59° incontro redazionale - Resoconto

Il 26-27-28 giugno si è svolto presso l'hotel Sharing di Torino il 59° incontro redazionale di n+1, a cui hanno partecipato una trentina di compagni (alcuni via Skype) provenienti da diverse località. Le relazioni si sono susseguite per tutta la giornata di sabato e nella mattinata di domenica, intervallate da momenti di approfondimento, con domande ed interventi, e da pause di ristoro.

Panoramica

Se con crisi si intende quel momento catastrofico che nel capitalismo cancella merci e capitali, a cui solitamente segue un periodo di boom, allora il termine non è adatto per descrivere una situazione economica che si protrae da otto anni e non fa che peggiorare. A metà '800 Engels individuava, ricorrendo ad un ossimoro, un processo di cronicizzazione della crisi che, in quanto tale, mostrava la dinamica di invecchiamento del sistema e quindi la sua transitorietà. Marx, e successivamente la corrente cui facciamo riferimento, trattavano già al loro tempo della potenziale non esistenza del capitalismo (Scienza economica marxista, 1959).

Oggi i derivati nel mondo ammontano a circa dieci volte l'intero Pil globale, cifra enorme soprattutto a fronte di un possibile quanto temuto double dip: la recessione a forma di W che prevede, dopo una iniziale ripresa dal primo picco negativo, un secondo crollo degli indicatori economici.

Gli economisti lanciano nuovi segnali d'allarme: nel caso di una nuova recessione, gli stati non avranno più strumenti a disposizione per contrastare la caduta e risalire la china. Sulla stessa linea l'Economist, secondo cui la crisi non è affatto passata, ed anzi, se i governi non faranno al più presto qualcosa, il capitalismo potrebbe passare guai seri. Fa sentire la sua preoccupazione per le sorti del sistema anche Mario Draghi, che avverte: il default della Grecia spingerebbe non solo l'Europa, ma il mondo intero, in terra incognita.

I borghesi non sanno più che pesci pigliare: di fronte alla totale sussunzione dello Stato al Capitale, non riescono ad intervenire per tenere a galla un modo di produzione che fa acqua da tutte le parti. Prendiamo il caso greco: possibile che non si riescano a trovare i soldi per ristrutturare il debito di un paese il cui Pil equivale a quello della città di Milano? Evidentemente i meccanismi di accumulazione sono del tutto fuori controllo, e i governi affrontano i problemi economici giorno per giorno, senza un piano a medio-lungo termine.

Può il capitalismo uccidere sé stesso?

Alla luce di quanto appena detto nell'introduzione, si comprende che il problema va affrontato a un livello di analisi più alto, in modo da poter individuare la struttura materiale della crisi. Affrancandoci da studi sul corso del capitalismo inquinati dall'ideologia e privi dell'approccio scientifico dato dal materialismo storico, vogliamo iniziare il ragionamento con un riferimento alla rivoluzione borghese che ci permette di comprendere come avviene il cambio di paradigma.

Quando Diderot e D'Alembert pubblicano l'Encyclopédie, summa del pensiero della borghesia rivoluzionaria, molte delle voci che la compongono sono tecnico-scientifiche. L'industria per Diderot "concerne la coltura delle terre, la manifattura, l'arte; essa feconda tutto e spande ovunque l'abbondanza e la vita; come le nazioni distruttrici fanno del male che loro sopravvive, così le nazioni industriose fanno del bene che non finisce con esse." La voce dedicata all'industria diventa così un manifesto dentro il manifesto, il programma della nuova classe dominante che decreta la morte della concezione mistica e metafisica propria della classe precedente.

In qualunque modo di produzione, l'ideologia dominante è quella della classe dominante. Questo ci pone in un loop logico nel momento in cui cerchiamo di comprendere e superare il sistema all'interno del quale ci troviamo, tanto più da un punto di vista individuale (Tavole immutabili della teoria comunista del partito, 1960). Gli illuministi rompono il vincolo introducendo il rovesciamento della prassi; lo spiega D'Alembert nell'Enciclopedia: abbandoniamo il vecchio mondo che pure abbiamo studiato e fatto nostro, e introduciamo quello nuovo (industria).

