La teleriunione di martedì sera, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni in merito alla situazione in Iran, con particolare riferimento alla rivolta per l'uccisione da parte della polizia di una giovane donna rea di non indossare correttamente il velo.
La protesta scoppiata in questi giorni in molte piazze e università iraniane è solo l'ultima in ordine di tempo, da anni nel paese si susseguono ondate di sollevazione popolare a testimonianza di una situazione generalizzata di malessere sociale. L'Iran è un paese capitalistico, ma ha una sovrastruttura politica che potremmo definire semi-medievale. Anche il Movimento Verde, nato nel 2009 contro i brogli elettorali, mise in luce le contraddizioni in cui si dibatte il paese, che puntualmente provocano questo genere di mobilitazioni. Le motivazioni che spingono le persone a scendere in strada possono essere di vario tipo, ma alla base della protesta premono forze sociali che non lottano semplicemente per i "diritti" e che potrebbero imprimere un indirizzo anticapitalistico ("Quale rivoluzione in Iran?").
La teleconferenza di martedì sera, presenti 23 compagni, è iniziata con il commento di alcune notizie riguardo i vaccini.
Le campagne di vaccinazione della popolazione sono in balia delle decisioni commerciali di alcune grandi aziende farmaceutiche, e gli stati, visti i ritardi nella consegna delle dosi da parte Pfizer, Moderna e AstraZeneca, spingono per una produzione autonoma. Per sconfiggere il Covid, al vertice del G7 il presidente americano Joe Biden ha rilanciato l'alleanza con l'Europa, ma sembra che tale unione sia finalizzata soprattutto ad allargare il fronte contro Russia e Cina. In Italia, dove si sta diffondendo la cosiddetta variante inglese del virus, cresce il numero delle zone e dei comuni in lockdown, è di nuovo in emergenza e, nonostante le evidenze, c'è ancora chi, tra le schiere di chi si dichiara comunista o di sinistra, afferma che tutto quello che sta accadendo è un complotto contro la classe operaia. Anche il cretinismo è una malattia infettiva e bisogna stare ben lontani dai diffusori. Le ondate di irrazionalità sono una conseguenza della vita senza senso, in cui l'esorcismo del virus ha qualcosa di esoterico e magico.
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono collegati 29 compagni, è iniziata con il commento delle ultime notizie sul crollo del prezzo del petrolio.
L'accordo tra OPEC e Russia per tagliare la produzione di greggio e farne così risalire il prezzo non ha funzionato. Tra i primi a risentirne, i produttori americani di shale oil che vedono sempre più vicina la bancarotta. In generale, la vertiginosa caduta del costo dell'oro nero potrebbe generare una reazione a catena provocando, oltre al collasso delle economie dei paesi che vivono di rendita petrolifera, una serie di crack bancari, fino ad arrivare ad un tracollo di natura finanziaria. La crisi in corso, aggravatasi in seguito alla diffusione del virus, è sistemica e mondiale, e riguarda quasi tutti i settori, a cominciare da quello energetico, che ha visto una drastica riduzione dei consumi, fino a quello del tessile, con milioni di lavoratori che in Bangladesh, Pakistan e India sono rimasti senza lavoro. Quando alcune materie prime sono offerte a costo zero, anzi, negativo, significa che la situazione per la borghesia è davvero preoccupante.
Negli Stati Uniti la crisi peggiora, e non è da escludere il verificarsi di uno scenario di disgregazione statale simile a quello rappresentato dal film La seconda guerra civile americana. Negli ultimi giorni ci sono state in tutto il paese diverse manifestazioni anti-lockdown, organizzate da gruppi di estrema destra. In Michigan alcuni attivisti hanno partecipato alle iniziative armati.
La teleconferenza di martedì sera, presenti undici compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo il fenomeno delle sardine, scese in piazza in decine di città italiane, e in ultimo in Piazza Castello a Torino.
Nel gruppo Facebook "6000 Sardine Torino", nato meno di un mese fa e composto da circa 72.000 membri, sono elencate le regole create dagli amministratori:
"1) ripudiare tutti i tipi di fascismi e violenze. Il vero caposaldo sotto cui ci riconosciamo sono i principi e i valori dettati dalla nostra Costituzione; 2) le sardine sono un fenomeno politico ma apartitico. Nonostante sia più che giusto che ognuno di noi abbia un'identità politica, è vietato fare propaganda per qualsiasi partito; 3) le sardine sono educate e rispettose. Non saranno accettati linguaggi volgari e qualsiasi tipo di atteggiamento irrispettoso (razzismo, xenofobia, bullismo, omofobia, transfobia, sessismo, etc.); 4) le sardine si aiutano segnalando. É diritto e dovere di chiunque noti un comportamento inappropriato segnalarlo agli amministratori tramite il pulsante 'segnala'."
