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Una nuova teoria della popolazione?

Voi avete detto [il lettore si riferisce a una conferenza, ma l'abbiamo anche scritto. N.d.R.] che l'aumento della composizione organica del capitale, è collegata alla caduta tendenziale del saggio di profitto e alla formazione di una sovrappopolazione relativa permanente. Sono d'accordo, ma avete tracciato a mio avviso addirittura una nuova teoria della popolazione partendo dal fatto che non si tratterebbe del marxiano "esercito industriale di riserva" bensì di strati sociali ormai superflui, da mantenere in quanto esclusi per sempre dal ciclo produttivo. Questo proverebbe la difficoltà della continuazione del processo di valorizzazione a scala mondiale, e avete citato intere aree geografiche "abbandonate" o sfruttate brutalmente senza attenzione ai risvolti sociali, come l'Africa, l'America Latina, gran parte dell'Asia e persino aree all'interno del capitalismo sviluppato.

Abbiamo però constatato nelle ultime decadi lo sviluppo di tumultuoso capitalismo con ritmi di accumulazione da capitalismo vergine. Vedi Cina, Corea, Thailandia, ecc. A parte il gigante cinese, quando parliamo per esempio di Corea non si tratta di bruscolini, come giustamente avete rilevato, ma di un paese che ha dimensioni di popolazione di peso economico ed industriale rilevante. Certo, ciò comporta una dislocazione di equilibri ed una estensione perlomeno geografica delle contraddizioni; ma è un fatto reale che milioni di esseri umani siano entrati nel ciclo produttivo capitalistico e nei suoi contrasti. In Corea vi sono stati potenti movimenti sociali. Si può pensare che il capitalismo alla ricerca dell'elisir di lunga vita, miglioramento della composizione organica, si impianti in aree nuove e che nei paesi laddove è da secoli impiantato si crei una sovrappopolazione da mantenere; ma questa può essere solo la base di futuri scontri sociali anche proprio nelle aree di vecchio capitalismo. Sono forse solo piccoli esempi ma vedi in Francia le banlieues incontrollabili, la criminalizzazione dei minori, le scuole a rischio ecc., o negli Stati Uniti il crescere della violenza insieme all'omologazione beota e l'incarcerazione di quasi tre milioni di persone, più altrettante sotto controllo.

 

Non c'è bisogno di una nuova teoria della popolazione, bastano le osservazioni di Marx. Però la tua osservazione è stimolante. Quando l'economia conosceva crisi acute intervallate da periodi di boom altrettanto eclatanti, allora si poteva parlare di "riserva" di forza-lavoro, ma quando la curva della crescita storicamente si appiattisce, ecco che crisi e boom accorciano il loro ciclo di avvicendamento, e le oscillazioni nella produzione di nuovo valore si approssimano allo zero. Perciò la "riserva" s'ingrossa e diviene permanente. È Marx a coniare due termini distinti per questo fenomeno: "esercito industriale di riserva" e "sovrappopolazione relativa". Oggi vi è una crescita media del prodotto lordo mondiale del 2% all'anno, quasi pari all'aumento della popolazione, ma si può anche rilevare che le crisi comportano cadute nel prodotto lordo altrettanto modeste, quindi l'oscillazione generale assume la forma di un encefalogramma da comatosi. Perciò l'alta composizione organica non è compensata dalla controtendenza della ricerca di plusvalore assoluto (utilizzo di uomini invece di macchine, vedi p. es. i 250 milioni di bambini-lavoratori del Terzo Mondo). Engels, ne La legge inglese delle dieci ore (1850!), scrive: "I loro espedienti si esauriranno; il periodo di prosperità, che ancora divide una crisi dalla successiva, sparirà completamente sotto l’incalzare delle forze produttive sviluppatesi in modo abnorme; le crisi saranno separate solo da brevi periodi di piatta e sonnolenta attività industriale; l’industria, il commercio e l’intera società moderna saranno destinati a crollare, per eccesso di forza vitale inutilizzabile".