Bucharin e Preobanzeskji in L'A.B.C. del Comunismo sostenevano che il comunismo è un modello sociale che si raggiunge dopo la rivoluzione, attraverso la proprietà collettiva dei mezzi di produzione. Per Marx invece non si tratta di un regime ma di un movimento, di una dinamica. "Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" (L'Ideologia tedesca). Traduzione: comunismo = capitalismo che abolisce capitalismo.

Nell'introduzione al nostro Quaderno n° 1 (La crisi storica del capitalismo senile, 1983) l'elemento in grado di spezzare il loop logico è il tempo: il capitalismo può salvare se stesso… ma non per sempre. Ma se già nel 1848 il capitalismo era potenzialmente morto, oggi cos'è rimasto? Il capitalismo o qualcos'altro? E come possiamo rispondere a queste domande se ancora ci troviamo dentro al sistema del lavoro salariato? Soluzione: il comunismo non è un modello da instaurare ma qualcosa che sta già operando. Sono gli uomini che per conoscere hanno bisogno di discretizzare il continuum.

Altro loop logico: come fa l'osservatore a rendersi conto della presenza di elementi caratteristici di una società che non c'è ancora?

Dal punto di vista scientifico il soggetto in esame è dato: un tipo di società, ad esempio, non esiste affatto solo dal momento in cui se ne incomincia a parlare in quanto tale, ma esiste già prima. Marx ha in mente non una successione "discreta" dei fenomeni storici, bensì "continua" (dimostrata dall'assunto che abbiamo posto nella Home page del sito); gli insiemi sociali, cioè, si sovrappongono come in un diagramma di Eulero-Venn. Se utilizziamo le espressioni "n+1", "n" e "n-1", non abbiamo la possibilità di descrivere il fenomeno della "sovrapposizione", ma solo il succedersi delle forme, rappresentando non il processo che le genera ma il loro esistere di volta in volta come forma compiuta. L'impressione è che non si possano unire i due procedimenti - il processo continuo e la periodizzazione discreta - senza entrare in un paradosso. Non è forse questa l'essenza dei paradossi di Zenone?

La società borghese è la più articolata e complessa della storia umana, quindi contiene le categorie di quelle precedenti. Gli accenni alle forme superiori, già presenti in quelle inferiori, sono riconoscibili solo a patto di conoscere le caratteristiche di quelle superiori. La forma borghese, se conosciuta, offre dunque la chiave per quelle precedenti.

Conclusioni: il capitalismo si sopprime da sé? Dal punto di vista dell'insieme della specie – quindi ponendosi all'interno di questa, ma all'esterno della sua parziale fase capitalistica – sicuramente sì, perché il capitalismo è paragonabile ad un punto interno all'intera traiettoria. La domanda dunque è positiva e lo studio successivo ci darà la risposta affermativa: il capitalismo ha nel suo "programma genetico", nel suo DNA, gli elementi della propria soppressione, non ci sono forze "esterne" che lo sopprimeranno: esso si sopprimerà da solo.

Il proletariato è una conseguenza del modo di produzione capitalistico, nel comunismo non ci saranno più classi, bensì la specie organizzata in partito. Marx dice: il proletariato è il becchino, non l'assassino, del capitalismo, e seppellirà qualcosa che è già morto (Il cadavere ancora cammina, 1953).

Lo scontro tra modi di produzione produce scossoni fortissimi, la società futura spinge con sempre maggior forza. Pensiamo a Occupy Wall Street: un movimento di classe contro classe, il 99% contro l'1%, che fa esattamente quello che dicono Marx ed Engels nel Manifesto: non rivendica nulla all'interno di questa società.

