Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  25 giugno 2024

La guerra al tempo dell'IA

La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando due articoli pubblicati sull'ultimo numero dell'Economist (22 giugno 2024), dedicato al rapporto tra guerra e intelligenza artificiale.

Nell'articolo "AI will transform the character of warfare" si dimostra come la guerra condotta da macchine gestite da sistemi di IA potrebbe rivelarsi incontrollabile. C'è un rapporto stretto tra industria militare e civile. I computer, si afferma, sono nati in guerra e dalla guerra. La stessa ARPANET, aggiungiamo noi, che anticipò Internet, venne realizzata a partire dal 1969 dalla DARPA (Defence Advanced Research Projetcs Agency) per collegare centri di calcolo e terminali di università, laboratori di ricerca ed enti militari.

Oggigiorno esistono sistemi di IA che si occupano del riconoscimento degli oggetti in un dato spazio e che vengono utilizzati per elaborare i dati e le informazioni raccolte dai droni tramite foto e video. L'integrazione di tali sistemi produce un gigantesco automa che relega ai margini l'essere umano: dato che il tempo per individuare e colpire gli obiettivi è compresso in pochi minuti o addirittura in secondi, il soldato può al massimo supervisionare il sistema. Combattimenti più rapidi e meno pause tra uno scontro e l'altro renderanno più difficile negoziare tregue o fermare l'escalation. Dice Marx nei Grundrisse: con lo sviluppo dell'industria l'operaio da agente principale del processo di produzione ne diventa il sorvegliante per essere sostituito anche in questa funzione da un automa generale.

Chip piccoli ed economici guidano i droni russi e ucraini verso i loro obiettivi impiegando una tecnologia che un tempo era limitata ai missili. La rivalità tra America e Cina verte anche sulla produzione di semiconduttori, sull'intelligenza artificiale (vedi saggio Chip war. La sfida tra Cina e USA per il controllo della tecnologia che deciderà il nostro futuro di Chris Miller).

L'articolo "How AI is changing warfare" si sofferma sui nuovi sistemi d'arma in corso di sperimentazione. Lo sviluppo di queste tecnologie vede la collaborazione tra aziende (Microsoft e Amazon Web Services) ed esercito britannico, ed ha portato all'esercitazione soprannominata StormCloud: marines, droni e sensori sono stati messi in collegamento tramite i dati inviati in tempo reale via satellite, mentre un software indicava dove e come colpire. Si sta dunque formando una rete di sensori e attuatori in grado di compiere azioni di guerra in completa autonomia. Il Project Spotter del ministero della Difesa britannico è un sistema che utilizza reti neurali per il rilevamento e l'identificazione di oggetti tramite le immagini satellitari, consentendo di monitorare automaticamente determinati territori 24 ore su 24. Anche Israele è all'avanguardia nella tecnologia bellica: +972 Magazine, un quotidiano israeliano, ha affermato che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) utilizzano lo strumento di intelligenza artificiale noto come Lavender per identificare migliaia di obiettivi palestinesi. Le strette tempistiche con cui opera il sistema permettono agli operatori umani preposti alla supervisione di esaminare solo superficialmente i risultati prima di ordinare gli attacchi.

La guerra che viene, per adesso in gestazione, porterà a combattimenti tra sistemi di macchine guidati dall'intelligenza artificiale ("La Quarta Guerra Mondiale"). Il ruolo dell'IA è anche quello di evitare eventuali operazioni di disturbo, consentendo a sciami di droni di puntare un obiettivo anche se i segnali GPS o il collegamento con i piloti vengono interrotti.

Il drone è un'evoluzione del missile da crociera sviluppato negli anni '40, un proiettile in grado di percorre una traiettoria guidata. Oggi sono tanti i paesi in grado di produrre la componentistica necessaria per costruire robot aerei, marittimi e terrestri, e altrettanti hanno la capacità di costruire vettori capaci di colpire un obiettivo, magari teleguidati. Quindi si potrebbe pensare che le nuove tecnologie consentiranno agli eserciti di diventare più snelli. In realtà, il software per individuare migliaia di bersagli ha bisogno di supercomputer, che non sono alla portata di tutti. I droni potrebbero diventare più economici, ma i sistemi digitali che ne consentono l'utilizzo integrato sono molto costosi.

