L’altra concezione borghese è quella che prende i modi in cui si verifica la produzione e riproduzione del Capitale e li proietta su tutti i modi precedenti della riproduzione sociale: la storia ripete eternamente sé stessa e nella società borghese il movimento storico è giunto alla sua conclusione definitiva. Poiché nel processo di produzione immediato il lavoro oggettivato si oppone al lavoro vivente nella forma di mezzi di produzione in quanto capitale, la pietra in mano all’uomo primitivo, in quanto mezzo di produzione, è già capitale.
Queste due concezioni sono tra di loro in un rapporto complementare e il loro comune punto di partenza può essere riassunto con la frase: "La storia è stata ed ora non è più".
Se noi vogliamo comprendere la storia come movimento reale, e non come addizione delle fasi storiche o come riscoperta dell’invariabile "natura umana", dobbiamo cogliere le forme di produzione successive nella storia dell’umanità in quanto passaggi necessari fin dall’inizio della storia umana; questa necessità non è da intendere in modo astratto, sempre uguale, ma solo nelle rispettive determinazioni.
Questa necessità alle spalle del movimento storico è la necessità di riprodurre la vita umana mediante il lavoro, dunque l’appropriazione della natura mediante il lavoro: "Tutta la cosiddetta storia mondiale non è altro che la produzione dell’uomo ad opera del lavoro umano, non è altro che il divenire della natura per l’uomo" (Manoscritti).
La tesi generale: "Il lavoro come ricambio organico con la natura é il fondamento di tutte le forme socializzate in cui gli uomini sono mai necessariamente entrati", si realizza solo ai livelli molto sviluppati della produzione sociale.
"Il lavoro sembra una categoria semplicissima. Anche la nozione del lavoro in questa generalità - come lavoro in generale - è antichissima. Nondimeno, compreso in questa semplicità dal punto di vista economico, il "lavoro" è una categoria moderna quanto i rapporti che creano questa semplice astrazione [...] L’indifferenza verso un genere di lavoro determinato presuppone una totalità molto sviluppata di generi di lavoro reali, nessuno dei quali domini più sull’insieme. Così le astrazioni più generali sorgono solo dove più ricco è lo sviluppo concreto, dove un elemento appare come l’elemento comune a molti, comune a tutti. Allora esso cessa di poter essere pensato solo in forma particolare. D’altro canto, questa astrazione del lavoro in generale non è soltanto il risultato mentale di una concreta totalità di lavori. L’indifferenza verso un lavoro determinato corrisponde a una forma di società nella quale gli individui passano con facilità da un lavoro all'altro e in cui il genere determinato del lavoro è per essi fortuito, quindi indifferente. Non solo nella categoria, ma nella realtà il lavoro qui è divenuto il mezzo per la creazione della ricchezza in generale, e come determinazione ha cessato di concrescere con gli individui in una dimensione particolare. Un tale stato di cose è sviluppato al massimo nella più moderna forma di esistenza delle società borghesi, gli Stati Uniti. Solo qui diviene per la prima volta praticamente vera l’astrazione della categoria 'lavoro', 'lavoro in generale', lavoro sans phrase, che è il punto di avvio dell’economia moderna. Quindi l’astrazione più semplice, che l’economia moderna colloca al vertice e che esprime una relazione antichissima e valida per tutte le forme di società, appare però praticamente vera in questa sua astrazione solo come categoria della società più moderna". (Grundrisse pag. 28-30).
Il punto cardinale del nostro esame non è quello di risolvere tutta la storia umana con la necessità dell’appropriazione della natura mediante il lavoro - e ciò in effetti non significherebbe altro che vedere dei processi in ripetizione perpetua - ma quello di vedere come questa determinatezza, che esiste già all’inizio dell’umanità, si realizzi effettivamente solo nel suo sviluppo sociale, cioè nelle forme determinate dei rispettivi rapporti di produzione.