Dalle origini del sindacato fascista alle corporazioni

Per capire l'assetto corporativo del sindacalismo odierno bisogna fare un salto indietro, agli inizi del '900. Partendo dalle origini del sindacalismo rivoluzionario in Italia, abbiamo ripercorso le scissioni che hanno fatto nascere la UIL nel 1918, poi i sindacati economici e infine la Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali fasciste. Dopo la marcia su Roma, il tentativo di inglobare anche le organizzazioni degli industriali all'interno della struttura dello Stato dà vita ad un lungo braccio di ferro, che vede in Edmondo Rossoni un deciso sostenitore del "sindacalismo integrale". Si arriva a una prima sintesi organizzativa con il Patto di Palazzo Chigi che vede il riconoscimento da parte degli imprenditori dei sindacati fascisti, e consente al fascismo di contare sull'appoggio della Confindustria in vista delle elezioni politiche dell'aprile del 1924.

La fine della lotta di classe rimane un'utopia e servono altri "patti" per mantenere la situazione sotto controllo. Si arriva così a quello di Palazzo Vidoni, con il quale la Confindustria e la Confederazione delle corporazioni riconoscono, reciprocamente, la "rappresentanza esclusiva" delle maestranze lavoratrici e degli industriali. Nel 1926 la legge sindacale stabilisce che l'associazionismo economico dei lavoratori deve essere controllato e inquadrato dallo Stato: in quest'ottica sarebbero stati legalmente riconosciuti i sindacati sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori. Vengono inoltre istituiti il Ministero delle Corporazioni e la Magistratura del lavoro, prima tappa verso la costituzione dello Stato corporativo.

Sotto l'incalzare della repressione nel gennaio del 1927, la CGdL si scioglie e alcuni dirigenti (Rigola e D'Aragona) danno vita all'Associazione Nazionale Studi - Problemi del Lavoro, che svolge opera di fiancheggiamento del fascismo (Verso lo stato totalitario. Sindacati, società e fascismo di Ferdinando Cordova). Secondo gli ex sindacalisti bisogna analizzare e aiutare il sistema politico a concretizzare i postulati espressi nella Carta del Lavoro.

La borghesia può dirsi soddisfatta della politica del fascismo. L'avviata politica deflazionistica e l'operazione di allineamento della lira a "quota novanta", che avrebbe comportato l'abbassamento generale dei salari, spingono il fascismo a compensare con "miglioramenti" normativi i sacrifici dei lavoratori. In tale contesto deve essere collocata l'emanazione della Carta del lavoro, le cui enunciazioni fondamentali riguardano la collaborazione di classe, l'armonia tra i diversi fattori della produzione, la preminenza dell'iniziativa privata sull'intervento statale in campo economico, la contrattazione collettiva sulla base del sindacato unico.

Gli anni Trenta segnano l'avvenuta separazione tra proprietà e capitale con l'apparizione a livello gestionale della figura del manager (La rivoluzione manageriale di James Burnham). In Francia abbiamo il "planismo" (Fratelli in camicia nera. Comunisti e fascisti dal corporativismo alla Cgil 1928–1948 di Pietro Neglie), negli Stati Uniti il New Deal, in Germania il nazismo e in Russia lo stalinismo (Tre New Deal. Parallelismi fra gli Stati Uniti di Roosevelt, l'Italia di Mussolini e la Germania di Hitler. 1933-1939 di Wolfgang Schivelbusch).

Si può parlare di corporativismo tecnocratico?

Al II Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara nel maggio del 1932, Ugo Spirito lancia la formula della "corporazione proprietaria": passaggio del controllo del capitale dagli azionisti ai lavoratori, trasferimento dei mezzi di produzione e quindi della proprietà dell'azienda alla corporazione. La formula è ripresa durante la Repubblica di Salò quando, con la Carta di Verona (1943), è teorizzata la socializzazione delle imprese.

