece questo avvenne, alcuni cascarono nell'errore di considerare errata la validità delle osservazioni fatte: quanto previsto non era sbagliato ma non si realizzò perché nel frattempo qualcosa era cambiato, cioè erano intervenute delle modifiche che permisero la cosiddetta conquista dello spazio. Riguardo all'argomento abbiamo pubblicato il volume Scienza e rivoluzione, a cui rimandiamo per l'approfondimento.

Per il rivoluzionario la previsione è fondamentale perché egli non può permettersi di non cogliere in anticipo il verificarsi di eventi cruciali. Questo è sempre stato l'approccio della Sinistra Comunista "italiana", e parimenti è il nostro: partiamo dall'analisi delle condizioni massime per arrivare a quella delle condizioni minime, e non adottiamo criteri continui graduali per il cambiamento sociale. Nel nostro lavoro cerchiamo di evitare i luoghi comuni e le parole del vocabolario dell'ultima rivoluzione, perché sono elementi di una rivoluzione sì grandiosa (e per questo motivo ha influito pesantemente sul linguaggio) ma fallita. La langue de bois terzinternazionalista non rappresenta più nulla e spesso viene usata per celare l'insipienza dal punto di vista della teoria.

Durante la scorsa teleriunione è stata posta la seguente domanda: "Si sta determinando una modificazione profonda del capitale globale sia di tipo quantitativo che qualitativo con un'accelerazione della concentrazione e della centralizzazione del capitale e un aumento dello sfruttamento, con aree geografiche che prevalgono e altre che vengono sconfitte. Bisognerebbe quindi cercare di prevedere gli scenari prossimi futuri distinguendo le aree geografiche. Ad esempio: l'Italia e l'Europa del sud entreranno in declino rispetto a Germania e Cina? In quali aree industrializzate dobbiamo aspettarci una crisi economica e quindi sociale ancora più profonda?"

E' corretto parlare di aumento dello sfruttamento? Sì, perché in effetti oggi la giornata lavorativa media di un salariato vede la parte di plusvalore enormemente maggiore rispetto a quella dedicata al lavoro necessario. La forza lavoro mette in moto sempre più capitale, e ciò determina una situazione paradossale nella quale all'aumento dell'efficienza produttiva corrisponde una caduta repentina del saggio di profitto. Il capitalista, giunto a questo punto, non riesce più a limitare i danni e finisce per accontentarsi della massa di plusvalore in luogo del saggio di profitto. E' proprio questo processo intrinseco al modo di produzione capitalista che porta Marx ad affermare la morte potenziale del sistema capitalistico. Successivamente, tale concetto verrà ripreso dalla nostra corrente nel testo Scienza economica marxista come programma rivoluzionario.

Quindi storicamente lo sfruttamento aumenta, ma per i capitalisti è sempre più difficile realizzare il profitto. Come scritto in Proprietà e Capitale, siamo arrivati al punto in cui il capitale fa a meno dei capitalisti e quest'ultimi fanno a meno del capitale, utilizzando tutte le leve finanziarie e creditizie possibili e imparando a fare affari senza avere proprietà. Si aprono fabbriche automatizzate, nelle quali spiccano l'assenza della forza lavoro e la presenza preponderante del capitale costante.

Per rispondere alla domanda riportata sopra dobbiamo quindi considerare che l'aumento dello sfruttamento è soggetto ad una freccia del tempo, ma anche che il capitalismo ha uno sviluppo differenziato. Facciamo un esempio. Il mercato estero cinese registra punte di rendimento che i paesi di "vecchia generazione" come l'Inghilterra faticano a raggiungere. L'approccio della Cina nei confronti delle aree limitrofe o lontane su cui esercita influenza è diverso rispetto ai paesi a vecchio capitalismo. In questo periodo di crisi sistemica, ulteriormente aggravata dalla pandemia, mentre il resto del pianeta calcola i punti di percentuale persi sul Pil per decidere il da farsi, la Cina registra una crescita a fine 2020 del 6,5%, e del 18,3% nel primo trimestre del 2021. Nel capitalismo esistono quindi aree di sviluppo differenziato e, dal punto di vista materialistico, il potenziale dirompente per quanto riguarda l'assetto sociale di un paese è legato al grado di maturità raggiunto dal capitalismo, e in ultima istanza dal saggio di profitto.

