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  • Resoconto teleriunione  8 aprile 2014

Positivismo "comunista"

La teleconferenza di martedì sera, connessi 15 compagni, è iniziata dalla lettura e dall'analisi di un vecchio articolo di Lev Trotsky, Arte rivoluzionaria e arte socialista (1923), tratto da Per conoscere Trotsky, un'antologia delle opere a cura di Livio Maitan (Oscar Mondadori, 1972). Lo scritto, redatto quasi come un manifesto contro il sorgere della controrivoluzione stalinista che proprio in quegli anni cominciava a manifestarsi con l'annesso travisamento dei postulati rivoluzionari, si sofferma sulla prefigurazione della società futura. L'intento è chiaro: parlare del domani per criticare il presente. Peccato che il domani di Trotsky sia imbevuto di positivismo "comunista".

Del lungo articolo, sono due gli aspetti che ci hanno maggiormente colpito. Il primo riguarda la visione che abbiamo definito costruttivista: l'autore sostiene che nella società comunista "gli uomini si divideranno in 'partiti' sulla questione di un nuovo canale gigantesco o sulla distribuzione delle oasi nel Sahara", oppure che "l'attuale disposizione dei monti e dei fiumi, dei campi e dei prati, delle steppe, dei boschi e delle coste non può essere affatto considerata come definitiva", e che l'uomo "correggerà seriamente e ripetutamente la natura". Ma che senso ha, ci chiediamo, un tale spreco di energia quando non strettamente indispensabile al benessere della specie umana? Ecco rispuntare la classica impostazione positivista per cui la natura è qualcosa da piegare alle esigenze dell'industria. Ma chi pretende di cambiare il mondo rimanendo dentro al capitalismo con tutte le sue categorie logiche è un fallito in partenza. Non per sua incapacità ma per legge matematica. Ciò vale anche per chi pretende di separare ciò che è unito mettendone le parti in semplice rapporto, salvo poi parlarne come di un tutto gerarchizzato, con l'Uomo (maiuscola!) in testa alla piramide e la Natura al suo servizio.

Trotsky affronta anche il tema delle abitazioni ed il rapporto città-campagna: "La città moderna è transeunte, ma non si dissolverà nel vecchio villaggio. Al contrario, per gli aspetti più importanti sarà il villaggio a elevarsi al livello della città." Se Marx critica l'ottusità della vita rurale e propugna la fine della divisione tra città e campagna, questo non significa che bisogna generalizzare la forma città a tutto il territorio. Non c'è alcun bisogno, anche in questo caso, di costruire nuove unità urbane quando nella stragrande maggioranza dei casi basterebbe recuperare ad un uso funzionale il patrimonio edilizio esistente. Il compito della società futura è quello di risparmiare, quanto più possibile, risorse energetiche e lavorative, rendendo al tempo stesso sempre più gradevoli, più razionali e più sicure le abitazioni. Come abbiamo scritto in La dimora dell'uomo (n+1, n. 9), superata la costruzione a compartimenti stagni, vincerà quella aperta dove l'espressione "camera-soggiorno-cucina" sarà sostituita con "quartiere d'abitazione, quartiere delle attività sociali e quartiere delle attività domestiche". Dove l'espressione inglese living room non vorrà più dire "soggiorno", come adesso, ma, alla lettera, "spazio di vita". Avremo così unito dialetticamente la distribuzione razionale della specie sul territorio, l'eliminazione della storica contraddizione città-campagna e il mantenimento della vita urbana.

Insomma, più che costruire, bisogna abbattere gli ostacoli materiali e ideologici che si frappongono alla liberazione della forza produttiva sociale. E' necessario un piano di disinvestimento dei capitali, ossia la destinazione di una parte assai minore del prodotto a beni strumentali e non di consumo (Punto "a" del Programma rivoluzionario immediato nell'Occidente capitalistico, Riunione di Forlì del Pcint., 28 dicembre 1952). Di conseguenza, non è ad una sorta di primitivismo caro ad alcune frange dell'ambientalismo che si deve far riferimento, ma alla massimizzazione della forza produttiva sociale unita all'ottimizzazione delle risorse energetiche.

Il secondo punto riguarda l'approccio politico al tema. "Questi raggruppamenti [i partiti del futuro] non saranno appestati da nessun egoismo di classe o di casta", cioè non avranno carattere di lotta tra le classi che non esisteranno più, ma si confronteranno sulle decisioni pratiche da prendere. Per Trotsky questo dovrebbe avvenire tramite "raggruppamenti popolari pro o contro" che "con la loro agitazione, le loro passioni, le loro assemblee popolari e le loro votazioni", dovranno prendere indirizzi diversi a seconda dei problemi da affrontare. Insomma, una sorta di democraticismo consigliarista.

Partiti vuol dire parti, e ciò introduce un dualismo che nella società futura sarà superato. Si troverà un termine adeguato per descrivere ciò che faranno gli uomini e come, dato che il linguaggio cambierà, come cambiano gli strumenti della produzione. Parlare di partito dopo il passaggio dal capitalismo al comunismo diventa difficile, "a meno che non si intenda come partito un organo che non lotta contro altri partiti, ma che svolge la difesa della specie umana contro i pericoli della natura fisica e dei suoi processi evolutivi e probabilmente anche catastrofici" (Tesi di Napoli, 1965).

Se dunque "non abbiamo alcun motivo di temere che nella società socialista la personalità venga addormentata o subisca una prostrazione", dobbiamo pensare a questo come il risultato di una visione organica dell'organizzazione sociale che supera nei fatti ogni forma di dualismo (oggetto e soggetto, natura e pensiero, individuo e specie). La dissoluzione dell'ideologia marxista è un passaggio necessario per giungere ad una concezione organica non solo del partito ma della storia umana di cui il partito dovrebbe essere l'espressione.

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