"Questo esempio del lavoro rivela con assoluta evidenza come anche le categorie più astratte, sebbene siano valide - proprio a causa della loro astrazione - per tutte le epoche, in ciò che vi è di determinato in questa astrazione stessa sono tuttavia il prodotto di condizioni storiche e hanno piena validità soltanto per e all’interno di tali condizioni". (Gr. pag. 30)
Se questo ricambio organico con la natura esiste necessariamente fin dall’inizio, esso si attua tuttavia in una forma nella quale il lavoro stesso è sottoposto ancora interamente alla natura che lo influenza dall’esterno. Il lavoro non si manifesta affatto nella forma generale-sociale ma in quella limitata originaria, naturale. Solo in un processo che porti al superamento dei limiti posti dalla natura per giungere a condizioni effettive poste dagli uomini mediante il loro lavoro, si sviluppa ciò che fin dall’inizio era presupposto, cioè la riproduzione della specie umana mediante il lavoro, che diventa una reale condizione umana posta proprio dall’uomo, e perciò conoscibile.
Ciò significa che lo sviluppo della storia umana nel suo divenire può essere compreso solo attraverso il risultato ulteriormente raggiunto in cui tutti gli elementi si riassumono in un modo di produzione specifico, oggi il modo di produzione capitalistico.
Solo i rapporti sviluppati permettono di decifrare il contenuto dei modi di produzione passati come passi verso tale sviluppo già attuato. Ciò non significa adottare un metodo retrospettivo di considerazione, non si tratta di adeguarsi al modo con cui l’andamento delle cose si presenta nella testa, si tratta invece dell’andamento delle cose in quanto tale.
"Con tutto ciò resterebbe sempre il fatto che le categorie semplici sono espressione di rapporti nei quali il concreto non sviluppato può essersi realizzato, senza avere ancora posto la relazione o il rapporto più complesso che è espresso intellettualmente nella categoria più concreta; mentre il concreto più sviluppato conserva quella stessa categoria come un rapporto subordinato. Il denaro può esistere ed è storicamente esistito prima che esistessero il capitale, le banche, il lavoro salariato ecc. In questo senso si può quindi affermare che la categoria più semplice può esprimere i rapporti dominanti in una totalità meno sviluppata o i rapporti subordinati in una totalità più sviluppata, rapporti che storicamente esistevano ancor prima che la totalità si sviluppasse nella direzione espressa da una categoria più concreta. In questo senso il movimento del pensiero astratto, che dal più semplice risale al complesso, corrisponderebbe al processo storico reale". (Gr. pag. 27).
Il contenuto sostanziale di questa determinata forma di produzione si manifesta allorquando viene superato. Nel processo di produzione capitalistico, il carattere sociale del lavoro diviene per la prima volta la base generale per la produzione. Il lavoro vivente, in quanto unico creatore di valore e plusvalore, viene determinato per la prima volta come pura grandezza sociale: nella merce-valore commisurata al lavoro socialmente necessario per la produzione della merce.
La determinazione della produzione, cioè che si parte dal lavoro vivente in quanto unico "elemento di produzione" creando valore - e ciò nella sua determinazione sociale - non sorge affatto nei calcoli e nella coscienza degli agenti di questa produzione, quindi nei capitali singoli concorrenziali. Nel prezzo di costo, dunque nel capitale anticipato per la produzione, tutte le differenze dei singoli elementi di produzione appaiono del tutto cancellati. Poiché l’aumento della produttività - cioè l’aumento della composizione organica del capitale - significa appunto la diminuzione del lavoro vivente (diminuzione del salario), deve sembrare assurdo dichiarare per parte sostanziale del profitto e della ricchezza sociale proprio quel fattore che diminuisce relativamente con l’aumento della produttività. D’altronde, il dispendio in forza-lavoro nel processo immediato della produzione sotto forma di salario, si presenta al lavoratore come un qualunque scambio di merci, e la merce forza-lavoro, in quanto gli appartiene, gli si presenta come merce tra le altre.
Solo nel superamento di questo modo di produzione - in cui la capacità sociale di lavoro si oppone al lavoratore come potenza ostile, come potenza del capitale - diviene visibile il lavoro vivente in quanto unica fonte della ricchezza sociale; la realizzazione della socializzazione del lavoro - non più separata dall’individuo sociale come potenza ostile - diviene unico scopo della produzione.