A che punto si trova il mondo nel suo complesso? Nel nostro testo La crisi storica del capitalismo senile del 1984 si compie un'indagine sul grado di maturità del capitalismo, che conferma quanto sostenuto da Marx e poi dalla Sinistra Comunista riguardo la fine dell'attuale modo di produzione. Al di là della scala di riferimento e della velocità della dinamica, tutte le curve ottenute dai diagrammi di sviluppo dei paesi industriali e del capitalismo nel suo complesso presentano la forma a sigmoide, e cioè un tracciato che individua dapprima una crescita esponenziale, poi un punto di flesso e infine un cambio di direzione e lo stabilirsi di una crescita asintotica. Questo tipo di curva si manifesta in tutti gli organismi viventi, i quali seguono un percorso di nascita, sviluppo e morte (auxologia). E' un processo irreversibile e significa che non ci sono più primavere possibili per il Capitale.

Tornando alla nostra domanda, possiamo quindi dire che oltre all'aumento dello sfruttamento, condizionato così come abbiamo detto, abbiamo un capitalismo con saggi decrescenti di sviluppo. Per reagire a questa situazione, il sistema mette in atto delle controtendenze che però non fanno altro che spostare in avanti nel tempo i problemi, per giunta innalzandoli ad un livello superiore. Un esempio è rappresentato dalla Germania del 1989, che in seguito alla caduta del muro di Berlino inglobò nelle proprie fila un'enorme quantità di manodopera a basso prezzo. A quel tempo, i cantieri del paese, contrariamente a ciò che si poteva vedere per esempio in Italia, brulicavano di operai. Ma l'effetto di questa sorta di downgrade del capitalismo tedesco, che per un certo periodo riuscì ad abbattere le proprie potenzialità storiche, durò poco e in Germania, così come altrove, si presentò il problema dell'aumento relativo della miseria del proletariato.

All'inizio degli anni '70 del secolo scorso ha inizio una profonda crisi che porta ad importanti trasformazioni nei rapporti capitalistici. Il sistema reagisce alle difficoltà di valorizzazione sviluppando capitale fittizio, "finanziarizzando" l'economia. Nel 2008 il sistema va in crash. Intervengono quindi dei fattori molto importanti nella valutazione del futuro, che ci dicono che le maggiori tensioni sociali dovrebbero scoppiare laddove sussistono le maggiori difficoltà nella produzione e nella realizzazione del valore. Negli ultimi decenni la Cina ha messo in campo 800 milioni di nuovi proletari, mentre l'Europa ne ha persi 35 (le cifre sono approssimative, ma vista l'entità non è importante). E' oramai un luogo comune affermare che sono spariti gli operai, le tute blu, ma tra India e Cina sono stati creati almeno un miliardo di nuovi proletari. E non è un caso che proprio quest'ultima abbia visto un numero crescente di rivolte (secondo l'agenzia di stampa AsiaNews, decine di migliaia negli ultimi anni).

Siamo dunque giunti a delineare la base necessaria per fare una previsione. Qualcosa stride con la "normale" concezione dei processi rivoluzionari. Spesso si dice che una rivoluzione comincia quando la popolazione non ce la fa più a vivere, quando è stressata, quando viene schiavizzata, ma questo metro di misura è sbagliato perché l'umanità ha dimostrato di poter sopportare grandissime sofferenze senza far nulla per cambiare le cose. In "Fiorite primavere del Capitale" (1953) si dice che se guardiamo alle rivoluzioni del passato, troveremo una significativa differenza tra la storiografia e ciò che è realmente successo in quei momenti storici. La rivoluzione non è un fatto automatico che avviene quando si superano determinati parametri (povertà, disoccupazione, ecc.), essa potrebbe partire da un centro dove il malessere sociale è limitato e le popolazioni beneficiano dello sfruttamento di altre popolazioni.

La prova l'abbiamo avuta nel 2011 quando, sull'onda della Primavera araba e delle "acampadas" in Spagna, negli Stati Uniti è nato il movimento Occupy Wall Street. I cartelli innalzati dai manifestanti americani apparivano diversi da quelli visti in altre parti del mondo. Abbiamo dato importanza a quel movimento perché esso non esprimeva rivendicazioni sindacali o politiche, e rifuggiva i tavoli delle trattative e la prassi rivendicativa. Migliaia di persone sono scese in piazza rompendo gli schemi a cui eravamo abituati, infrangendo le abitudini ricorrenti in questo tipo di contesti, e affermando che un altro mondo è possibile, qui e ora.

Il pianeta è sempre più piccolo, ingabbiato da un Capitale che cerca di intervenire a tutti i livelli per valorizzarsi facendo ampio uso di robot e computer al posto degli umani, e che è giunto al punto, nei paesi a capitalismo avanzato, di dover mantenere le popolazioni immiserite per evitare rivolte e sostenerne i consumi.

Abbiamo concluso la teleconferenza accennando alla crisi dei semiconduttori, al ritorno in piazza della folla in Myanmar, allo scoppio della rivolta in Colombia, e alle frequenti violazioni del coprifuoco in Italia.

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