Storia delle origini e origine della storia

La questione che vorrei porre è stata indotta (fomentata?) dalla lettura de "Un'antica forma sociale comunistica già urbana" - da adesso "Caral" - ma non si sostanzia tanto nel testo, quanto nel suo pre-testo, vale a dire alla valenza che attribuisce o che occorre attribuire al comunismo primitivo.

Alcuni passaggi di "Caral" mi sembra che integrino la descrizione dei reperti archeologici con asseverazioni o almeno con intenzioni, cioè volte al fine di rappresentare il sito di Caral come "...forma sociale perfettamente sviluppata, urbana...con segni di evoluta organizzazione e, soprattutto grande capacità pianificatrice...(laddove) gli abitanti di Caral erano capaci di un grande sforzo collettivo...la comunità della valle disponeva evidentemente di una grande quantità di energia, cioè molti uomini avevano accesso al cibo prodotto...("Caral" pagina 2) siamo agli albori della barbarie intermedia...ma con dementi contraddittori. Un'avanzata struttura urbana e agraria è utilizzata da una forma sociale ancora legata a forme comunistiche primitive antichissime...("Caral" pagina 3) Caral è ancora comuni sta... mostra ancora una struttura sociale pienamente organica...agli albori della civilizzazione...questo residuo comunistico...dimostra che una comunità di uomini ben organizzata e residente in città progettate ex novo a misura del bisogno sociale può benissimo fare a meno delle classi e dello Stato".

Penso che sia importante situare quanto sopra riportato come quadro emergente dai reperti di Caral, nel disegno storico complessivo della società umana così come è delineato da Marx.

Vorrei dire da subito che nel procedere di queste considerazioni alcuni concetti saranno esposti in forma succinta, spero non invereconda, un po' ^per non appesantire troppo lo svolgimento ma soprattutto perché l'analisi delle società pre-borghesi apre campi di grande interesse teoretico epperò talmente vasti da necessitare per ogni sezione lavori di grande e lunga lena quindi al di fuori della portata di queste considerazioni.

C'è dapprima una "unità originaria", il comunismo primitivo dove l'umanità partecipa all'appropriazione collettiva dei beni di sussistenza dove sussistono due condizioni essenziali: l'uomo è sotto un .aspetto membro di una comunità e per l'altro è unito agli strumenti di produzione che detiene, ma forse è meglio dire usa in condivisione con gli altri uomini.

E' costituita in tale forma l'unità degli uomini viventi e attivi con le condizioni naturali inprganiche della natura, e per conseguenza la loro appropriazione della natura. Non c'è divisione del lavoro e divisione in classi, conscguentemente la comunità non si organizza in Stato.

Si può dire che sia una formazione sociale in equilibrio, compatta ed omogenea; e questo per lo sviluppo del ragionamento è estremamente importante.

Tale società è configurata dal fatto che l'individuo ha un rapporto immediato con la condizione naturale e lo strumento originario di lavoro, la terra, che dunque non è appropriata attraverso il lavoro ma è presupposta ad esso e, dal fatto che l'individuo stesso ha un rapporto immediato con i suoi simili nella misura in cui è membro di una comunità.

Fin qui non credo che insorgano particolari questioni, d'altra parte sono concetti cardine del disegno marxista della storia, nello stadio delle società pre-borghesi.

Le difficoltà si manifestano o per meglio dire ce le mette di fronte e direi attraverso, lo stesso Marx quando a pagina 14 del secondo volume dei Grundrisse ci dice: "non è l'unità (originaria)...che ha bisogno di una spiegazione o che è il risultato di un processo storico, ma... (ritornerò dopo sulla proposizione susseguente contrassegnandola con un asterisco *).

L'unità originaria non è allora il risultato di un processo storico. Non si può non dire diversamente ricordando quanto precedentemente tratteggiato riguardo alla costituzione della unità originaria e al concetto che la terra è presupposta al lavoro e che quindi l'individuo si trova in rapporto con le condizioni obbiettive del lavoro come sue proprie.

