Queste note, aggiunte alle altre prodotte precedentemente da vari compagni delle diverse località, potrebbero servire il giorno che riuscissimo a raccogliere l'insieme del materiale in un tutto unitario e pubblicarlo fra i semilavorati del web e poi sulla rivista. La prima osservazione che ci viene in mente rispetto alla corrispondenza passata è che le argomentazioni riguardanti la "probabilità" rispetto al realizzarsi di un evento non rientrano nel campo dell'indeterminismo ma fanno parte della corretta interpretazione del determinismo. Citiamo e glossiamo:
"Einstein non è l'alfiere dell'anti-determinismo, dell'anti-causalismo, il campione della teoria filosofica della incertezza o addirittura della impossibilità della scientifica conoscenza. E nemmeno del metodo probabilista, noto del resto ai classici e studiato nelle sue leggi fin da Laplace medesimo, che non si sarebbe contentato - se avesse pizzicato di politica - di dire: è solo molto probabile che la borghesia e la sua ideologia se ne vadano al diavolo" (Amadeo, FdT Relatività e determinismo).
Questo passo è potente, dato che riunisce 1) la critica all'indeterminismo; 2) la rivendicazione del materialista calcolo delle probabilità di Laplace, con le sue leggi, contro il probabilismo; 3) l'affermazione del fatto che, se lo scienziato fosse stato comunista, non avrebbe definito solo "probabile" il comunismo.
Einstein è il campione del continuo, dice Amadeo. Eppure quando Planck escogitò i "quanti" di luce, egli fu tra i primi ad accogliere entusiasticamente il nuovo metodo e quindi fu uno dei fisici che gettarono le basi della meccanica quantistica (probabilistica). La quale non è affatto indeterministica in senso ideologico, come pretenderebbe la scuola di Copenhagen (come s'è scritto da qualche parte c'è indeterminismo fisico anche nel calcolare la velocità dell'auto su cui viaggio). In diverse occasioni, ad esempio nell'articolo sulla scuola, abbiamo affrontato la difficoltà linguistica e comportamentale di unire la conoscenza di tipo analogico (continua) e la necessità di spiegarla con parole (informazione discreta, traducibile in bit). Comunque noi siamo allievi dei campioni del continuo. Con Lenin diciamo che:
"Causa ed effetto sono solo momenti dell'interdipendenza universale, della connessione universale, della reciproca concatenazione degli eventi, sono solo anelli della catena dello sviluppo della materia" (Quaderni filosofici).
Sappiamo che Lenin riteneva insufficiente ("vuoto di significato") il concetto di "interazione" in quanto riducibile a reciproca influenza di elementi singoli del tutto, mentre sosteneva, con Hegel, che con tale termine si deve intendere una particolare condizione del concetto universale. Immaginiamo che Lenin volesse dire (lo dice anche Hegel nel passo da lui glossato) che senza la mediazione universale si potrebbe spiegare la relazione di causa-effetto solo ricorrendo al girotondo dell'uovo e della gallina.
Questa storia della mediazione è sospetta, come vedremo subito: ha ragione Amadeo quando dice che Lenin s'è preso un'infatuazione indebita per Hegel: la mediazione non è necessaria, è invenzione ideologica e confonde le idee sul determinismo. Non sappiamo se al tempo di Lenin fosse già così, ma oggi il concetto di interazione è completamente derivato dal continuo di Einstein (e lavori successivi): nello spazio-tempo non è dato un qualcosa che non sia in interazione con qualcos'altro, perché ogni cosa ha massa e/o movimento e quindi non può non provocare la deformazione del "reticolo" spazio-temporale. Perciò ogni cosa interagisce e basta, senza alcuna mediazione del "concetto" generale. Del resto in Materialismo ed empiriocriticismo Lenin riferisce con entusiasmo la concezione monistica di Diderot, che è assolutamente identica, come "concetto", a quella di Einstein, perciò dimostra di saper fare a meno delle tortuosità di Hegel.
Tutto questo per dire che, come dal caos può emergere un ordine nascosto o addirittura un'auto-organizzazione della materia, così dall'ordine può scaturire il disordine e il caos. In natura, secondo la legge di entropia, se non vi fosse capacità della materia di assumere da sé stessa informazione, la tendenza locale sarebbe solo verso il caos. Ora, con la specie umana si è introdotto in natura un ancor più forte fattore di informazione (rovesciamento della prassi) e quindi la tendenza al caos è efficacemente combattuta. Ma il capitalismo (producendo e reinvestendo plusvalore) ha anche un effetto di retroazione positiva su sé stesso; e questo è già di per sé un potenziale che prepara la singolarità (cuspide, catastrofe, punto rivoluzionario di rottura). Cioè: caos + ordine = transizione al nuovo ordine).
