La teleconferenza di martedì scorso, a cui hanno partecipato 18 compagni, è iniziata con alcune considerazioni sullo "sciopero sociale" del 14 novembre. L'iniziativa durerà per tutta la giornata e coinvolgerà i sindacati di base, una serie di reti sociali e diversi "segmenti" di classe. L'organizzazione è interessante: manifestazioni in ogni città virtualmente unite da un network nazionale di riferimento con collegamenti esteri. La modalità ricorda quella diffusasi con Occupy negli Stati Uniti, anche se in Italia è molto più difficile lasciarsi alla spalle il vecchiume politico e sindacale.
Nella stessa data scenderà in piazza, a Milano, anche la Fiom. Non è da sottovalutare la sua capacità di trasformismo. Si pensi per esempio all'autunno del 1969, quando il sindacato si aprì alle spinte che arrivavano dal basso, riuscendo così a recuperare ampi settori di dissenso operaio. Pure la Cisl negli anni Settanta si trasformò in fretta e furia in un sindacato di sinistra, e attirò a sé tutti i gruppettari espulsi dalla Cgil.
Di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, oggi anche la ripetizione di un movimento come quello di Solidarnosc è improbabile, perché le condizioni che si verificarono allora sono irripetibili: Russia al collasso, tutto il proletariato iscritto allo stesso sindacato di stato, condominio imperialistico Usa-Urss. Ma lo sviluppo del movimento di sciopero in Polonia rimane paradigmatico: un grande proletariato inquadrato in organizzazioni intermedie che arriva attraverso di esse a costituirsi in partito politico.
La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, è iniziata dalla lettura e dall'analisi di un vecchio articolo di Lev Trotsky, Arte rivoluzionaria e arte socialista (1923), tratto da Per conoscere Trotsky, un'antologia delle opere a cura di Livio Maitan (Oscar Mondadori, 1972). Lo scritto, redatto quasi come un manifesto contro il sorgere della controrivoluzione stalinista che proprio in quegli anni cominciava a manifestarsi con l'annesso travisamento dei postulati rivoluzionari, si sofferma sulla prefigurazione della società futura. L'intento è chiaro: parlare del domani per criticare il presente. Peccato che il domani di Trotsky sia imbevuto di positivismo "comunista".
[…] Ho militato nel "movimento" per molti anni e sono giunto alla conclusione che le varie componenti di esso hanno perso (se mai l’hanno avuta) qualsiasi aderenza con la teoria marxista e la prassi rivoluzionaria. Ho iniziato, assolutamente per caso, a leggere le vostre lettere e reputo che stiate facendo un buon lavoro. Visto, però, che non ho nessuna dimestichezza con la Sinistra Comunista italiana, e il mio bagaglio politico si è formato sui modelli culturali in voga nella sinistra, cioè l’eclettismo imperante nel magma dei gruppi, ho delle difficoltà a capire "nella pratica" alcuni concetti. Quello che non riesco proprio a concettualizzare è come voi intendiate il lavoro di massa. Quando uso la dizione "lavoro di massa" mi riferisco al lavoro di propaganda, di difesa delle condizioni di vita e via dicendo, che i comunisti fanno o dovrebbero fare sempre nei posti di lavoro o dovunque essi siano. Potreste impiegare un po’ del vostro tempo per spiegarmelo?
[…] D'accordo, oggi non esiste un Partito formale; non ci sono le condizioni per il suo sviluppo; non è sufficiente che un gruppo di persone lo costituisca formalmente visto che non c’è un movimento spontaneo della classe che esprima questa necessità; né sarebbe serio dar vita ad una compagine formale del tutto auto-referente; la vostra attività cerca di essere più idonea possibile alle esigenze della rivoluzione; lavorate in modo centralizzato, da partito pur non essendoci il partito; le condizioni presenti "impongono", come del resto dicono le Tesi della Sinistra, un lavoro sporadico e limitato, tutto quello che è consentito dagli attuali rapporti di forza (quindi, al momento, poco); ma queste affermazioni devono fare i conti con molte variabili. Per esempio, è fuori di dubbio che il sindacato sia ormai, e per sempre, un organo statale. L'assorbimento del sindacato nell’apparato statale non deve essere inteso in modo "statico", come una relazione chiusa a ogni influenza e pressione della lotta di classe, ma la sua funzione è quella di controllare la classe operaia, non di difenderla.
[…] L’assorbimento del sindacato nell’orbita istituzionale corrisponde al tentativo di disciplinare il conflitto capitale-lavoro, vista la sua ineliminabilità, ed esprime un'esigenza precisa del capitalismo maturo. Ogni sindacato che nasca al di fuori di reali e spontanee pressioni dal basso non può che seguire lo stesso percorso o condannarsi, spacciando la manciata di iscritti raccolta o perduta come "indicazioni di fase".
Ma proprio l'integrazione massima fra industria, sindacato e Stato dimostra che la grande organizzazione sociale esistente deve necessariamente riflettersi anche sulle eventuali lotte generalizzate dei proletari. Finché tutto si svolge in settori isolati e la lotta viene articolata in mille rivoli il fenomeno non è visibile, ma non appena si dovesse rompere l'attuale equilibrio dobbiamo essere sicuri che sarà difficilissimo fermare la valanga.
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Libertà
Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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