Sappiamo che la durata della forma capitalistica è stata notevolmente ampliata dalle "cause antagonistiche" alla caduta del saggio, una delle quali è, appunto, l'espansione del capitalismo moderno oltre i confini dei vecchi paesi imperialisti. Ora, è vero che ci sono le "tigri asiatiche", ma esse, come il Giappone qualche anno prima, hanno soltanto partecipato ad una più estesa divisione internazionale del lavoro, producendo in massima parte quel che gli altri non producevano più. Sono isole produttive in un mare paludoso di sopravvivenza. Come il Giappone, stanno avviandosi a produrre componenti e beni di alta tecnologia; molti capitalisti asiatici installano fabbriche direttamente sul suolo cinese, da dove partirà un ciclo simile a quello giapponese (ma con una popolazione di 1,3 miliardi di persone).

Alta produttività, bassi prezzi unitari per le merci, concorrenza: siamo alle "ossa dei tessitori indiani che imbiancano le pianure del Bengala" a causa delle cotonine inglesi, solo che adesso non c'è un centro imperialistico di produzione e finanza, ma solo un centro di controllo dell'una e dell'altra indipendentemente da quale radice territoriale abbiano. Persino le conserve "italiane" fanno chiudere fabbriche in Africa, ma le maggiori aziende alimentari sono state acquistate dagli americani (pasta, conserve, vino). Tutto ciò significa che, se è vero che continua lo sviluppo capitalistico, proprio per questo è vero che si ampliano le aree dove vi è non-sviluppo o addirittura regresso. In poche parole, se il Giappone langue da dieci anni, l'Argentina è invece al disastro, il Brasile sta seguendo a ruota e l'Europa deve adeguarsi alla concorrenza dei salari asiatici. Questa condizione non è un assoluto: "se" gli Stati Uniti riescono a coinvolgere il mondo in un piano mondiale di recupero (cioè sottometterlo a un piano Marshall durissimo), non è detto che il PIL mondiale rimanga asfittico, potrebbe esserci un risveglio temporaneo dell'economia. Ma abbiamo sottolineato a quali condizioni ciò potrebbe succedere: addio sovranità nazionali.

Bordiga utilizzava il termine "putrescenza" per definire il capitalismo maturo. La degenerazione storica dei rapporti capitalistici non è dunque una nostra invenzione: tutto il ciclo sul "corso del capitalismo" del vecchio partito è teso a dimostrare il saggio decrescente di sviluppo, cioè l'andamento asintotico della curva storica della massa del plusvalore prodotta. Di ciò esiste la dimostrazione numerica nelle cifre fornite dai borghesi, ed essi sono costretti, per rendere compatibili i dati fra paesi diversi, ad adottare il nostro sistema di conteggio del valore: il PIL, cioè il Valore aggiunto, cioè la sommatoria dei redditi, cioè la massa del plusvalore più la massa dei salari in un ciclo. Ovviamente siamo perfettamente d'accordo con te nel sostenere che la degenerazione non significa morte della lotta di classe, anzi, vedremo sorgere nuove forme di lotta per via del rivoluzionamento dei rapporti fra proletario e padrone. In Italia ci sono 10 milioni di lavoratori "atipici", di cui 4 o 5 milioni dediti al telelavoro. In Europa, abbiamo appena letto sul giornale, ci sono 80 milioni di "mobile workers", cioè individui che svolgono la loro attività senza posto fisso di lavoro, tramite aggeggi telematici portatili (100 milioni entro il 2007 col trend attuale). Si capisce che con questi numeri il lavoro "a-tipico" sta diventando "tipico", ma si capisce ancora di più che, com'è già stato dimostrato sul campo di battaglia sindacale in America, i proletari avranno in mano armi tremende (e anche questo aspetto fa parte del nostro bagaglio di elaborazione e di diffusione).

(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 13 - dicembre 2003.)

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