La realizzazione della base su cui poggia la produzione capitalistica, così come la facoltà di comprendere questa stessa base, premono nella direzione di questo superamento. Così Marx può dire della sua critica all’economia politica:
"Spero di infliggere alla borghesia un colpo tale, per quanto riguarda la teoria, dal quale essa non si riavrà più" (Lett. Marx a Klings del 4.10.1864).
2) Sull’analisi del modo di produzione feudale.
Per l’analisi del modo di produzione feudale ciò vuol dire che si deve analizzarlo come il divenire degli elementi del modo di produzione capitalistico. Ma questo non significa affatto che la forma capitalistica si prolunghi, nella sua determinatezza, nel passato: un tale modo di ragionare non sarebbe che un riflesso dell’apologia della scienza borghese, la quale, spostando la società borghese in epoche passate di produzione sociale, si cura di legittimare questa società.
Il divenire delle categorie che determinano il sistema capitalistico mercantile (M-D-Prezzo-Lavoro salariato-Capitale ecc.) si verifica quindi addirittura al di fuori del Capitale in quanto rapporto di produzione divenuto. Il capitale commerciale in quanto punto di avvio della produzione capitalistica, e il capitale commerciale in quanto funzione autonomizzata del capitale industriale nel rapporto di capitale compiuto, non hanno a che fare l’uno con l’altro; essi si contrappongono, e l’ultimo non è spiegabile mediante il primo. Si riferiscono reciprocamente soltanto per il fatto che il Capitale si è impadronito realmente della produzione.
"Una volta presupposta la produzione fondata sul capitale [...] - la condizione per cui il capitalista, per porsi come capitale, deve immettere in circolazione valori creati col proprio lavoro o come che sia, purché non con il lavoro salariato già esistente, passato -, questa condizione rientra tra le condizioni antidiluviane del Capitale; rientra tra i suoi presupposti storici, che appunto in quanto tali sono passati e quindi fanno parte della storia della sua formazione, ma in nessun caso della sua storia contemporanea, non rientrano cioè nel sistema reale del modo di produzione da esso dominato. Se ad esempio la fuga dei servi della gleba verso la città è una delle condizioni e delle premesse storiche del sistema delle città, essa non è però in alcun caso una condizione, un momento della realtà del sistema comunale sviluppato, ma appartiene invece ai suoi presupposti passati, ai presupposti del suo divenire, i quali sono superati nel suo esistere. Le condizioni e ipresupposti del divenire, del sorgere del capitale, sottintendono appunto che esso non è ancora, ma si trova nella fase del divenire; essi scompaiono quindi in presenza del capitale reale, del capitale che pone esso stesso, a partire dalla propria realtà, le condizioni della sua realizzazione [...] Le condizioni che esprimono il divenire del Capitale, non rientrano quindi nella sfera del modo di produzione a cui il Capitale serve da presupposto; esse stanno alle sue spalle come livelli storici preliminari, allo stesso modo in cui i processi attraverso i quali la Terra è passata dallo stato fluido di mare di fuoco e di vapori alla sua forma attuale, si collocano in una fase che precede la sua vita di Terra formata [...] D’altro canto - e ciò per noi è molto più importante - il nostro metodo rivela i punti in cui si deve inserire la considerazione storica, o in cui l’economia borghese come mera forma storica del processo di produzione rinvia, al di là di sé stessa, a modi storici di produzione precedenti. Per sviluppare le leggi dell’economia borghese non è quindi necessario scrivere la storia reale dei rapporti di produzione ma la nozione e l’analisi corretta di questi rapporti in quanto divenuti essi stessi storicamente, conduce sempre a prime equazioni - come i numeri empirici, ad esempio, nelle scienze naturali - che rinviano ad un passato che sta alle spalle di questo sistema. Questi accenni, accompagnati dalla giusta comprensione del presente, offrono poi anche la chiave per la comprensione del passato - che è un lavoro a sé al quale speriamo di poterci ancora dedicare. D’altro canto questa giusta osservazione porta all’individuazione di punti nei quali si profila il superamento della forma attuale dei rapporti di produzione - e quindi il presagio del futuro, un movimento che diviene. Se da una parte le fasi preborghesi si presentano come presupposti soltanto storici, cioè superati, le condizioni attuali della produzione si presentano d’altra parte come autosopprimentisi e quindi come condizioni che pongono i presupposti storici per una nuova situazione della società". (Grundr. pag. 436-39).
