La teleconferenza di martedì sera, presenti 14 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo le notizie di stampa sulla cosiddetta emergenza immigrazione.
La stazione ferroviaria di Budapest è nel caos, in migliaia si accalcano sui binari in attesa di salire sui treni diretti in Germania. Dopo lo sgombero operato qualche giorno fa dalle forze dell'ordine, i migranti hanno occupato nuovamente la stazione, mentre manifestazioni di solidarietà e sostegno sono state organizzate da alcuni gruppi anti-razzisti nella capitale ungherese e a Vienna.
In queste situazioni bisogna fare attenzione a non confondere la vaga solidarietà interclassista di cui parlano tutti i giornali, con ciò che fa da molla e spinge a scendere in piazza, e cioè la paura di un futuro sempre più incerto. Se l'emigrazione storica era dovuta all'attrazione dei mezzi di produzione esercitata su masse di uomini che vivevano in aree poco sviluppate, adesso questa forza lavoro è diventata sovrappopolazione assoluta e viene espulsa dai paesi di origine, specie dove gli stati sono collassati. L'aumento della produttività rende una parte sempre più consistente della popolazione mondiale assolutamente inutile. Il futuro vedrà quindi - in mancanza di una rete internazionale di lotta che faccia proprio il motto Proletari di tutti i paesi, unitevi! - uno scenario di guerra generalizzata tra le masse impoverite occidentali che stanno perdendo qualcosa, e le masse mobili che hanno già perso tutto.
Voi avete detto [il lettore si riferisce a una conferenza, ma l'abbiamo anche scritto. N.d.R.] che l'aumento della composizione organica del capitale, è collegata alla caduta tendenziale del saggio di profitto e alla formazione di una sovrappopolazione relativa permanente. Sono d'accordo, ma avete tracciato a mio avviso addirittura una nuova teoria della popolazione partendo dal fatto che non si tratterebbe del marxiano "esercito industriale di riserva" bensì di strati sociali ormai superflui, da mantenere in quanto esclusi per sempre dal ciclo produttivo. Questo proverebbe la difficoltà della continuazione del processo di valorizzazione a scala mondiale, e avete citato intere aree geografiche "abbandonate" o sfruttate brutalmente senza attenzione ai risvolti sociali, come l'Africa, l'America Latina, gran parte dell'Asia e persino aree all'interno del capitalismo sviluppato.
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Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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