Pur mantenendo un aspetto sovrastrutturale antico Daesh è uno stato in quanto assume fattezze statali, con tanto di welfare e una propria economia, i cui promotori sono elementi dell'ex partito iracheno baathista, combattenti con esperienza militare alle spalle. Lo Stato però è un prodotto storico e non il frutto di una volontà. Esso raggruppa caratteristiche unitarie, un territorio definito, una storia, una lingua, ecc., affinché la classe dominante possa ergersi a tale e, una volta consolidata la nazione, adoperare gli altri stati per i propri fini.
Gli Usa hanno sempre utilizzato forze locali sia per combattere i propri nemici sia per mettere in piedi amministrazioni statali che facessero i loro interessi. In Siria sono decine le organizzazioni combattenti che si sono dette disposte a lavorare per gli americani. Ma se in passato il nation building funzionava, oggi è difficile immaginare cosa possano ricostruire gli americani in un paese così devastato.
In questo scenario, la guerra condotta da una coalizione di stati decadenti cosa può fare contro uno stato virtuale come Daesh? La sua storia non esiste, almeno analizzata coi criteri de I fattori di razza e nazione nella teoria marxista. Se mettiamo insieme il fatto che viviamo nell'epoca in cui lo stato è in via di dissoluzione e che la sovrappopolazione è irrecuperabile, arriviamo alla conclusione che la situazione geopolitica globale è ben più grave di quella delineata da Limes nell'ultimo numero (La terza guerra mondiale?).
La borghesia, classe superflua già dai tempi di Marx, si è tolta di mezzo da parecchio tempo e ha demandato la sua funzione storica a gruppi di tecnici e polizie varie. Il capitalismo non può esistere senza il proletariato, il quale viene usato sempre meno nell'industria ingrossando l'esercito dei disoccupati. Al tempo stesso, non ci sono abbastanza operai da cui estrarre plusvalore. Si tratta di una contraddizione esplosiva per il Capitale: guai a quel paese che invece di sfruttare i propri schiavi è costretto a mantenerli.