Ora, con il lavoro gli uomini modificano sé stessi e la stessa natura sino a divenire totalità. In che senso totalità? ce lo spiega lo stesso Marx nei Manoscritti del 1844 a pagina 115: "...l'uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale, e quindi come uomo totale".

L'uomo vero, reale, esito e prodotto del suo proprio lavoro.

Al contempo l'oggettivazione del suo lavoro sino ad oggi gli è apparsa nella forma di estraniazione, lavoro morto come potenza ostile, attività estranea a sé stessa, cioè negazione di sé stessa.

Ma questo processo di estraniazione è il processo storico che presuppone la scissione e la dissoluzione dell'unità originaria, è (riprendo con un asterisco)*"...la separazione di queste condizioni organiche dell'esistenza umana da questa esistenza attiva, una separazione che si attua pienamente nel rapporto tra lavoro salariato e capitale". (Grundrisse, pagina 114).

L'unità originaria si è spezzata e regna sovrana la scissione; gli elementi finora uniti entrano in rapporto negativo l'uno con l'altro (Gundrisse, vol. II, pagina 133, mia la parafrasi) e tale è il processo storico.

Ma possiamo ben dire che la locuzione "rapporto negativo" acceda immediatamente a quella di " rapporto contraddittorio". Contraddizione che caratterizza il lavoro stesso che nella sua immediatezza non vale nulla ma che per realizzarsi deve compiere un salto mortale, trascendere il suo valore d'uso e trasfigurarsi in lavoro astratto e indifferenziato, valore'di scambio.

(Il tutto è nella dialettica della merce che non ritengo qui e ora necessario affrontare distesamente).

Torno indietro, dopo aver posto questi cenni sul lavoro, al momento della scissione dell'unità originaria.

Perché avviene la scissione originaria? "Dal punto di vista storico, questa inversione (l'inversione realizzata dalla società borghese nel processo di alienazione del lavoro) appare come il passaggio obbligatorio per ottenere, a spese della maggioranza, la creazione della ricchezza in quanto tale, l'inesorabile sviluppo di quelle forze produttive del lavoro sociale che sole possono fornire la base materiale di una libera società umana. Passare attraverso questa forma contraddittoria è necessario". (Il Capitale: libro I, capitolo VI inedito).

Questa forma contraddittoria è la forma storica , azzarderei: la storia stessa. Chiedo conforto ancora a Marx che lapidario nell'incipit del "Manifesto" afferma: "La storia di ogni società fin qui esistita è storia di lotte di classe. ...in breve oppressori ed oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto e condussero una lotta ininterrotta...la società civile moderna... non ha eliminato gli antagonismi tra le classi...".

Ma "...d'altra parte, se noi non trovassimo già occultate nella società, così com'è, le condizioni materiali di produzione e i loro corrispondenti rapporti commerciali per una società senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero altrettanti sforzi donchisciotteschi". (Grundrisse, volume I pagina 280).

Schematizzando si può dire che il disegno di Marx preveda un primo stadio, quello delle società pre-borghesi, caratterizzato dall'unità originaria dell'uomo con la natura e con la comunità degli altri uomini; un secondo stadio quello delle società borghesi in cui quell'unità originaria si divisa e in cui gli elementi costitutivi entrano in rapporto negativo, cioè contraddittorio dunque dialettico senza tuttavia che uno degli elementi scompaia e un terzo e superiore stadio in cui in forma più ricca e complessa l'unità originaria sarà ricomposta: la società comunista.

Appare che, sia per quanto si evince dallo schema presentato che per quanto esposto nelle note che lo precedono e dunque lo introducono, tra il primo e il secondo stadio la caratteristica "fomentante" del secondo è la dialettica che forzando un po' - ma ritengo nemmeno poi troppo, sia eminentemente la dialettica della mercé.