La teleconferenza di martedì sera, a cui si sono connessi 16 compagni, è iniziata con la segnalazione di due notizie: 1) in Cina sono nati gruppi di studenti marxisti che partecipano alle lotte operaie e molti sono stati arrestati; 2) in Russia cresce la popolarità di Stalin: secondo alcuni sondaggi, oltre il 30% della popolazione rimpiange il vecchio leader sovietico la cui notorietà ha superato quella di Putin.
Gli uomini sono sempre alla ricerca di punti di riferimento, ma finché non si verificano potenti polarizzazioni sociali che li spingano verso il futuro, rimangono orientati verso il passato. La nostalgia stalinista ne è chiaro esempio. Ciononostante, il futuro agisce sul presente. Basti pensare alla crescente disaffezione verso la "politica": in Italia le recenti elezioni europee hanno registrato un'affluenza alle urne del 56%, dato in calo rispetto al 2014, soprattutto al Sud. La metà degli aventi diritto non va a votare e la classe dominante sembra non farvi caso, impegnata com'è nei calcoli politici post-elettorali. Allo stesso tempo il carisma dei leader politici dura sempre meno: se Renzi dopo quattro anni è stato rottamato, a Di Maio è bastato un anno, e adesso vedremo quanto durerà il nuovo fenomeno Salvini.
La teleconferenza di martedì sera, presenti 16 compagni, ha preso le mosse dalla lettera di Elio Franzini, filosofo nonché rettore dell'Università di Milano, a Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, intitolata "Studi umanistici e scientifici. La scissione non ha senso".
In realtà, a dispetto del titolo, l'autore afferma che la discussione iniziata negli anni '60 da Charles P. Snow sulla necessità di unificare il sapere scientifico con quello umanistico, è superata, dato che le due culture esistono e che "non si può pensare di ridurre la complessità dei saperi ad artificiosi momenti unitari". Per Franzini, la filosofia ha dunque la preminenza su tutte le altre discipline:
"Nella misura in cui tratta di una questione puramente tecnica, la soluzione dipende dagli strumenti tecnologico-scientifici che si riescono ad approntare. Ma, nel momento in cui il campo si allarga – ed è il caso della nostra contemporaneità – il ritmo del progresso tecnico impone alla coscienza umana l'obbligo di adattare le regole alle circostanze, precisando con le sue scelte i criteri che gli consentono di agire. Ed è qui che il pensiero filosofico innesta ancor oggi la sua forza di propulsione."
Ciò che conta è quindi la profondità del pensiero filosofico, le altre discipline servono al massimo ad ampliarne l'orizzonte speculativo. Lo scritto di Franzini fa venire in mente lo scambio epistolare avvenuto qualche anno fa sulle pagine di Repubblica tra Eugenio Scalfari e Alessandro Baricco; il tema della discussione era l'avvento dei nuovi barbari, e mentre il primo difendeva l'importanza degli intellettuali e della cultura classica rivendicando il primato della filosofia rispetto all'emergere dell'intelligenza diffusa e distribuita, il secondo valutava abbastanza positivamente la superficialità barbarica.
La teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 19 compagni, ha preso le mosse dal commento di un articolo de La Stampa, La globalità del nuovo islamismo. Domenico Quirico, l'autore del pezzo, descrive con queste parole l'elemento che accomuna, secondo la sua esperienza diretta (viene rapito in Siria nel 2013 e tenuto in ostaggio per mesi), i militanti dell'IS:
"[...] ciascuno di loro si sentiva la piccola parte di un tutto, e il tutto era visibilmente una parte di loro. E se fosse questa globalità, psicologica ma anche pratica, operativa, militare, il segreto della loro pestifera potenza, e quello che ci impedisce di capire? Il totalitarismo islamico è, nella sua essenza, senza confini. Li vuole distruggere i confini, le frontiere, le nazioni: un'unica ecumene, quella di Dio. Mentre noi occidentali, laudatori della globalizzazione, in realtà, penosamente, continuiamo a ragionare nei limiti dei vecchi confini nazionali: soprattutto quando sono i nostri."
