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  • Resoconto teleriunione  26 marzo 2024

La guerra e le sue conseguenze

La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando le ultime news sulla guerra.

A Mosca un gruppo di miliziani, presumibilmente appartenenti a ISIS Khorasan (c'è una rivendicazione), ha preso d'assalto il teatro Crocus City Hall, causando oltre centotrenta vittime e centinaia di feriti. Quattro persone di nazionalità tagika sono state arrestate dai servizi di sicurezza russi mentre si dirigevano verso il confine ucraino.

Con le informazioni a disposizione è difficile capire quali forze ci siano dietro all'attacco. I Russi affermano che è opera di "islamisti radicali", ma hanno denunciato anche il coinvolgimento di Ucraini, Americani e Inglesi. Negli ultimi anni la Russia ha visto sul suo territorio diversi attentati di matrice islamica (vedi teatro Dubrovka o scuola Beslan); quest'ultimo, però, si inserisce in un contesto particolare e cioè quello della guerra in corso in Ucraina, dove da una parte si sta consumando un conflitto classico combattuto tra eserciti nazionali, e dall'altra c'è l'impiego da ambo i fronti di partigianerie, mercenari e miliziani. I servizi segreti occidentali avevano avvertito per tempo della possibilità di un attentato in Russia e l'attacco al Crocus può essere considerato come un episodio della guerra mondiale a pezzi, simile alla strage del Bataclan di Parigi avvenuta nel 2015 e compiuta da gruppi legati a Daesh, che causò centrotrenta vittime. Qualche mese fa l'ISIS K ha rivendicato l'attentato a Kerman, in Iran, vicino alla tomba del generale Qassem Soleimani; l'attacco ha provocato oltre ottanta morti e centinaia di feriti.

Per adesso le grandi potenze non si scontrano direttamente tra loro, se lo facessero gli esiti sarebbero catastrofici per l'umanità. Nel frattempo, la guerra per procura diventa endemica (Gaza, Siria, ecc.) e vede i maggiori attori statali utilizzare organizzazioni armate non statali per i propri interessi.

L'attentato al Crocus City Hall potrebbe servire alla Russia per compattare il fronte interno, ma il problema del controllo del Caucaso è reale visto che ci sono basi jihadiste in Tagikistan ed Uzbekistan, che hanno collegamenti con quelle in Afghanistan e Pakistan. La presenza dello Stato Islamico nella provincia del Khorasan è la diretta conseguenza della repressione che ha subito il califfato in Siria e Iraq ("L'improbabile califfato", 2014) anche per mano della Russia, alleata del regime di Bashar al Assad. Attacchi come quelli di Mosca confermano quanto abbiamo scritto sulla guerra civile diffusa, su come essa coinvolga i civili e si combatta tra stati ma anche all'interno degli stati stessi. Daesh e gruppi di questo tipo trovano spazio proprio perché gli stati si vanno disfacendo sotto il peso della crisi generale del capitalismo senile. La rivista Limes ha coniato il termine "Caoslandia" per definire quello spazio dove si concentrano i conflitti, i terrorismi, le tendenze alla dissoluzione degli Stati; una zona che si va ampliando sempre più.

La situazione in Medioriente non è slegata da quella in Ucraina: se non ci fosse stato l'attacco russo in Ucraina, probabilmente Hamas non avrebbe attaccato Israele. In un mondo globalizzato tutto è collegato.

Nell'articolo "Teoria e prassi della nuova politiguerra americana" (2003), e in altri scritti precedenti, abbiamo affermato che in risposta all'attacco alle Torri Gemelle iniziava una guerra teorizzata dai "neocons" come infinita, e che intervenire in Iraq e Afghanistan sarebbe stato come dare un calcio in un vespaio. Quelle guerre erano i primi passi di una guerra più generale, e difatti l'ISIS nasce proprio dal collasso delle forze armate irachene, riproponendo un califfato che va oltre i confini nazionali. Non ci sarebbe da stupirsi se dietro l'attentato di Mosca ci fosse il coinvolgimento di alcune intelligence. D'altronde, non è un segreto che Hamas sia stato finanziato e appoggiato da Israele in funzione anti-OLP. I talebani, armati negli anni '80 dagli USA in funzione antisovietica, ad un certo punto si sono anch'essi autonomizzati.

Le armi nuove sono costose, complicate da utilizzare e hanno bisogno di tecnici sul campo. I Russi possiedono migliaia di mezzi corazzati che utilizzano in una linea di contatto lunga centinaia di km; inoltre, hanno requisito vagoni ferroviari per costruire una seconda barriera ("treno dello zar") lunga trenta km: se l'esercito ucraino la oltrepassasse, si aprirebbero immense praterie verso Mosca che gli occidentali dovrebbe alimentare con una linea logistica di centinaia di km.