Anche il legarsi dei singoli elementi (un processo, in cui questi elementi si trasformano dai presupposti della produzione capitalistica in momenti reali di questa stessa forma di produzione - e questo processo è quello dell’accumulazione originaria) si svolge al di fuori del Capitale in quanto rapporto attuato. L’accumulazione originaria si distingue nettamente dal modo di produzione capitalistico una volta divenuto dominante, allorché, dunque, il Capitale riaccende sempre di nuovo in sé stesso le condizioni della sua stessa riproduzione. L’agente dell’accumulazione originaria non è il Capitale (al suo posto esiste soltanto il tesoro nelle singole mani), ma la proprietà terriera feudale e lo stato feudale, i quali, imponendo i loro propri interessi, effettuano la separazione dei mezzi di produzione dai produttori. La formazione delle condizioni della produzione moderna nel grembo della società feudale si compie al di là del Capitale quale rapporto sociale divenuto: I singoli momenti non pongono essi stessi il Capitale, non sono identici con esso ("Ma preso a sé, come vedremo subito più avanti, il suo [del capitale commerciale] sviluppo è insufficiente a rendere possibile e spiegare il trapasso da un modo di produzione all’altro" Cap. III pag. 414); anche la forma particolare costituita dai detti momenti nel loro rapporto reciproco rimane il risultato del modo di produzione feudale, ed essa spiega, perché la forma feudale ha potuto compiere il passaggio - in Europa Centrale a differenza dell’Asia - al rapporto di Capitale. ("Tuttavia nel suo primo periodo, il periodo manifatturiero, il modo di produzione moderno si sviluppa soltanto là dove le condizioni a ciò necessarie si erano prodotte nel corso stesso del Medioevo". Cap. III pag. 421).
Eppure lo sviluppo, e con ciò il contenuto del modo di produzione feudale, possono essere concepiti solo dal punto di vista del risultato, dal rapporto di Capitale attuato. Né lo sviluppo né il contenuto e neanche il loro rapporto reciproco, come pure la loro evoluzione, sono afferrabili, se non vengono concepiti come presupposti reali del Capitale; al di là di esso sono niente. La determinazione del modo di produzione feudale è quella di sopprimere sé stessa, e questa soppressione è identica con l’imporsi del modo di produzione capitalistico.
Il presupposto più generale del trapasso dal feudalesimo al capitalismo (separazione dei produttori originari dai loro mezzi di produzione) si svolge appunto al di là della sfera di produzione determinante per il Capitale. Entro il processo in cui lo scambio delle singole produzioni eccedenti si trasforma nello scambio generale di merci, e in cui la forma del denaro si sviluppa nell’equivalente generale dello scambio, le variazioni verificatesi nella forma feudale sono sempre modificazioni nell’ambito della sfera di circolazione. La formazione della relazione denaro-merce non rappresenta un passaggio al Capitale - ma è il suo contrario. Il capitale commerciale, in quanto agente della sfera di circolazione, quindi della circolazione semplice delle merci, separa addirittura i due estremi il cui scambio deve rendere possibile; cioè separa i produttori delle merci l’uno dall’altro e dalla circolazione; la produzione stessa nella sua determinata forma rimane immutata ed è soltanto l’estensione e la generalizzazione dello scambio delle merci che generalizza la produzione delle merci, ma senza attaccare direttamente quel modo di produzione.
"Sviluppo autonomo e prevalente del Capitale in quanto capitale commerciale significa mancata sottomissione della produzione al Capitale, quindi sviluppo del Capitale sulla base di una forma sociale della produzione ad esso estranea e da esso indipendente. Lo sviluppo autonomo del capitale commerciale sta dunque in ragione inversa allo sviluppo economico generale della società. Il patrimonio commerciale indipendente, come forma dominante del capitale, è l'autonomizzazione del processo di circolazione nei confronti dei suoi estremi, e questi estremi sono gli stessi produttori che effettuano lo scambio. Questi estremi rimangono autonomi nei confronti del processo di circolazione, e questo processo nei loro confronti. Il prodotto qui diventa merce grazie al commercio. E’ il commercio, qui, che sviluppa la configurazione dei prodotti in merci; non è la merce prodotta il cui movimento costituisce il commercio" (Cap. III pag. 414-15).
