Le misure che Mario Draghi ha annunciato per il prossimo giugno (una manovra di sostegno della BCE all'economia europea che prevede l'abbassamento dei tassi e l'acquisto"espansivo e su ampia base" di titoli sovrani) rispondono alla stessa esigenza, e cioè dare ossigeno e tenere in vita il più possibile il "moribondo". Ma a che serve dare ancora soldi agli istituti bancari quando milioni di automobili rimangono invendute e arrugginiscono sui piazzali delle fabbriche? In una crisi di sovrapproduzione non serve a nulla pompare liquidità nel sistema bancario, se non ad aumentare il capitale alla ricerca di una valorizzazione che non trova. Prendiamo ad esempio il consumo di energia elettrica in Italia: rispetto all'aprile dello scorso anno ha registrato un calo del 3%, il dato è indice di un sistema produttivo in seria difficoltà tra delocalizzazioni e chiusure. Investire non è più conveniente, sale la deflazione, e ottanta euro in busta paga non cambiano nulla. La vera politica keynesiana si fa aumentando il numero dei salariati e abbassando il loro salario, ma le due cose, in termini di mercato, sono assolutamente in contraddizione.
In Italia la disoccupazione continua a crescere e i consumi a calare. A proposito di bassi salari, ha avuto una certa eco quanto avvenuto qualche giorno fa ai mercati generali di Torino (Caat) quando un picchetto operaio è sfociato in rivolta. Vedendo i video comparsi sul Web ci sono venuti in mente i "teppisti" della lotta di classe di Rosarno, quelli impegnati in agricoltura per 15-16 ore di lavoro con un salario di pochi euro al giorno. I neri di Rosarno avevano dipinto sui volti segni antichi di guerra rivendicando una "comunità umana" che non c'è più, ma la loro esplosione era quella del salariato moderno, per il quale si sta facendo sempre più indistinto il confine fra la rivendicazione sindacale e la ribellione all'intero sistema.
La logistica è in subbuglio da tempo e probabilmente la soluzione alle vertenze in atto verrà dall'esterno del settore. Lo si è intravisto con i fatti del Caat: mentre scorrevano sui vari social network le notizie relative alla vertenza dei facchini torinesi, ad esse si sovrapponevano quelle di altre lotte nel resto d'Italia, come per esempio il boicottaggio nei punti vendita dell'Ikea oppure i blocchi ai cancelli della Dielle di Cassina de' Pecchi. Come avvenuto in Brasile, dove l'evento dei Mondiali ha fatto da catalizzatore per tutta una serie di istanze di lotta (scioperi e proteste degli insegnanti, degli spazzini, della polizia locale, del movimento contro la Coppa, dei lavoratori senza tetto, degli Indios, ecc.) unificandole; o in Turchia, dove il movimento venuto a galla con le proteste di Gezi Park continua a crescere e coinvolge, dopo esser passato per momenti importanti come le manifestazioni per la morte di Berkin Elvan, i divieti e le proteste dello scorso Primo Maggio e gli scontri per la strage nella miniera di Soma, vari strati della popolazione; anche nel caso della logistica e delle altre lotte in corso in Italia sarà naturale confluire in un movimento generalizzato per cui le peculiarità dei singoli luoghi di lavoro andranno in secondo piano e prenderanno piede parole d'ordine unificanti per tutti i settori, le categorie, i territori. Con lo sciopero cittadino di Oakland del novembre 2011, organizzato e gestito dall'assemblea generale di Occupy, abbiamo assistito ad un'anticipazione del modus operandi che sta sostituendo la concertazione e la gestione a tavolino dei conflitti cui siamo abituati.
L'outsourcing non riguarda solo il Caat e il comparto della logistica. Esso è un fenomeno globale, è il modo di funzionare del sistema produttivo d'oggi. L'integrazione dell'economia mondiale obbliga i vari paesi a sincronizzarsi sulle misure da prendere, ma costringe anche i proletari ad organizzarsi allo stesso livello, come in occasione del primo sciopero globale dei Fast Food Workers dello scorso 15 maggio.