Quando diciamo che siamo in una transizione di fase in ambito bellico vuol dire che da una parte serve una quantità immane di munizioni e di artiglieria terrestre che i paesi occidentali faticano a produrre; e che dall'altra si stanno sperimentando sistemi d'arma nuovi. Pare che l'esercito inglese abbia condotto esperimenti, con esito positivo, con un cannone, DragonFire, che spara laser e abbatte i droni. Si sta investendo sulla "guerra elettronica", sperimentando l'uso di onde radio per neutralizzare i segnali del nemico ed utilizzare le armi del nemico contro il nemico stesso. Un altro ambito di ricerca è quello dei sensori elettro-ottici ad infrarossi, dei sensori Signal Intelligence, dei radar ad apertura sintetica, dei sensori progettati per intercettare segnali elettronici, oltre a sensori di tipo chimico, biologico, radiologico e nucleare. C'è poi la guerra condotta nello spazio, ed è il caso di Star Link, la rete di satelliti di proprietà di Elon Musk, coinvolta attivamente nella guerra in Ucraina. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sta testando Replicator, un sistema di coordinamento di droni autonomi, da lanciare contro il nemico. Se tutti questi sistemi verranno usati, la guerra diventerà qualcos'altro, perché la loro capacità di risposta non è paragonabile a quella degli uomini.

A proposito di guerre, in questo caso commerciali, l'India ha progettato la costruzione di un corridoio che colleghi il paese al Medioriente e all'Europa (India - Middle East - Europe Economic Corridor, acronimo: IMEC), e che si pone in concorrenza con la cinese Via della Seta, o Belt and Road Initiative (BRI). Nel Summit G20 a New Delhi del settembre 2023, Stati Uniti, Unione Europea (Germania, Francia e Italia), Regno Unito, India, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno annunciato la firma di un memorandum per il lancio della grande opera. Per tutta risposta, Ankara ha proposto una serie di collegamenti ferroviari e di autostrade che unisca i porti di Emirati e Qatar con l'Europa attraverso Iraq e Turchia. L'India, un gigante economico, cerca i propri sbocchi commerciali, facendo concorrenza alla Cina. Il fatto che questi corridoi passino per un paese oppure per un altro fa la differenza, tutti hanno interesse ad intercettare flussi di valore e a diventare hub strategici per il commercio mondiale. Taiwan, ad esempio, è uno dei maggiori produttori di chip al mondo (Chip War di Chris Miller) e questo lo mette al centro della catena logistica dei semiconduttori.

La necessità di integrare il globo dal punto di vista dei flussi di merce e capitale si scontra con un mondo disintegrato, fatto di guerra e marasma sociale (vedi ultime manifestazioni degli agricoltori a Bruxelles). Anche una forza politico-militare relativamente piccola come Hamas, che controlla un territorio ridotto come la Striscia di Gaza, può mettere il bastone tra le ruote a questo tipo di progetti infrastrutturali che coinvolgono le maggiori potenze imperialiste. Gli Houthi stanno compromettendo il traffico mondiale rendendo insicuro per le navi commerciali lo stretto di Bab al-Mandab, che immette nel Mar Rosso.

I maggiori corridoi strategici passano per dei punti del pianeta che sono in equilibrio precario o del tutto instabili. L'IMEC, ad esempio, dovrebbe passare per Giordania e Israele. Il capitalismo ha il problema di dover stabilizzare per i propri traffici aree del Pianeta che sono sempre più fuori controllo.

Alla domanda se la guerra attuale possa rappresentare un freno al crollo del capitalismo, rispondiamo che essa è costosa per gli stati ma soprattutto non è un fattore di ordine. Quand'è caduto il Muro di Berlino, la rivista Fortune aveva invitato i capitalisti di tutto il mondo ad unirsi, perché pensava che il crollo del socialismo comportasse l'avvio di un nuovo virtuoso ciclo di accumulazione. Adesso l'Eldorado sarebbe l'Africa, che aumenterà i consumi interni, e fornirà cibo, materie prime, terre rare e carburanti a tutti. Ma in un mondo in sovrapproduzione di merci e capitali non è possibile nessuna ulteriore espansione capitalistica. L'irrazionalità del capitalismo è dimostrata anche dall'enorme consumo di energia di cui hanno bisogno i centri dati di Bitcoin e altre criptovalute: l'utilizzo di energia elettrica nei data center è destinato a raddoppiare entro il 2026.

L'attuale modo di produzione perde energia, è ultra-dissipativo, ha raggiunto da tempo la fase senile; oltre c'è solo un'altra forma sociale. Più quest'ultima tarda ad arrivare, maggiori saranno i danni prodotti alla specie e all'intero ecosistema.

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