Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  28 marzo 2023

Pensare l'impensabile

La teleriunione di martedì sera, connessi 19 compagni, è iniziata con l'analisi delle recenti manifestazioni in Israele e in Francia.

Nello Stato d'Israele, dove le mobilitazioni vanno avanti da circa tre mesi, ufficialmente si scende in piazza per difendere l'indipendenza della Corte Suprema e il potere giudiziario, minacciati da una legge del governo Netanyahu (il Parlamento, oltre a scegliere i giudici, può annullare le decisioni della Corte). Secondo gli organizzatori delle mobilitazioni, si tratta di proteggere la democrazia israeliana, messa a repentaglio da un governo di estrema destra.

Israele è un paese con poco meno di nove milioni di abitanti, si trova in un'area geopolitica in subbuglio e negli ultimi anni ha visto l'avvicendarsi di diversi governi. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha avvertito Netanyahu del malcontento all'interno dell'esercito in merito all'approvazione della legge, considerata un attacco tangibile allo stato israeliano. Per tutta risposta, il primo ministro ne ha chiesto e ottenuto le dimissioni, scatenando proteste di massa, l'assedio della sua residenza a Gerusalemme e il blocco delle strade principali di Tel Aviv. L'esercito israeliano è un esercito di popolo, per tal motivo la protesta ha coinvolto sia riservisti che reparti d'élite, che hanno minacciato di non presentarsi nelle caserme qualora la legge fosse stata approvata; migliaia di soldati israeliani hanno dichiarato che si rifiuteranno di prestare servizio nell'esercito, tanto che il presidente americano Joe Biden si è detto preoccupato che Israele vada verso una guerra civile. Di fronte al crescere della mobilitazione e la minaccia dello sciopero generale, il primo ministro ha annunciato il "congelamento" della riforma giudiziaria.

Gli Stati hanno ostacoli enormi da superare, faticano a tenere insieme i pezzi. Quando si muovono migliaia di persone viene schierata la polizia, si usano cannoni ad acqua e lacrimogeni per disperdere la folla, ma così facendo si rischia di innescare una dinamica di scontro che può trascendere le motivazioni iniziali della protesta e passare ad un livello superiore. Le manifestazioni e le rivolte saranno sempre più diffuse e radicali, non perchè lo voglia qualcuno, ma perché è la dinamica in corso che lo impone (crisi di accumulazione, miseria crescente, guerra, instabilità economica).

L'esercito israeliano fa affidamento sui riservisti perché si trova, almeno dal 1948, in una condizione di guerra permanente, che vuol dire irruzioni nei territori occupati, operazioni mirate o estese per fermare i lanci di razzi dalla Striscia di Gaza, e non solo. Questo conflitto endemico sta diventando insopportabile sia per i militari che per i civili israeliani e palestinesi.

La nascita di Israele è stata sponsorizzata da Stalin in persona ed è stata possibile grazie all'appoggio degli USA. Tel Aviv ha sempre vissuto con la sindrome da accerchiamento degli islamici e l'America non può accettare che Israele venga spazzata via. Resta il fatto che il paese ha una struttura statale potente, ma allo stesso tempo fragile: ha una popolazione poco numerosa rispetto al miliardo di islamici da cui è circondato, con una percentuale di ebrei ortodossi che non si sentono parte dello stato israeliano. La nostra corrente trovò positivo che nel '48 si impiantasse un capitalismo moderno in un territorio desertico e del tutto arretrato, una tabula rasa economica e sociale ("La crisi del Medio Oriente", Il programma comunista n. 21 del 1955). Le forze armate israeliane, chiamate Tzahal, coltivano al loro interno uno spirito di corpo quasi mistico, dovuto alla particolare storia del paese. Il servizio segreto, il Mossad, è una realtà famosa in tutto il mondo per le sue incursioni e lo spionaggio all'estero. Aman è il servizio centrale d'intelligence militare delle forze armate e dipende direttamente dal capo di stato maggiore delle Forze di difesa. Poi c'è lo Shin Bet, l'agenzia di intelligence per gli affari interni. Lo stato israeliano si regge sulla cooperazione e sulla stabilità di questa complessa architettura militare e poliziesca.

In Israele esiste un movimento d'opinione chiamato "Jordan is Palestine", che auspica la costituzione di uno stato palestinese dove ora c'è la Giordania. C'è la possibilità che da ambienti nazionalisti e religiosi parta la scintilla di un qualcosa di ingovernabile, magari per risolvere la storica questione palestinese ("Il vicolo cieco palestinese"). Da una parte c'è una spinta sempre presente verso la guerra, dall'altra c'è il timore che una guerra generalizzata nella regione possa mettere a repentaglio l'esistenza stessa di Israele.