Abbiamo citato Diderot e adesso ci serve citare il suo amico d'Alembert, la cui "equazione d'onda" è la rappresentazione perfetta del determinsmo di Laplace, cioè uno schema di reversibilità teoreticamente ineccepibile ancora oggi (il classico film girato in avanti e all'indietro, che ha il suo corrispondente nel "cono di luce" di Einstein, già visto trattando la "teleodinamica"). Questo schema ci dice che la probabilità teorica di entrare di nuovo nel caos è uguale a quella che abbiamo avuto quando ne siamo usciti. Infatti dire "determinismo" è per definizione uguale a dire "reversibilità". Questa è la bistrattata meccanica deterministica, laplaceana o newtoniana, ed è esatta, checché ne dica Prigogine.
Ma, com'è ovvio, gli schemi servono per capire, non per riprodurre condizioni reali, e l'onda perfetta nello stagno perfetto di grandezza infinita in un ambiente senza perturbazioni non esiste, così come non esiste l'orologio perfetto, il sistema planetario perfetto, la bicicletta perfetta, ecc. Vi sono fenomeni che si allontanano di poco dallo schema astratto, altri che non vi si avvicinano affatto, ma il principio, la legge, è sempre valida.
Questo per dire che le rivoluzioni sono anche prodotti umani in grado di mescolare determinismo "meccanico" ed emergenza di ordine dalla complessità del caos. Esse assumono informazione dall'ambiente e l'adoperano per renderlo neg-entropico (niente paura, vuol solo dire poco dissipativo, cioè marciante verso uno stadio superiore di ordine). La fisica moderna ci dice che una rivoluzione non è dunque altro che il movimento da uno stato della materia più probabile (il disordine) a uno meno probabile (l'ordine), come sa chiunque debba ogni tanto dare una sistemata all'alloggio in cui abita.
L'insieme delle leggi che sovrintendono la realizzazione di ciò che in natura è meno probabile si chiama "teoria dell'informazione" o, secondo il nostro linguaggio, "rovesciamento della prassi", "partito." La formalizzazione matematica è identica a quella utilizzata in termodinamica (secondo principio, entropia).
Adesso diciamo una cosa che potrebbe apparire strana: noi siamo i sostenitori della teoria del "meno probabile" realizzato con "certezza" dal proletariato tramite l'organo partito. Contraddizione? Sì, ma solo nel linguaggio. Anche noi della specie "homo" siamo il prodotto certo di eventi poco probabili, come dimostra Kauffman ("noi, i previsti") col semplice ricorso a un programma di legami atomici, cioè a una ben determinata emergenza di ordine dal disordine (in effetti Kauffman dimostra che queglieventi poco probabili sono inevitabili a causa di leggi intrinseche, è solo questione di tempo).
Ora, l'inevitabilità del comunismo deriva da una catena deterministica (rappresentabile con "n+1") che noi facciamo nostra sulla base di un'astrazione matematica come quella dell'equazione d'onda di d'Alembert. Solo che essa è "corretta" dall'introduzione di informazione nel processo e quindi la sua perfetta reversibilità diventa forte orientamento verso lo stato superiore di ordine. Rimane intangibile la formulazione matematica rigorosa della sequenza "n ... n+1", rimane la sua reversibilità perfetta (come nell'equazione d'onda e nel cono di luce), si aggiunge però una considerazione: l'introduzione di ordine-rovesciamento-della-prassi fa sì che la "probabilità" del traguardo non sia più uguale a quella del ritorno allo stato precedente.
Ricapitolando: la proverbiale tazzina che cade per terra e si rompe, ha poche probabilità di ritornare sul tavolo e ricomporsi come prima. Possiamo dire che siamo "certi" della irreversibilità dell'evento senza fare brutta figura, ma solo nel linguaggio approssimativo della vita quotidiana. Senza una formula matematica, dicono i fisici, la nostra affermazione è semplice affabulazione. La formula n+1 è reversibile (basta cambiare il segno, come nella formula di d'Alembert); la stessa formula reversibile si applica alla tazzina che si rompe (film girato all'indietro) ma la distanza dalla reale prassi è di probabilità 1/quasi infinito; cioè praticamente irreversibile. Perciò, visto che il rovesciamento della prassi esiste ed è in grado di cambiare la realtà, la crescita di ordine non solo impedisce che si rompano le tazzine ma ne rende possibile la produzione in massa.
Siamo più sicuri della rivoluzione con la teoria "probabilistica" dell'informazione (o della termodinamica, fa lo stesso) che non con il già fortissimo principio di induzione completa n+1. Entrambi ci servono per capire come anche fatti sociali come le rivoluzioni siano trattabili con rigoroso metodo scientifico.
Nota finale: la rovina di tutte le classi, adombrata da Marx nel Manifesto, si può assimilare a una regressione termodinamica, a una perdita d'informazione del sistema, alla tazzina che si rompe o alla camera che va in disordine; ma si può assimilare anche a una imperfetta regressione d'alembertiana, a un ritorno a bassi livelli di ordine o a una regressione di tipo n-1. Forse Marx l'ha citata en passant, senza darle troppa importanza, ma l'osservazione è insita negli invarianti del sistema, non è possibile non tenerne conto.
Ci auguriamo di non aver aggiunto nebbia invece che luce. Amen.
Un caro saluto dai subalpini.