Dall'11 settembre ho gran soddisfazione nel vedere che ora gli americani hanno paura e sono convinto che la guerra all'Iraq abbia, tra le altre, anche la motivazione di trattenere lontano da casa le forze che loro stessi hanno generato e che potrebbero colpirli di nuovo sul loro territorio. E non è che le cose gli vadano tanto bene in campo militare, dove il soldato "tecnologico" non vede neppure il nemico che massacra, mentre il guerrigliero si espone di persona (perciò non è vigliacco come il primo, come scrisse Susan Sontag). È vero, la situazione sembra senza sbocco, ma da due anni a questa parte il marines muore, come in Vietnam. Ritengo quindi, al di là di chi sia il "terrorista" di turno, che ci sia solo da compiacersi del fatto che gli americani incomincino a provare sulla propria carne le frustrazioni ed i dolori che hanno inflitto per generazioni al mondo intiero senza, dopo la guerra civile, averne a subire le conseguenze. Era ora che qualcuno provasse a colpirli in casa e stanarli, questi imperialisti arroganti e spacconi.
Proprio in questi giorni, pensando sia alla critica marxista del "principio democratico" che ad alcuni borghesi democratici ormai giunti a scrivere contro questo che è soltanto più un mito, mi chiedevo se è corretto dire che l'America, l'Italia, ecc. sono paesi democratici. A parte le forme esteriori, dopo il fascismo non c'è stato un ritorno alla democrazia, bensì un ulteriore accentramento dei poteri economici e politici sia a livello nazionale che, soprattutto, mondiale. È un po' quello che si dice anche nella rivista in diversi articoli, riprendendo le tesi del dopoguerra scritte dalla Sinistra Comunista "italiana". I politici di destra e di sinistra (peggio ancora quelli extra-parlamentari), che tanto si riempiono la bocca con il termine "democrazia" e la difendono nei fatti, non fanno altro che mistificare l'essenza reale della nostra società, che è soggezione completa al Capitale, assenza assoluta di libero arbitrio rispetto alle sue esigenze. Lo so bene che la democrazia non è mai esistita e neppure è possibile, come già aveva rilevato Rousseau, ma a questo punto domando: è proprio corretto dire, com'è detto in alcune vostre corrispondenze, che la vera democrazia d'oggi è quella americana? È ancora corretto parlare di democrazia nel 2005, pur sottolineandone l'accezione mitica, irreale, dell'avversario?
ATTIVITÀ FISIOLOGICA DELLO STATO, REAZIONI DEMOCRATICO-GIURIDICHE E LAVORO COMUNISTA
Crediamo di fare cosa utile nel pubblicare una selezione del materiale circolato dopo l'operazione dei ROS dell'11 luglio. I messaggi sono appositamente mescolati e il lettore saprà trovare da sé i prodotti di un certo milieu pseudorivoluzionario, democratico e resistenziale, partigianesco e integrato, non dissimile da quello che si vorrebbe criticare nei degni eredi di Stalin e Togliatti, oggi omologati al centro e perfettamente intercambiabili con il pattume destrorso. Non c'è nulla di comunista nei luoghi comuni che non escono dalla logica borghese del diritto, come non c'è nulla di razionale in una borghesia che ha terrore del suo stesso terrore e crede di esorcizzarlo incolpando fantasmi creati ad hoc.
GENOVA G8, LUGLIO 2001
Pubblichiamo una selezione di lettere e materiali altrui sui fatti di Genova, ricevuti o segnalati dai nostri lettori. La nostra valutazione è in un'altra pagina.
1) Predicare in un modo e razzolare in un altro
[...] Respingiamo una rappresentazione astratta e mitologica della "globalizzazione". La globalizzazione che noi combattiamo non è né la dimensione mondiale dell'economia né un'entità "metafisica". E' il capitalismo internazionale entro il processo storico della ricomposizione capitalistica dell'unità del mondo dispiegatasi dopo l'89. Imperialismo non è termine ideologico o invecchiato. E' il dominio del capitale sulla società internazionale che oggi ripropone in forme nuove i suoi tratti storici (parassitismo finanziario, concentrazioni monopolistiche, saccheggio dei Paesi poveri, militarismo) ma anche le sue contraddizioni insolubili: prima fra queste la lotta tra le grandi potenze per la spartizione del pianeta, ripresa su larga scala dopo il crollo dell'URSS e dello stalinismo. Il movimento deve riconoscere con chiarezza nell'imperialismo il proprio avversario e ciò significa assumere come avversario ogni potenza imperialistica: non solo l'imperialismo americano ma anche l'imperialismo europeo, le sue multinazionali, le sue banche, i suoi governi, siano essi di centrodestra, di centrosinistra, o socialdemocratici.