La sequenza nel tempo non è fascismo-democrazia-comunismo, bensì democrazia-fascismo-comunismo. "Se vuoi essere progressista abbi il coraggio di essere fascista", dice un nostro testo. Il modello demofascista che ha guidato la ricostruzione post-bellica, con le leggi fiscali, i lavori pubblici, l'industria statale (IRI), si sta dissolvendo sotto i nostri occhi. Oggi, per regolare l'economia capitalistica ci vorrebbe un corporativismo-fascismo mondiale (super-imperialismo), ma ciò non è possibile a causa delle spinte centrifughe dovute agli interessi nazionali delle borghesie di ogni paese.

La nostra teoria della conoscenza di fronte ai risultati scientifici della borghesia

La meccanica quantistica è un termine improprio per indicare la rottura epistemologica rispetto alla meccanica classica in seguito alla scoperta del "quanto d'azione" da parte di Plank.

Dal nostro punto di vista la fisica è una e non esiste una meccanica classica distinta o contrapposta a quella quantistica nonostante le differenze tra le due, né tanto meno esiste una fisica marxista. Il cammino della conoscenza procede per superamenti, non per negazioni (Per una teoria rivoluzionaria della conoscenza, n+1 n. 15-16).

Il ricercatore moderno può essere visto come il gestore di un capitale che viene fatto fruttare trasformando regolarmente degli articoli in sovvenzioni e delle sovvenzioni in articoli. In questa deriva, la riflessione scientifica ha sempre meno importanza e lascia il posto alla gestione dell'esistente. Il cadavere capitalista ostacola l'avanzamento della conoscenza, esigendo risultati a breve termine e scartando tutto quello che non è utile alla sua valorizzazione e alla sua perpetuazione.

Occorre chiarire che la fisica quantistica non è definibile come una "teoria completa" nel senso che dava Einstein a questo termine (uno dei motivi della polemica tra Einstein e i fisici quantistici, nel paradosso EPR, era proprio su questo fatto), ma una "correlazione corretta tra gli esperimenti" su cui sono state elaborate delle interpretazioni.

La tesi che abbiamo cercato di argomentare è: la meccanica quantistica è una teoria di transizione. Perché:

a) fa emergere paradigmi che potrebbero essere la strada giusta per superare i dualismi conoscitivi. L'intero universo è composto di parti in relazione continua e nessuna discretizzazione ha potuto negare questo, anzi lo conferma;

b) la negazione del principio delle cause locali (teorema di Bell) può portare a un "super determinismo" (tutto quello che non esiste non poteva esistere) o alla "teoria del multiverso". Se poniamo che la prima ipotesi è quella corretta, verrebbe meno il concetto di biforcazione.

Oppure la biforcazione esiste (teoria delle catastrofi) e la conoscenza attuale e il linguaggio usato per descriverla è completamente inadeguato.

Potremmo dire che il paradigma scientifico newtoniano consiste nella comprensione dei sistemi a partire dall'analisi delle loro componenti singole (l'immagine della grande Macchina). La rottura epistemologica operata dalla meccanica quantistica parte dalla negazione di questo assunto: non si possono analizzare le parti di un sistema separatamente. È una contraddizione o un superamento?

La storia della scienza (della conoscenza umana) è sempre stata caratterizzata dal superamento di grandi contrasti che sembravano irrisolvibili e dall'unificazione di concetti che prima sembravano contraddittori (Relatività e determinismo - In morte di Albert Einstein, 1955). L'esempio della gravità è paradigmatico: il problema della caduta della luna sulla terra è un falso problema, perché è il suo modo di cadere che la tiene in orbita attorno alla terra.

Una nuova sede per "n+1"

Nella mattinata di domenica abbiamo riassunto le vicende che hanno portato alla nuova sede e alla sua pratica realizzazione. Nell'epoca delle reti, dove spazio e tempo vengono eliminati dalla comunicazione, può sembrare strano organizzare il lavoro in un "luogo fisico". Eppure le comunità vivono anche di contatti non virtuali. Abbandonando da subito le velleità comunitaristiche, si continuerà con l'impostazione di lavoro comune e convivialità diffusa.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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