Con ciò anche il denaro viene fissato nella circolazione, esso assume la forma del tesoro e rimane relegato in essa. Tutte le determinazioni della produzione di merci si affermano qui mediante il loro contrario: La determinazione del valore, così com’è rappresentata nello scambio di equivalenti, si realizza nello scambio ineguale, nella truffa del commercio al produttore, della città alla campagna.
"Il puro indipendente profitto commerciale appare prima facie impossibile finché i prodotti si vendono ai loro valori. Comprare a buon mercato per vendere più caro, è la legge del commercio. Dunque, non lo scambio di equivalenti. Il concetto del valore vi è implicito nella misura in cui le diverse merci sono tutte valori, quindi denaro; per qualità, sono tutte uniformemente espressioni del lavoro sociale. Ma non sono eguali grandezze di valore. Il rapporto quantitativo incui si scambiano i prodotti è a tutta prima affatto accidentale. Essi prendono forma di merci nella misura in cui sono entità scambiabili in generale, cioè espressioni del medesimo terzo termine. Lo scambio prolungato e la più regolare riproduzione per lo scambio sopprimono sempre più questa accidentalità: ma, a tutta prima, non per i produttori e i consumatori, bensì per l'intermediario fra i due, il commerciante, che confronta i prezzi in denaro e intasca la differenza, generando con il suo stesso movimento l'equivalenza" (Cap. III pag. 417).
In rapporto all'accumulazione del capitale cittadino durante il Medioevo, Smith nota molto giustamente in questo capitolo che essa è dovuta principalmente allo sfruttamento della country tanto da parte del commerce, quanto da parte dei métiers. Si aggiunsero gli usurai. Finalmente la haute finance; in breve i banchieri (Teorie sul plusvalore, OC vol. XXXV pag. 243).
Altrettanto erroneo sarebbe concludere che si possa giungere dalle modificazioni del modo di produzione feudale (come l’aumento della produttività mediante invenzioni o la maggiore efficienza nell’uso dei mezzi di produzione ecc.) direttamente al trapasso al capitale. Le modificazioni del processo produttivo, la generalizzazione della produzione di merci, l’accumulazione dei mezzi di lavoro nelle singole mani (corporazioni) sono dovuti all’allargamento della circolazione. Questa circolazione determina la produzione, il trapasso dal denaro al capitale non si verifica soltanto a causa di queste modificazioni.
Non sono il patrimonio monetario oppure il mero allargamento della produzione di merci - anche se questi rappresentano i presupposti necessari per la formazione del rapporto di capitale - a costituire il passaggio reale al capitale ma la separazione del produttore originario dai suoi mezzi di produzione, quindi la nascita del libero lavoratore salariato.
Con ciò il semplice scambio di merci (Merce-Denaro-Merce) passa in una produzione in cui le merci vengono prodotte soltanto in ragione del loro valore di scambio (dunque come merci depositarie del plusvalore). La realizzazione del plusvalore come categoria della produzione attuata diviene il momento (Denaro-Merce-Denaro) determinante. Però questa separazione si verifica in realtà al di fuori di quei settori in cui il tesoro si era accumulato come denaro-capitale latente. E’ infatti determinata dallo sviluppo della rendita terriera feudale e dalla dissoluzione delle corporazioni. Questa separazione è imposta nei fatti con la violenza: la violenza delle istituzioni statali feudali.
