Ogni nuova forza rivoluzionaria presente all'interno del vecchio modo di produzione tende a generare un ambiente contro, a dar vita a oasi rivoluzionarie. I primi cristiani, ad esempio, costituirono proprie comunità e, pur venendo perseguitati per secoli, riuscirono a resistere e consolidarsi; analogamente, i borghesi lottarono caparbiamente all'interno della forma sociale feudale, dotandosi di propri spazi fisici. Nei Manoscritti del 1844, Marx afferma che gli operai, riunendosi per risolvere problemi legati alle loro condizioni di vita e di lavoro, formano un ambiente e ciò che è un mezzo diventa un fine. Nell'articolo "Un programma: l'ambiente" (1913), i giovani socialisti ribadiscono la necessità di tagliare i ponti che li uniscono ad ambienti borghesi. Il partito rivoluzionario è un ambiente radicalmente diverso rispetto a quello esistente e si caratterizza per il rifiuto delle categorie dominanti (concorrenza, egoismo, leaderismo, ecc.).
Nell'articolo "I sedici giorni più belli" abbiamo analizzato lo sciopero dei precari della UPS del 1997. Da quell'esperienza emersero strutture e reti di contatti tra lavoratori che anticipavano le caratteristiche delle lotte a venire. Il fenomeno dell'organizzazione territoriale a rete si ripete e si allarga durante le rivolte nelle banlieue del 2005, in Francia, quando prende forza una rete spontanea enorme, un complesso sistema di relazioni in cui alcuni elementi diventano connettori ed altri hub ("Nous les zonards voyous"). Tale struttura reticolare, leggera, anonima e senza leader trova la sua massima manifestazione in Occupy Wall Street, nel 2011, con la formazione di organismo in cui l'informazione va "da e per" New York; Zuccotti Park preleva informazione da una società morente, cancella quella ritenuta inutile (democrazia, parlamentarismo, ecc.) e ne immette di nuova. OWS mette in luce il nesso tra le lotte immediate legate alle condizioni di vita (lavoro, casa, salario) ed il bisogno di nuovi rapporti sociali ("Occupy the World together").
L'articolo "Un modello dinamico di crisi" evidenzia con chiarezza il nostro metodo di lavoro: comprendere uno stato ignoto del sistema, partendo da uno stato noto e sulla base di regolarità (invarianti) riscontrate nel tempo.
Anche la borghesia si pone interrogativi riguardo il futuro della sua società, ma non riesce ad agire coerentemente con le conclusioni derivanti dai suoi stessi studi (Rapporto sui limiti dello sviluppo, Club di Roma) e continua a procedere verso il baratro. Il borghese illuminato avverte la necessità di un cambiamento, ma la sua ideologia si mischia al portafoglio. Al contrario, i comunisti non hanno nulla da rivendicare in questa società e traggono i loro compiti da quella futura.
Abbiamo riconosciuto il "movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" nello sciopero dell'UPS, nella rivolta delle banlieue, e in Occupy Wall Street, che non è diventato l'ennesimo partitino di sinistra, non si è integrato nel sistema, ma si è dissolto. Riconoscere la rivoluzione in marcia vuol dire riconoscere, allo stesso tempo, la controrivoluzione che dura da oltre un secolo. Il "movimento" Nuit Debout, ad esempio, pur adottando pratiche prese a prestito da Occupy, invece di voltare le spalle al parlamento tentò di riprodurlo nelle piazze ("#NuitDebout").
Come ci ha insegnato la Sinistra, procediamo nel lavoro per argomenti concatenati: che si parli di rivolte, di scioperi, di "vita senza senso" o di movimenti antiformisti, tutto è riconducibile ad un'unica causa: la profonda crisi della legge del valore ("Rivolta contro la legge del valore"). Non basta richiamarsi al comunismo o alla Sinistra Comunista "italiana" per essere in linea con il "movimento reale", il mondo è composto di infinite relazioni e perciò bisogna avere una visione d'insieme della società e del suo divenire. Il lavoro di Marx o lo si accetta in blocco oppure lo si rifiuta in blocco, e lo stesso vale per la Sinistra. Le mezze misure sono tipiche dell'opportunismo.
Come scritto in "Danza di fantocci: dalla coscienza alla cultura" (1953), la classe non è un qualcosa di statico, è una dinamica: essa si caratterizza come un movimento storico, una forza che da potenziale si trasforma in cinetica. La lotta di classe è permanente nel capitalismo, ma assume aspetti diversi a seconda della situazione generale. Partito, classe e rivoluzione sono un processo unico, che noi abbiamo bisogno di discretizzare al fine di conoscerlo. La società umana è parte integrante della natura e risponde alle medesime leggi. Infatti, nel contesto delle rivoluzioni, parliamo di terremoti, uragani o eruzioni sociali ("Orazione in morte della trinità Religione, Filosofia e Scienza").
Dazi, crolli borsistici, tensioni internazionali non dipendono dal governo borghese di turno, ma dalla crisi strutturale in cui il sistema è ormai intrappolato, una crisi che lo rende sempre meno controllabile.
Nel 1906 Werner Sombart, economista e sociologo tedesco, scrive un saggio dal titolo significativo: Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo?. Nel testo si riporta un'intervista ad un sindacalista americano dell'AFL, il quale affermava di non essere pregiudizialmente contrario al capitalismo, al sistema del lavoro salariato, a patto che questo migliorasse le condizioni di vita dei lavoratori; se, invece, tale sistema non funzionasse, era possibile cambiare radicalmente rotta. Per Sombart il socialismo non si radicò negli USA perché c'erano ancora spazi vergini da conquistare. Oggi, con la scomparsa di questi spazi, l'America è costretta a colonizzare la propria popolazione. Lo scontro di classe a venire non avrà le caratteristiche dei movimenti del secolo scorso, poichè le forze produttive si sono enormemente sviluppate. Sombart era un teorico del nazional-socialismo, non certo un comunista, ma era abbastanza lucido da delineare le cause che hanno impedito il sorgere del socialismo negli USA e quelle che contribuiranno a farlo emergere. Ogni rivoluzione trova nuovi attori, militi e stili, diversi rispetto alle rivoluzioni del passato ("Fiorite primavere del Capitale", 1953). Cambia anche il linguaggio, basti pensare a tutti quei termini completamente distorti dall'affermarsi della controrivoluzione.
I saggi Riot. Strike. Riot: The New Era of Uprisings (Joshua Clover) e If We Burn: The Mass Protest Decade and the Missing Revolution (Vincent Bevins) analizzano le mobilitazioni di massa degli ultimi anni, prevalentemente manifestatesi in aree urbane, attraverso occupazioni e blocchi, sull'onda di una crisi economica strutturale. In Riot. Strike. Riot, recensito sulla rivista, viene individuata la dinamica storica che dallo sciopero porta alla rivolta fino alle future comuni, le quali emergeranno laddove si sono esaurite le lotte nella produzione e nella distribuzione del valore. I borghesi più perspicaci arrivano ad intravedere alcuni aspetti della traiettoria capitalistica, ma essendo sprovvisti di una teoria non sanno che pesci pigliare. Ci sono, poi, gli apparati statali che cercano di indirizzare le masse attraverso l'opera di "agenti di influenza", ma superata una certa soglia, oltre la quale si entra nel campo delle transizioni di fase, questi diventano inefficaci.