Azzardo una movenza sillogistica: la dialettica fomenta (il verbo fomentare è tratto dai Grundrisse a proposito del lavoro vivo che "fomenta", vivifica il lavoro morto) il disegno storico marxiano, direi recisamente la storia - penso all'incipit del "Manifesto" - la dialettica è la dialettica della merce, di tutta la società borghese, che "fa" la storia, dove non c'è merce non c'è dialettica e quindi non c'è storia o almeno non sussiste storia così come fino ad oggi l'abbiamo conosciuta (storia di lotta di classi).

Dal sillogismo stabilito discendono immediatamente alcune considerazioni e sale il soffio di alcune domande.

La formazione sociale originaria, lo stadio del comunismo primitivo, era una società omogenea, (non dialettica o a-dialettica?) non si era ancora prodotta la scissione originaria, non si era dissolta. L'attività umana era ancora strettamente intrecciata alla natura e da essa condizionata, il singolo individuo non si è ancora staccato dalla tribù così come l'ape singola non si stacca dall'alveare.

Marx in un passaggio dei Grundrisse (volume II, pagine 11 e 12) sembra valutare positivamente la rottura dell'unità originaria, nella sua attuazione piena, nel rapporto tra lavoro salariato e capitale.

Vediamo come: " In virtù di questa tendenza il capitale spinge a superare sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l'idolatria della natura, la soddisfazione tradizionale ristretta entro angusti limiti, dei bisogni esistenti, e la riproduzione del vecchio modo di vivere. Nei riguardi di tutto questo il capitale opera distruttivamente, attua una rivoluzione permanente, abbatte tutti "gli ostacoli che frenano lo sviluppo delle forze produttive, la dilatazione dei bisogni, la varietà della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito."

Tuttavia le contraddizioni dialettiche che sono immanenti al modo di produzione capitalistico, determinate dalla scissione originaria, dal superamento (ma è lecito definirlo così?- io credo di sì) dell'unità originaria, minano i fondamenti stessi della società borghese e ne preparano la sua fine e l'avvento di una nuova e superiore formazione sociale.

Ma nello stadio del comunismo primitivo, che non conosceva valori di scambio, cioè merci, quale dialettica, cioè quale negazione si poneva nei rapporti sociali? Se non c'erano classi, cioè contraddizione di classe e dunque storia come lotta di classe, perché lo sviluppo delle forze produttive non ha corrisposto ai bisogni dell'umanità organizzata in formazione sociale comunistica e dunque secondo i suoi propri bisogni, bisogni umani, ed è stato obbligatorio (giusta Marx, II Capitale Capitolo VI inedito pagina 21), direi assolutamente necessario, il passaggio ad una formazione sociale caratterizzata da rapporti sociali negativi, contraddittori e dialettici in cui la produzione non è più di valori d'uso ma di valori di scambio?

Tra l'altro Marx, nel passo tratto dai Grundrisse (volume II, pagine 11 e 12) già citato e che ripropongo, non sembra indulgere in nostalgie per l'unità originaria ma scrive l'apologià della borghesia e il dispiegarsi della sua potenza planetaria.

Ma è altresì Marx che esercita la sua critica dell'economia politica tutta all'interno del modo di produzione capitalistico, in cui coglie, trae, anticipa, prospetta quell'unità ricca che sarà la società comunista compimento del "suo", di Marx, disegno storico.

Il compimento ricondurrà all'unità gli elementi divisi dalla scissione originaria, vale a dire il proletariato negherà sé stesso come tale, cioè come elemento vivificatore del lavoro morto, fomite del processo di autovalorizzazione del capitale.

Consideriamo in connessione le due società, quella del comunismo primitivo e quella comunista: in entrambe la produzione è di valori d'uso e non di valori di scambio; detta altrimenti in entrambe il lavoro non ha carattere di alienazione.

Tuttavia Marx ci insegna ad astrarre dalla rappresentazione immediata con un procedimento analitico che dal concreto ascende all'astratto e poi torna al concreto, laddove non si avrà più la rappresentazione caotica di un insieme ma una totalità ricca fatta di molteplici determinazioni e relazioni. (La parafrasi, mia, è tratta da "Per la critica dell'economia politica, pagina 188".