"È ovvio - e lo si vede esaminando più da vicino l’epoca storica in questione - che il periodo, della dissoluzione dei precedenti modi di produzione e dei rapporti del lavoratore con le condizioni oggettive del lavoro - è effettivamente in pari tempo un periodo nel quale da un lato il patrimonio monetario si è già sviluppato con una certa ampiezza, dall’altro aumenta rapidamente e si espande per le stesse circostanze che accelerano quella dissoluzione. Esso stesso è in pari tempo uno degli agenti di quella dissoluzione, così come quella dissoluzione è la condizione della sua trasformazione in capitale. Ma la pura esistenza del patrimonio monetario e perfino la conquista di una sorta di supremazia da parte sua non basta in alcun caso ad assicurare quella dissoluzione in capitale. Altrimenti l'antica Roma, Bisanzio ecc., avrebbero concluso la loro storia con il lavoro libero e il capitale, o piuttosto avrebbero dato inizio a una nuova storia. Anche lì la dissoluzione dei vecchi rapporti di proprietà era legata allo sviluppo del patrimonio monetario - del commercio, ecc. Ma invece che all'industria, questa dissoluzione portò di fatto al dominio della campagna sulla città. - La formazione originaria del capitale non avviene nel senso che il capitale accumuli, come si pensa, mezzi di sussistenza, strumenti di lavoro e materie prime, in breve le condizioni oggettive di lavoro distaccate dal suolo e già combinate con il lavoro umano. Non avviene nel senso che il capitale crea le condizioni oggettive del lavoro. La sua formazione originaria avviene invece semplicemente per il fatto che il lavoro esistente come patrimonio monetario viene messo in condizione, attraverso il processo storico della dissoluzione del vecchio modo di produzione, da un lato di comprare le condizioni oggettive del lavoro, dall'altro di ottenere in cambio di denaro lo stesso lavoro vivo dagli operai divenuti liberi. Tutti questi momenti sono presenti; la loro separazione stessa è un processo storico, un processo di dissoluzione, ed è questo processo che permette al denaro di trasformarsi in capitale. Il denaro stesso, nella misura in cui partecipa a questo processo, lo fa soltanto in quanto vi interviene come un mezzo di separazione estremamente energico, e in quanto partecipa alla creazione di lavoratori liberi, privi delle condizioni oggettive; non certo perché esso crea per essi le condizioni oggettive della loro esistenza; ma in quanto contribuisce ad accelerare la loro separazione da queste condizioni - la loro mancanza di proprietà. Quando ad esempio i grandi proprietari fondiari inglesi licenziavano i loro retainers, che consumavano insieme a loro il prodotto eccedente della terra; quando inoltre i loro fittavoli cacciavano i piccoli contadini pigionali ecc., in questo modo veniva in primo luogo gettata sul mercato del lavoro una massa di forze di lavoro vive, una massa che era libera in due sensi: libera dagli antichi rapporti di clientela o di servitù e di prestazione, e inoltre libera da ogni avere e da ogni forma di esistenza oggettiva, materiale, libera da ogni proprietà; una massa ridotta a trovare l'unica fonte di guadagno nella vendita della propria capacità di lavoro, o nella mendicità, nel vagabondaggio, nella rapina. È assodato storicamente che essi hanno tentato dapprima quest'ultima via, ma che da questa sono stati però spinti mediante la forca, la gogna e la frusta, sulla stretta via che conduce al mercato del lavoro - qui i governi, ad esempio quelli di Enrico VII, VIII ecc., figurano come condizioni del processo storico di dissoluzione e come creatori delle condizioni di esistenza del capitale" (Gr. 487-489).
Perciò dobbiamo distinguere nettamente il divenire del capitale come preistoria antidiluviana dal capitale divenuto in quanto modo di produzione dominante. Sono vietate analogie per spiegare questo passaggio (sfruttamento nel modo di produzione feudale = produzione di plusvalore; Cittadinanza medioevale = borghesia; denaro = capitale; lotta di classe nella società feudale = antagonismo lavoro salariato-capitale). Nello stesso tempo la produzione feudale non è altra cosa, collocata nell’al di là, ma essa è concepibile soltanto partendo dal trapasso al capitale nella accumulazione originaria. Allora l’analisi della determinatezza del modo di produzione capitalistico (che non si basi su ciò che hanno in comune tutte le società di classe finora esistite, dunque lo sfruttamento, ma sulla forma particolare di estorsione di plusvalore) permette di vedere la produzione feudale nella sua differenza rispetto al capitalismo e, nello stesso tempo, di riconoscere in questa differenza la dissoluzione dei suoi propri fondamenti e il trapasso necessario al modo di produzione capitalistico.