Nel giro di poco tempo si stanno precisando i mezzi, le tecniche e le dottrine della guerra futura. Dall'inizio della guerra in Ucraina sono stati fatti passi in avanti nell'impiego di nuove armi, ma allo stesso tempo si continua a combattere nelle trincee, con i carrarmati e le mitragliatrici. La Russia ha applicato brillantemente una serie di azioni che ha portato al successo sul campo di battaglia. Il primo passo è stato quello di occupare la Crimea, con lo spostamento della linea del fronte verso ovest; il secondo è stata la blitzkrieg (guerra lampo) verso Kiev, con la fortificazione delle retrovie. Gli strateghi militari russi hanno seguito un piano ben preciso, che ha funzionato. L'Ucraina, adesso, non ha molte alternative: o si arrende o va avanti finché ha uomini da mandare al fronte. Gli USA, che foraggiano e "consigliano" le forze ucraine, non svelano quali sono i loro piani, per ora sembrano puntare alla guerra di logoramento.

Quando c'è una guerra, si stabilisce sempre una simmetria e, allo stesso tempo, la necessità di romperla. Hamas e le organizzazioni armate palestinesi non hanno i mezzi e le strutture in dotazione all'esercito israeliano, eppure, con l'attacco del 7 ottobre, hanno colpito in profondità il nemico, seminando il panico. Con mezzi tutto sommato semplici e poco costosi (pick-up, deltaplani, motociclette), sono riusciti ad entrare per diversi chilomentri all'interno del territorio israeliano, compiendo una blitzkrieg con l'obiettivo di catturare quanti più ostaggi possibile. Hamas ha messo in atto una fortissima compellence (parola intraducibile in italiano che vuol dire "obbligare l'avversario a compiere atti funzionali alla propria strategia") contro Israele, che ha risposto con estrema durezza. Ogni stato elabora i propri wargame, ma questi vengono prontamente aggiornati in base alle mosse del nemico: se tali mosse vanno inquadrate in un rigido determinismo, allora non esiste la "scelta".

Nell'aprile del 2023 Limes è uscito con un numero intitolato "Israele contro Israele", incentrato sulla crisi innescata dalla riforma della giustizia voluta da Netanyahu. Il paese ha un esercito di popolo, quasi tutti sono riservisti. La polarizzazione sociale presente prima del 7 ottobre si è riverberata, quindi, nelle forze armate. La "pausa tattica" annunciata dalle IDF a Gaza, le dimissioni di due ministri e il relativo scioglimento del gabinetto di guerra rappresentano delle crepe all'interno degli apparati statali. Una guerra di cui non si vede la fine e che aggrava una situazione economica già molto pesante: migliaia di persone non possono lavorare perché impiegate al fronte. Se poi si aprisse un altro fronte in Libano, la crisi non potrebbe che acutizzarsi. In piazza scendono i familiari degli ostaggi, ma a breve potrebbero cominciare a fare capolino anche quelli contrari alla guerra. Recentemente la Corte suprema israeliana ha ordinato l'arruolamento degli studenti ultraortodossi.

Il Libano è un paese tecnicamente fallito, il deprezzamento della lira erode i salari e alcuni farmaci costano il doppio di uno stipendio (ISPI, "Libano: se lo Stato si sgretola"). Hezbollah è riuscito a creare una sorta di stato nello stato. La guerra che Israele minaccia di condurre contro il "Partito di Dio" porterebbe problemi di tenuta sociale e politica nel paese ma anche in Israele, sempre più in un cul-de-sac. Il fenomeno della disgregazione degli stati è reale: nell'area Mediorientale c'è la possibilità che saltino i confini nazionali esistenti.

