La filosofia ha avuto tempo 3000 anni per staccarsi dall'oggetto e fissarsi in forma di idea; si è poi intrufolata nella scienza, che di anni ne ha solo 300, prendendo il sopravvento e dando luogo al fenomeno che Charles Percy Snow ha definito delle "due culture" (vedi numero 34 della rivista). Ma nel momento in cui ha tentato di realizzarsi come teoria, ha portato a termine il suo viaggio. Con l'avvento di un nuovo paradigma, quello scientifico, continuare a ragionare in termini filosofici sarebbe come fare fisica mantenendo "categorie" come il flogisto, l'etere, il grave, il calorico, ecc. Come dice Richard Feynmann, scoperta una nuova legge di natura tutto sembra procedere come prima e nessuno si accorge che è appena cambiata la nostra intera concezione dell'universo. La morte della filosofia segna l'inizio del processo di riappropriazione di un rapporto diretto e indissolubile uomo-natura-industria: la nascita della nuova scienza unificata.
La seconda relazione, dal titolo Crisi di valorizzazione, abisso del debito, ha trattato il tema della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite. Nei periodi di boom economico l'aumento assoluto del numero dei salariati consentiva l'aumento delle entrate fiscali per cui il debito pubblico, pur crescente, era contenuto in limiti tollerabili. Oggi la situazione è notevolmente differente perché l'internazionalizzazione e la finanziarizzazione permettono di evadere il gettito fiscale delle aziende e il debito pubblico diventa preda della grande finanza internazionale. Anche la riproduzione della forza-lavoro si sposta in grado crescente a carico dello Stato. Questo è costretto a eliminare il suo connotato moderno essenziale, che è quello di gestire il rapporto fra gli elementi della produzione e l'ambiente in cui agiscono, il mercato. Muore il welfare e lo Stato si riduce a strumento di repressione poliziesca. Nascono per reazione strutture di mutuo appoggio che si richiamano a nuove forme e spazi di sopravvivenza (vedi Occupy Sandy negli Stati Uniti).
La terza relazione, intitolata Dal Risorgimento all'Internazionale verso nuove biforcazioni, è cominciata con la lettura di un passo de Il Capitale in cui si dimostra la maturità dei rapporti sociali in Italia, dove, già nell'800, ogni residuo feudale era stato spazzato via da secoli. È in tale contesto geo-storico che maturarono le posizioni peculiari dei rivoluzionari borghesi italiani, molti dei quali lottarono non solo con parole e scritti ma impegnandosi anche sul piano militare. Alcuni di essi avevano ben intravisto il problema sociale di fondo e rappresentavano già un prodotto del cervello sociale moderno. Basti pensare a Pisacane (Saggi storici-politici-militari sull'Italia) oppure a Cattaneo (Psicologia delle menti associate). A queste due lucide e importanti figure se ne contrapposero altre, ambigue, quelle della rivoluzione nazionale "dall'alto". Ad esempio Mazzini, il cui percorso impregnato di idealismo fu influente non solo nella rivoluzione nazionale ma giunse fino alle soglie della Prima Internazionale. O Garibaldi, buon soldato e anche stratega elogiato da Engels, disposto a combattere per la Comune, ma trattato da Marx come "asino politico" per la sua propensione a un socialismo idealista e romantico (fu lui che paragonò l'Internazionale al sol dell'avvenir). Oppure ancora Bakunin, che si scontrò, sì, con Mazzini ma successivamente anche con Marx, rompendo con il Consiglio generale di Londra. Un filo rosso lega tutti questi avvenimenti e porta, attraverso successive biforcazioni, alla formazione della nostra corrente, la Sinistra Comunista "italiana".
Nella relazione di domenica mattina su Colletti si è illustrato come l'autore di Hegel e il marxismo abbia efficacemente dimostrato come Marx liquidò fin da subito Hegel, mentre Engels non seppe fare altrettanto e tracce di hegelismo possono riscontrarsi nei suoi scritti. Il fatto è che per Colletti anche il metodo dialettico usato da Engels nell'Antidurhing e in Dialettica della natura farebbe parte di questa influenza negativa dell'antico maestro. D'altra parte l'origine del metodo dialettico risale ai famosi paradossi di Zenone di Elea. Di qui il tentativo di smontare il paradosso della freccia, che si muove nell'intero percorso ma sta ferma nei singoli punti di esso, per dimostrare errata la dialettica tout court.
In realtà Colletti dimostra solo di non aver compreso la forza d'astrazione insita nel paradosso e ricade nell'immediatezza della percezione, per cui la freccia si muove perché i sensi registrano il suo movimento. In un ambito non più di discussione filosofica, ma di storia della conoscenza di specie e degli strumenti conoscitivi conquistati dalla specie, Bordiga dimostra invece che proprio i paradossi di Zenone sono l'atto di nascita della logica del continuo e delle connesse nozioni di infinito e infinitesimo.
Abbiamo concluso la riunione con i resoconti sulle varie attività generali e locali.