Anche in Francia viene contestata una legge dello stato, in questo caso relativa all'aumento dell'età pensionabile da 62 a 64 anni. Da giorni, però, scendono in piazza centinaia di migliaia di persone, tra cui moltissimi giovani che non avranno mai la pensione. Negli ultimi giorni sono nati dei comitati di azione e di solidarietà che organizzano picchetti e scioperi. Evidentemente esiste un sentimento generalizzato contro lo stato di cose presente, qualcosa di più che una lotta sindacale. I sindacati, scavalcati dall'intensità e dalla diffusione della mobilitazione, sono costretti a seguire l'onda per non rimanere ai margini. La riforma delle pensioni del governo Macron è la goccia che ha fatto traboccare il vaso; prima c'era stato il movimento dei gilets jaunes, prima ancora quello contro la Loi Travail e, se vogliamo andare più indietro nel tempo, possiamo ricordare la rivolta delle banlieue del 2005. La polizia, forte dell'esperienza accumulata in questi anni, usa tattiche intimidatorie, colpisce le persone che non sono organizzate, effettua denunce di massa, semina il terrore, ma non sembra ottenere grandi risultati. Tra le altre manifestazioni nel paese, sono da segnalare quelle in corso contro la costruzione di una diga al bacino idrico di Sainte-Soline, dove si sono registrati scontri durissimi tra ambientalisti e polizia.

In vari articoli pubblicati sulla rivista abbiamo notato che, superate determinate soglie, le popolazioni scendono in strada a milioni, per settimane o per mesi, compromettendo la tenuta dello stato. Negli ultimi anni a mobilitarsi è stato praticamente tutto il mondo, dal Perù ad Hong Kong, dal Brasile agli USA. L'economista Nouriel Roubini nel libro La grande catastrofe afferma che è il caso di cominciare a pensare ciò che un tempo era impensabile, ovvero lo scoppio di "violenza su ampia scala, colpi di stato, sommosse, guerra civile, secessione e insorgenza". I borghesi danno per scontato che il comunismo sia fallito (anche se qualche dubbio comincia a serpeggiare), ma grandi visioni sul futuro non ne hanno, navigano a vista. Gli Stati si fanno la guerra ma sanno che pur avendo armi potentissime a disposizione devono indietreggiare qualora le popolazioni si rifiutino di farsi usare come "carne da cannone".

Nell'articolo "Wargame. Seconda parte" abbiamo messo in evidenza il venir meno del controllo da parte dello Stato sulla società, anche su quegli strati di popolazione che da sempre rappresentano la componente più reazionaria, come le mezze classi piccolo-borghesi. La borghesia non è più la vittoriosa classe rampante che trascina le altre nella sua rivoluzione obbligandole a servirla in cambio di qualche offa. La rivoluzione non si ferma, accumula forza, mentre il vecchio modo di produzione perde energia. Marx, nell'Introduzione a Le lotte di classe in Francia, afferma:

"La rivoluzione è in marcia quado incomincia a dissolvere i vecchi orpelli della politica. È allora che 'appare' il partito della rivoluzione."

L'immagine romantica del partito che guida il proletariato alla vittoria assaltando Palazzi d'Inverno lascia il posto a quella delle molecole sociali surriscaldate che producono statistica rivoluzionaria, compreso il partito. Cadono le spiegazioni dei fenomeni come se fossero legati alla volontà dei singoli e delle organizzazioni, si impongono quelle del determinismo che legano la volontà al cambiamento in corso.

La teleriunione è proseguita con il commento di un articolo dell'Economist sulla corsa dei grandi gruppi tecnologici allo sviluppo dell'intelligenza artificiale ("Big tech and the pursuit of AI dominance", 26 marzo 2023).

Nuovi modelli di IA sono allo studio di tutte le maggiori aziende. Lo scopo è di creare modelli di linguaggio sempre più simili a quelli degli uomini, per arrivare ad una simbiosi sempre più stretta tra questi ultimi e la macchina. Già prima che emerga un vincitore, la concorrenza tra le Big Tech (Microsoft, Google, Facebook, ecc.) sta cambiando con una velocità mai vista il mondo tecnologico e l'insieme dei rapporti di produzione. Il problema, per il capitalismo, è che da questi settori di punta non si può ricavare chissà quanto plusvalore, dato che la componente di lavoro vivo è minima rispetto al lavoro morto (investimenti in macchine, programmi e software). Non è un caso che sia saltata per prima la Silicon Valley Bank, la banca delle startup. Se nel 2000 ci fu un boom di investimenti nelle dot-com, adesso è in agguato lo scoppio di un'altra bolla finanziaria, quella dell'intelligenza artificiale. Le aziende che operano in questo comparto hanno come obiettivo la sostituzione massiccia di lavoro umano con quello delle macchine. Lavorano quindi, senza volerlo, alla negazione della legge del valore.