Diversi livelli di crisi si stanno sommando: economica, militare, sociale. Stanno saltando non tanto gli equilibri politici quanto le stesse architetture degli Stati. In Kenya, in seguito ad una finanziaria lacrime e sangue che aumenterà le tasse ma anche il costo di alcuni beni di prima necessità (pane, olio, trasporti), è scoppiata una rivolta. Il parlamento è stato occupato e poi incendiato. Le manifestazioni si sono svolte fuori dal controllo dei partiti e hanno visto migliaia di giovani collegati al resto del mondo tramite Internet. Il paese, che conta oltre 50 milioni di abitanti, ha una popolazione giovanissima, ed è un punto di riferimento importante per tutta l'Africa orientale.

Continuano le manifestazioni in Nuova Caledonia, territorio d'oltremare francese, e si inasprisce la repressione statale, che ha provocato morti e feriti tra i civili. Da anni si sta sollevando il mondo, dal Sudamerica all'Asia, dall'Africa all'Europa. Un subbuglio così generale deve avere una causa unitaria che lo spieghi (newsletter "Rivolta contro la legge del valore"). In Iran era stato l'aumento del prezzo delle uova a far scattare le rivolte, in Francia l'aumento del costo della benzina, in Algeria la corruzione, ecc. Evidentemente siamo all'interno di un'ondata di "marasma sociale e guerra" che sta disgregando il vecchio assetto mondiale. È significativo che il movimento di lotta in Kenya abbia utilizzato l'hashtag #OccupyParliament, ricordando il movimento Occupy Wall Street. Le motivazioni che hanno portato migliaia di giovani kenioti in piazza non sono poi così diverse da quelle che hanno portato i manifestanti in piazza negli USA, in Europa e in altre parti del mondo (99% vs 1%).

Gli apparati repressivi statali si trovano a gestire un nuovo tipo di wargame, che invalida quelli del passato. Nell'articolo "Wargame. Non solo un gioco" abbiamo visto come, nel confronto tra un ipotetico partito arancione (manifestanti) e uno azzurro (Stato), il secondo si riscopra debole, disorientato, in crisi dall'interno.

Articoli correlati (da tag)

  • Processi evolutivi e probabilmente anche catastrofici

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con alcune considerazioni riguardo la produzione di autovetture elettriche.

    Il colosso cinese BYD ("Build Your Dreams") ha superato Tesla di Elon Musk in numeri e fatturato, attestandosi come primo produttore di auto elettriche al mondo. BYD sta costruendo a Zhengzhou una fabbrica di 130 kmq (una superficie maggiore di quella di Napoli), che impiegherà circa 90mila lavoratori e conterrà al proprio interno tutto il necessario per la costruzione delle automobili: dalla produzione di batterie, motori e carrozzerie, fino alle abitazioni per i dipendenti e alle aree per lo svago. La Cina ha la necessità di sviluppare il mercato interno, dato che negli ultimi anni la sua crescita è dipesa dalle esportazioni; ora si sta preparando per far fronte ai dazi e alle barriere doganali.

    Nella produzione di automobili a combustione prima c'è stata la grande fabbrica fordista, che realizza tutte le componenti al proprio interno; successivamente, si passa ad una fabbrica globale distribuita sul territorio, in cui ogni stabilimento-reparto produce un qualche semilavorato. Ora sembra che in Cina si stia ritornando alla concentrazione industriale. La crisi dell'automobile fornisce indicazioni sullo stato di salute del capitalismo: troppi produttori, troppi autoveicoli da costruire per ricavare una massa di profitto che giustifichi gli investimenti. L'elevata composizione organica del capitale determina un calo del costo unitario della merce, e tale processo porta ad aumentare la massa della produzione ma, al contempo, causa il calo dei profitti. Mettendo in atto le controtendenze alla caduta del saggio di profitto, la borghesia, come ci spiega Marx, non fa altro che spostare i problemi nel futuro, ingigantendoli.

  • Modelli di ragionamento

    La teleriunione di martedì sera è iniziata commentando le ultime notizie riguardanti i dazi lanciati dall'amministrazione Trump, e i contro-dazi minacciati dal presidente cinese Xi Jinping.