N+1, reagendo ai limiti e ai danni dell'attivismo immediatista (di cui alcuni gruppuscoli sono un'espressione esemplare), ha trovato la soluzione in una sorta di atarassia, scevra da quelle turbolenze che disturbano l'oggettività di un'analisi dei fenomeni scientificamente fondata. Nel caso specifico, oggetto dello studio sono però i fenomeni sociali, ambito in cui i presupposti metodologici scelti da N+1 sottendono, teoricamente, quel materialismo volgare che Marx stigmatizzava nelle Tesi su Feurbach, vedi in particolare la Prima. Niente di male, altri hanno percorso questa strada, per esempio Althusser.
Segnato dal suo "peccato originale" militante, N+1 formula una particolare versione di materialismo volgare, dove la veste scientifica della "teoria delle catastrofi" maschera una concezione squisitamente escatologica (o teleologica), che sconfina in una visione apocalittica, condita con un malcelato fanatismo. Come i talmudisti nelle sacre scritture cercano i "segni" della prossima venuta del Messia, N+1 cerca nella scienza la conferma del Comunismo.
Ho letto l'articolo sull'uomo-industria (n. 19 della rivista), che peraltro mi è piaciuto molto, e sono rimasto colpito dalla determinazione con cui criticate il cosiddetto primitivismo. Leggendo la rivista vedo che avete assunto un'impostazione molto ottimistica sui risultati attuali della scienza. Vi confesso che ho molto meno fiducia di voi nelle possibilità della scienza borghese. Essa non potrà mai rappresentare un fatto positivo nella transizione da una società all'altra ma dovrà essere demolita dalle fondamenta, come del resto sembra dire anche Bordiga nelle riunioni degli anni '60 da voi pubblicate sul numero doppio 15-16.
Come vedrete dai due documenti che allego, anche nella sinistra francese c'è una grande discussione su natura, scienza e tecnologia, specialmente a proposito di Internet e della scomparsa del valore, del lavoro gratuito, della smaterializzazione delle merci, etc. ma qui il modo di fare politica è ancora molto tradizionale e non sembra che il movimento primitivista sia importante come negli Stati Uniti e nemmeno che possa diventarlo.
…Voglio porre la questione più spinosa di tutte per quanto attiene la "mia" interpretazione della dialettica marxista, che in realtà è l'unica giusta. Di più: credo che nessuno (esclusi Marx ed Engels) l'abbia compresa. Io sono il primo che l'ha compresa completamente e metto a disposizione il mio lavoro a voi compagni di n+1 e di riflesso a tutti gli altri compagni. La mia interpretazione è totalmente diversa da quelle che finora sono state formulate e ne ho tratto tutte le conseguenze possibili, sia su scala sociale, che su scala cosmica. Ecco il risultato del mio duro lavoro: Le affermazioni di Engels sul sistema e sul metodo sono state fraintese clamorosamente!!! Allora io ho messo a posto la questione…
A volte ci arrivano anche delle lettere così. Abbiamo educatamente risposto.
(Doppia direzione pubblicata sulla rivista n° 19 - aprile 2006.)
[…] Dopo la sconfitta della rivoluzione internazionale (già segnata all'inizio degli anni '20 ma la cui parabola discendente, a mio avviso, si estende fino alla II Guerra Mondiale) abbiamo visto il proporsi e riproporsi di tutta serie infinita di organizzazioni che si proclamano rivoluzionarie e comuniste, che sempre si richiamano all'opera di Marx e di Engels e, a seconda poi delle inclinazioni del capo-guru, a Lenin, a Lenin e Trotsky, alla Luxemburg, a Bordiga e Pannekoek, a Bordiga e basta e perfino a Zinovev e a Schactman… e questo per rimanere solo nel campo del cosiddetto antistalinismo. Ovviamente nessuna riscoperta di "scritti illuminanti", di teorici misconosciuti, nessuna svolta strategica, nessuna peripezia tattica è riuscita a risolvere il problema della "direzione" o della formazione di un partito rivoluzionario. I trotskisti, abbarbicati al Programma di transizione, hanno continuato a sostenere che "il problema della rivoluzione è essenzialmente il problema della direzione" e hanno inventato e messo a punto tutte le giravolte tattiche che avrebbero dovuto permettere il raggiungimento dello scopo. Così abbiamo visto centrismi, fronti unici persino con gli extraterrestri (!), partecipazioni elettorali con parole d'ordine sbalorditive e sostegni esterni a governi di sinistra (come cappi intorno al collo del riformismo, ovviamente).
Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?
Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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