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  • Resoconto teleriunione  30 aprile 2024

Capitale destinato ad essere cancellato

La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.

Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.

Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.

Secondo La Stampa, il debito pubblico degli USA "supera per la prima volta i 34 trilioni di dollari", e anche il deficit di bilancio aumenta a dismisura. Nella puntata sul canale YouTube di Limes dedicata all'articolo "Pagare è comandare" (in Limes 3/24 - "Mal d'America"), si afferma che tutto è strettamente connesso: la situazione dell'industria degli USA non è più quella del Secondo Dopoguerra, motivo per cui la crescita del debito e i mutati equilibri geopolitici globali compromettono il potere del dollaro. Il debito americano, per la cui gestione vanno puntualmente in crisi gli organi governativi, è fuori controllo; l'enorme indebitamento (dello stato centrale, degli stati federati e dei singoli cittadini) lega tutti quanti ad una immensa bolla, in primis i paesi creditori, come Cina, Giappone, Corea del Sud ed Europa, anche per il fatto che il dollaro è ancora la moneta di riferimento del mondo capitalistico. Gli USA godono di questa posizione di rentier globale ma tale situazione non può durare a lungo ("Pechino fa la guerra al dollaro a colpi di accordi di swap", Il Sole 24 Ore). Il problema si presenterà quando verrà messa in discussione la loro egemonia, il loro ruolo di sbirro globale. Se il potere americano si indebolirà, come già visto con la ritirata in tutta fretta dall'Afghanistan, la sconfitta in Ucraina, il caos in Medioriente e le tensioni interne, l'ordine internazionale su di esso fondato crollerà.

Diverse dinamiche si stanno intersecando. Nella stabilità americana conta molto, ad esempio, l'evolversi della situazione in determinati teatri di guerra. Nel testo La grande catastrofe. Dieci minacce per il nostro futuro e le strategie per sopravvivere, l'economista Nouriel Roubini individua tutta una serie di sfide con cui deve fare i conti il capitalismo: economia, finanzia, tecnologia, politica, geopolitica, sanità e ambiente. Queste "megaminacce" interagiscono tra di loro e si amplificano a vicenda.

I derivati non hanno un loro valore, ma derivano, appunto, da prodotti finanziari esistenti che devono agganciarsi alla produzione di nuovo valore. Alcuni storici sostengono che alcune tavolette del Codice di Eshnunna e una legge del Codice di Hammurabi sono la prova che gli antichi mesopotamici conoscevano l'equivalente dei moderni derivati. Nella società antica, se si accumulavano debiti, li si pagava in lavoro, e in molti casi il debitore insolvente era ridotto in schiavitù ("Dimenticare Babilonia"). Leggi semplici stanno alla base di leggi complesse. La rimessione odierna dei debiti non sarà possibile perché nessuno è in grado di pagare questo giga-debito globale, che si potrà solo cancellare. Ma questo nel frattempo è diventato parte integrante dell'economia mondiale, viene scambiato e venduto, e la sua crescita va di pari passo con le vendite dilazionate nel tempo, l'utilizzo della merce in leasing, ecc.

La storia dimostra che ogni tanto il debito va cancellato, ma questo è un problema per il creditore e non solo. Il sistema è interconnesso: esso sta in piedi perché i salariati producono plusvalore e, sulla prospettiva che se ne produca di nuovo, vengono fatti debiti e crediti. Se si sviluppano mobilitazioni che scuotono la società, anche tale prospettiva viene meno. La variabile "lotta di classe" può dunque accelerare il crollo del capitalismo.

Negli USA sono decine i campus universitari che vedono occupazioni contro la guerra a Gaza; gli studenti si sono collegati idealmente con le proteste del '68 contro la guerra in Vietnam. Mobilitazioni simili sono in corso anche in Giappone, Canada, Francia, Germania e Italia. Frequentare l'università negli Stati Uniti richiede una spesa considerevole, chi è iscritto alla Columbia University, ad esempio, deve sborsare fino a 50-60 mila dollari l'anno. Non tutti se lo possono permettere e molti lo possono fare solamente attingendo al sistema del debito (quello degli studenti americani ammonta al 10% dell'economia, circa 1.600 miliardi di dollari).

In Israele sono ripartite le manifestazioni contro il governo Netanyahu. Le proteste sono iniziate prima della guerra ed allora si concentravano contro la riforma della giustizia che avrebbe dato maggiore potere all'esecutivo. In seguito agli attacchi del 7 ottobre, la società israeliana si è compattata contro Hamas, ma ora cominciano a riemergere le preesistenti fratture: anche se non sono dichiaratamente contro la guerra, le manifestazioni avvengono in un paese che combatte su almeno tre fronti, la Striscia di Gaza, il Libano e l'Iran, e che ha una diseguaglianza di redditi tra le più alte al mondo (indice Gini). Dietro la facciata delle mobilitazioni (quelle dell'anno scorso sono state le più grandi mai avvenute in Israele) c'è una situazione materiale di malessere sociale. Gli stessi apparati repressivi statali (polizia ed esercito) sono stati attraversati da questa ondata di manifestazioni ed è molto probabile che Hamas abbia sfruttato lo sbandamento delle istituzioni per attaccare in profondità il "nemico sionista".

Un'altra chiave di lettura per comprendere quanto avviene in Israele e negli USA è data dall'articolo "Una vita senza senso". La società israeliana vive una condizione di profondo disagio data da un contesto di guerra perenne. Ricordiamo, con Marx, che la piccola borghesia è sempre stata la protagonista delle fasi iniziali delle rivoluzioni. Sicuramente nelle università americane serpeggia una cultura democratica basata sulla difesa dei diritti civili (ideologia Woke), e non si tratta certo di fare l'apologia di questa o quella manifestazione, di questo o quello slogan, ma di comprendere che la crescita del marasma sociale in America e altrove avviene in un contesto di guerra globale. Ciò che ci interessa misurare con il nostro detector è la temperatura della febbre sociale.

Il capitalismo ha l'encefalogramma piatto e la nostra corrente già settant'anni fa lo descriveva come un cadavere che ancora cammina. Oggi anche alcuni economisti borghesi arrivano a dire che il sistema capitalistico è praticamente morto e che è stata la finanza, così come funziona attualmente, ad averlo ucciso (Maurizio Novelli su Milano Finanza). I sommovimenti che si verificano a livello mondiale sono determinati dal livello raggiunto dalla forza produttiva sociale, da un mondo che si è disposto a rete, sulla cui infrastruttura tecnologica si è basato un movimento come Occupy Wall Street che, nei fatti, puntava a realizzare una società completamente diversa da quella esistente. Le motivazioni materiali che l'hanno fatto sorgere sono più attuali che mai: siamo il 99 per cento e non abbiamo niente, mentre l'altro 1% ha tutto.

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