Dalla crisi del 2008 i mercati sono stati inondati di droga monetaria, con un'impennata durante l'emergenza Covid-19, e ciò ha comportato la crescita dell'inflazione. Ma appena le banche centrali hanno ritoccato al rialzo i tassi d'interesse, sono saltate le prime banche americane e l'ondata di panico è presto arrivata in Europa colpendo Credit Suisse e Deutsche Bank. C'è poi chi specula sul fallimento di banche e Stati (credit default swap) e questo complica le cose. Quindi, da una parte gli Stati tentano di controllare l'inflazione alzando i tassi di interesse, dall'altra il loro intervento provoca fallimenti di banche. Vien da dire: volete il capitalismo? È questo, altro non ce n'è.

Articoli correlati (da tag)

  • Cresce la tensione ovunque

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando la situazione di guerra in Medioriente.

    Recentemente, le forze di difesa israeliane hanno preso di mira le basi UNIFIL presenti nel sud del Libano, lungo la "linea blu", con il chiaro intento di farle evacuare. Nell'attacco sono state distrutte le telecamere e le torrette di osservazione, e ci sono stati alcuni feriti tra i caschi blu. I ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito hanno manifestato il loro disappunto, mentre Israele ha dichiarato di aver precedentemente invitato il comando UNIFIL a ritirarsi. Le truppe dell'ONU sono presenti in Libano dagli inizi degli anni '80 in quanto "forza militare di interposizione", ma evidentemente il tempo della mediazione è finito per lasciare spazio a quello della guerra aperta.

  • Dall'impero americano, al caos, alla rivoluzione

    La teleriunione di martedì sera ha preso le mosse dall'intervento di Lucio Caracciolo al festival di Limes a Genova 2024 ("Dall'impero americano al caos").

    Le determinazioni materiali spingono gli analisti di politica ed economia internazionale ad affermazioni forti. Caracciolo sostiene che le guerre in corso riguardano la transizione egemonica, ma che nei fatti non c'è nessun nuovo candidato alla guida di un mondo post-USA, e prevede una fase più o meno lunga di caos. Va ricordato che, almeno dagli anni Settanta, si è scoperto che non esiste il caos fine a sé stesso. Gli studi sui sistemi dinamici e la complessità ci indicano l'esistenza di un caos deterministico, nel quale vi sono attrattori strani che rappresentano un nuovo tipo di ordine. Il caos non è dunque il punto di arrivo, ma rappresenta la transizione ad una nuova forma sociale. I teorici dell'autorganizzazione, ad esempio Stuart Kauffman, descrivono il margine del caos come quella "terra di confine" che rende possibili nuove configurazioni.

    Nella rivista monografica "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" abbiamo descritto la guerra, apertasi dopo il crollo del blocco sovietico, il miglior nemico degli USA. Quel mondo bipolare aveva trovato un equilibrio fondato sulla deterrenza nucleare ("Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio"), che oggi è venuto meno anche dal punto di vista demografico: gli americani sono circa 300 milioni mentre il resto del mondo conta oltre 7 miliardi e mezzo di abitanti. E poi, di questi 300 milioni, la maggioranza non fa parte del sistema dell'1%: lo testimoniano l'ultima ondata di scioperi e il fatto che l'esercito abbia problemi con l'arruolamento. Si sono affacciate sul mondo nuove grandi potenze, in primis la Cina, che già solo per il fatto di esistere e crescere, economicamente e militarmente, mettono in discussione il primato degli Stati Uniti.

  • Caos deterministico

    La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dalle ultime notizie dal Medioriente.

    In seguito al massiccio attacco sferrato da Israele contro le postazioni di Hezbollah in Libano, durante il quale è stato ucciso Hassan Nasrallah, segretario generale dell'organizzazione, l'Iran ha lanciato circa 200 missili in direzione di Tel Aviv.

    Sono le determinazioni materiali a costringere gli stati a muoversi, e tutti lo fanno all'interno di una complessa rete di condizionamenti. In un'intervista, reperibile su YouTube ("E' ancora possibile evitare la terza guerra mondiale?"), il generale Fabio Mini afferma che la situazione mondiale non è tanto complicata quanto complessa, poichè gli attori in campo sono molti ma comunque tutti ben individuabili. L'annientamento di Hamas e Hezbollah ad opera di Israele non può essere portato a termine e ciò innesca un'escalation bellica. Rispetto al passato, ad azione non corrisponde una reazione proporzionata, bensì una risposta "randomica", caotica e di difficile previsione.

Rivista n°55, luglio 2024

copertina n° 55

Editoriale: Non potete fermarvi

Articoli: Evoluzione extra biologica - Transizione di fase. Prove generali di guerra

Rassegna: Presa d'atto - Il capitalismo è morto

Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune - Guerra civile negli USA, ma non quella vera

Doppia direzione: Il programma immediato non ammette mediazioni

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email