Pensiamo alla necessità di gestione e conservazione dell'immane quantità di strade, edifici privati e pubblici nel Belpaese: tutto sta andando a catafascio perchè non si produce il valore necessario. La manutenzione può sembrare un fatto secondario ma è uno degli argomenti analizzati dalla nostra corrente per inquadrare i cosiddetti disastri naturali. Il Capitale autonomizzato è disinteressato alla piccola manutenzione costante e punta tutto sulle grandi opere; ne consegue che le calamità si ripetono sempre più frequentemente. Alla lunga serie si sono recentemente aggiunti la catastrofe avvenuta in Brasile, dove il cedimento delle dighe Fundao e Santarem ha devastato il bacino del fiume Rio Doce sversando 60 milioni di mq di fanghi tossici nell'Oceano Atlantico, e l'elevatissimo livello dello smog raggiunto in Cina.
La salute del pianeta è in grave pericolo e la situazione potrebbe essere irreversibile. Ne discutono a Parigi dal 30 novembre i partecipanti di Cop21, la ventunesima conferenza internazionale sul clima. In occasione del summit tra i grandi del mondo per parlare di emissioni di gas serra e surriscaldamento globale, la polizia francese ha operato numerosi fermi preventivi di attivisti e ha represso pesanti scontri di piazza con centinaia di arresti; è evidente che lo stato francese teme qualcosa di più preoccupante del jihadismo e cioè lo scatenarsi della collera sociale. Ma davvero il capitalismo può porre un freno all'inquinamento? Semplicemente no, perchè i gas inquinanti e l'aumento delle temperature sono un problema che coinvolge l'intera società, borghesi e proletari tutti. Il capitalismo per sua natura è basato sulla crescita economica infinita, l'accumulazione e il consumo forsennato, e non può certo fermarsi di fronte alle risorse limitate della Terra.
Sul fronte della guerra in Medioriente, persiste la tensione tra Ankara e Mosca. La Russia non è intenzionata a farsi indietro in Siria perchè appoggiare Assad significa tutelare le proprie basi navali nel Mediterraneo. La Turchia nella sua storia come nazione borghese è uno dei paesi che più strenuamente ha difeso il nazionalismo rivoluzionario con numerosi colpi di stato orchestrati dall'esercito in nome di Kemal Ataturk. E' perciò atipica la situazione odierna in cui l'esercito non reagisce all'islamizzazione della società; la causa va forse ricercata nelle epurazioni avvenute qualche anno fa al suo interno. La motivazione fornita dai turchi per l'abbattimento del bombardiere russo non è sufficiente. Un'ipotetica spiegazione plausibile potrebbe basarsi sul fatto che l'episodio obbliga i militari a dare priorità allo scontro con il grande nemico storico, la Russia, e a mettere in secondo piano la lotta kemalista al fondamentalismo islamista.
Un compagno ha sottolineato l'ostinato immobilismo degli Stati Uniti in Medioriente. Il declino degli Usa è inarrestabile: non hanno la forza di fare di più. E mentre nessuna potenza è in grado di farsi avanti nella successione alla guida del mondo capitalistico, la guerra civile prende piede ovunque, a Beirut come ad Aleppo (dove è in corso uno scontro sanguinosissimo tra i resti dell'esercito siriano e i militanti di Daesh). La guerra d'oggi, il conflitto endemico di tutti contro tutti per cui avvengono distruzioni immani senza che nulla venga più costruito, non rilancia il ciclo di produzione risolvendo così i problemi del capitalismo, anzi, ottiene l'effetto contrario ingigantendoli. Stiamo vivendo un'epoca di transizione e siamo in una situazione ibrida favorevole ad una società diversa.
Per comprendere cosa sta accadendo intorno a noi possiamo usare dei modelli. Partiamo da quello elaborato da Marx riguardo la legge della caduta del saggio di profitto, secondo cui in ambito produttivo aumenta tendenzialmente il capitale costante e diminuisce quello vivo, e con ciò cresce l'esercito industriale di riserva e la sovrappopolazione assoluta. Senza riconoscere la crisi di valorizzazione che ne consegue e che produce effetti quali il marasma sociale e la guerra, risulta difficile individuare le concatenazioni sociali utili a districarsi nella complessità degli eventi.
La crisi cronica del capitalismo senile porta alla formazione di comunità "contro", solitamente dislocate ai margini delle metropoli. Si prenda ad esempio Parigi, il cui centro è circondato dai milioni di senza riserve delle banlieue. Ma tale situazione non riguarda solo i centri storici delle grandi capitali: a livello frattale vediamo in atto la stessa dinamica tra l'Occidente e le sue periferie (vedi fenomeno migratorio).
Dal caos sociale emergerà qualcosa di simile a Occupy Wall Street, una prefigurazione della società futura. I comunisti non possono farsi schiacciare dall'esistente ma devono mettersi dalla parte del futuro, "n+1". Il capitalismo sta morendo e una società completamente diversa sta nascendo; dobbiamo agganciarci a quest'ultima lasciandoci alle spalle le polemiche terzinternazionaliste.