Vediamo allora in riferimento al lavoro cosa è diverso dietro l'apparenza, appunto, della similarità analogica.

Nel comunismo primitivo lo strumento originario del lavoro, la terra, è presupposta al lavoro stesso e le condizioni obbiettive del lavoro sono le sue proprie.

Ma nella società comunista al suo grado più alto la natura è ormai il prodotto e una trasformazione dell'uomo che d'altra parte ne è a sua volta trasformato, esito del disegno storico che dallo stadio del comunismo primitivo è pervenuto alla forma del comunismo superiore, stadio più alto dell'umanità. Lascio parlare ancora Marx: "...Tutta la storia del mondo (storia di lotta di classe, è lecito confermare ma io oserei ribadire) non è altro che la generazione dell'uomo mediante lavoro umano, null'altro che il divenire della natura per l'uomo ("Manoscritti economico-filosofici del 1844")".

Lo sviluppo delle forze produttive determina nuovi rapporti sociali, rapporti senza classi, ma lo sviluppo delle forze produttive ha anche modificato profondamente la natura, che di per sé separata dall'uomo nulla conterebbe. Dunque la natura si è fatta umana ma il suo presupposto, il suo essere, è ora storico frutto, cioè del lavoro umano alienato, conformato nella sua valenza astratta, come valore di scambio, dalla scissione e ora ricomposto.

II lavoro nell'unità originaria era presupposto dalla terra, nella società comunista, nell'unità ricomposta sarà esso stesso il presupposto. E poiché sarà lavoro non più espressione di un rapporto negativo, contraddittorio e dialettico ma di una comunità organica sarà esso stesso reso naturale ma da una natura che a sua volta è stata umanizzata. Il ricambio organico tra uomo e natura sarà allora sotto le specie della libertà e non quelle del bisogno, bisogno come miseria assoluta determinata dal rapporto lavoro salariato - capitale, acme della separazione dell'unità originaria, che viceversa, ed è la sua contraddizione dialettica, pone le condizioni per il suo superamento in uno stadio superiore e la sua ricostituzione.

Ma se avviene questa ricostituzione dell'unità originaria in una forma ricca e piena in cui la natura è umanizzata e l'uomo naturalizzato, dove non c'è divisione in classi, la dialettica trova ancora il suo luogo?

E se non lo trova - eventualità che seguendo il dipanarsi del mio ragionamento è consequenziale - quale storia andrà a svolgersi?

C'è storia senza rapporti negativi, senza contraddizioni inerenti l'oggettivarsi del lavoro che fonda antropologicamente l'uomo, ma direi l'umanità tutta, in Marx?

Arrivano da lontano le domande a cui ho dato composizione scrittoria; domande che investono il sogno di liberarsi dal lavoro come fatica. Insomma: "...la produzione sviluppata, (perché era necessario che così fosse attraverso le arcate storiche, l'inciso è mio), sarà regolata in modo da rendermi possibile di fare oggi una cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi viene voglia, senza diventare né cacciatore, né pescatore, né critico. (Marx-Engels, L'ideologia tedesca pagina 29).

Questa la società futura nella potente anticipazione marxiana, società ricca, omogenea e coesa.

Ma la storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotta di classi, così il "Manifesto" dunque con la scomparsa delle classi e degli Stati, ci sarà ancora una storia?

E se invece determinata dall'interazione tra umanità naturale e natura umanizzata, l'umanità addirittura modificasse la sua stessa connotazione somatica, se si realizzassero le condizioni per l'emergenza di una nuova specie, tale percorso genetico sarebbe un processo storico in cui la contraddizione sarebbe la lotta tra la vecchia e la nuova specie? E questo sarebbe possibile in un modo di produzione di valori d'uso quindi di soddisfazione di bisogni sociali? Donde la contraddizione dialettica tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali che in questo caso sarebbero addirittura rapporti negativi tra specie?

Altro ancora sarebbe da dire ma l'esplorazione dei millenni a venire ad altri, al cervello sociale, è lecito e doveroso demandare.

Rivista n°55, luglio 2024

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