    In questo scontro inter-imperialistico, l'Europa risulta il vaso di coccio tra vasi di ferro. Essa non è un'entità unitaria, né dal punto di vista politico né da quello economico e militare. Detto questo, non c'è alternativa che non sia la guerra aperta al "patto col diavolo" sottoscritto da Cina e USA, che sulla scena internazionale sono nemici e concorrenti ( "Imperialismo in salsa cinese").

    In questa epoca di mercato globale il protezionismo è una pratica estremamente contradditoria dato che i capitali americani vanno a valorizzarsi in Cina, e viceversa. Il tentativo di disaccoppiare l'economia statunitense e i suoi satelliti dal blocco rappresentato dalla Cina è antistorico, così come l'idea di far ritornare grande e industriale l'America. Essa si appresta alla costruzione di grandi data center per l'intelligenza artificiale ("Stargate"), con i relativi impianti per generare l'energia necessaria al loro funzionamento. Il progetto prevede un investimento totale di circa 500 miliardi di dollari in quattro anni con una partnership tra pubblico e privato (OpenAI, Oracle e SoftBank). Per quanto importante sia questo progetto, non genererà milioni di nuovi posti di lavoro.

  • Il caso DeepSeek

    La teleriunione di martedì è iniziata con alcune osservazioni riguardo l'annuncio del lancio di DeepSeek-R1, un nuovo chatbot avanzato, da parte dell'omonima azienda cinese.

    DeepSeek-R1 è un'applicazione open source basata su un modello linguistico di grandi dimensioni (LLM), rilasciato con licenza MIT, che consente l'uso commerciale e la modifica del codice sorgente. Non sono invece stati resi pubblici la collezione di dati e il codice utilizzati per l'addestramento. L'azienda cinese ha prodotto un chatbot di livello pari, se non superiore per alcuni tipi di test, a quelli americani (ChatGPT, Claude e altri), e sembra ci sia riuscita utilizzando meno tempo e meno risorse economiche, e nonostante i dazi USA che impediscono l'esportazioni in Cina di semi conduttori di alta gamma. Il fatto di rendere open source un programma di questo tipo è una mossa politica e al tempo stesso economica: aprire il codice sorgente offre diversi vantaggi, tra cui la nascita di una comunità di sviluppatori impegnata costantemente a migliorare il prodotto. Da tempo l'approccio all'innovazione ha subito un cambiamento: se prima c'erano gli esperti chiusi nelle loro "cattedrali", poi l'apertura al mondo (bazaar) ha dimostrato, con un impiego sempre più vasto di contributi, la sua efficacia (La cattedrale e il bazaar, Eric Steven Raymond), anche a livello aziendale. Nel testo Open non è free. Comunità digitali tra etica hacker e mercato globale, del collettivo Ippolita, si nota che il mercato ha assunto il metodo di sviluppo delle comunità hacker, quindi collaborativo e accessibile, per risollevarsi dopo la bolla speculativa della net economy. Android è per buona parte open source, caratteristica che ne ha permesso una diffusione globale. Questa apertura ha permesso a produttori di dispositivi, sviluppatori e comunità di contribuire al sistema operativo di Google, di adattarlo e distribuirlo su una vasta gamma di dispositivi senza dover pagare licenze.

    Il software di DeepSeek mostra grandi potenzialità, soprattutto per l'impiego ridotto di risorse. Sembra, infatti, che il suo sviluppo abbia richiesto meno di 6 milioni di dollari (molto poco se pensiamo agli 11 miliardi investiti da Microsoft in OpenAI), e che per il suo addestramento siano stati utilizzati chip Nvidia meno potenti e in misura minore rispetto ai concorrenti occidentali. A differenza di ChatGPT, il software (al pari di quello di Alibaba) fornisce non solo la soluzione richiesta, ma anche tutti i passaggi eseguiti per elaborarla.

Rivista n°56, dicembre 2024

copertina n° 56

Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email