La casa riassume in sé due stadi del capitale: è una merce che richiede altre merci per la sua produzione e perciò fa da stimolo all'economia (tra il 2011 e il 2013 la Cina ha consumato una quantità di cemento pari a quella utilizzata dagli Stati Uniti nel XX sec.), e successivamente, quando il costruttore e il proprietario hanno già intascato il suo valore lungo il periodo necessario a ricostituire il capitale anticipato più il profitto, diventa rendita, continuando nel tempo a portare denaro (sovraprofitto) nelle tasche di chi l'affitta. L'investimento nel mattone è stato fonte di sicurezza per il Capitale, ma un tale meccanismo a lungo andare può diventare pericoloso. La progettazione di centri abitati intorno a poli di sviluppo è tipica del capitalismo cinese; ma se l'urbanizzazione non avviene e le abitazioni rimangono vuote, allora sono problemi. Se la bolla immobiliare cinese scoppiasse, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Non solo perché si brucerebbero in un sol colpo tutti i capitali che si sono riversati in questi anni nel settore, ma soprattutto perché la Cina è il maggior possessore del debito americano: la crisi diverrebbe immediatamente mondiale.
La situazione degli investimenti nel mattone in Cina, con la costruzione di grandi aeree urbane destinate a rimanere vuote, è indice del generale peggioramento dell'economia nell'area, ma non solo. Alcune voci d'allarme si sono già levate: il debito cinese sta crescendo repentinamente tracciando una curva già vista in paesi come Giappone, Thailandia, Spagna, prima della crisi. Il Sole 24 Ore avverte: "la rapida crescita dell'indebitamento e le dimensioni del settore finanziario del Paese asiatico rappresentano una minaccia per la stabilità mondiale". Dallo scoppio della crisi dei mutui subprime, il debito pubblico globale è stato spinto ai massimi livelli, crescendo di circa 70 mila miliardi negli ultimi 10 anni (a fronte di un Pil di 77) e raggiungendo la cifra totale di 215 mila miliardi (il 325% del Pil globale).
Il fenomeno delle città fantasma, il cui meccanismo sottostante, abbiamo visto, è in realtà generalizzabile a tutto il capitalismo, porta a galla la mancanza di capacità di controllo sul fatto economico. In un articolo pubblicato sul numero 36 della rivista, Metropolis, una corrispondenza con un lettore sullo sviluppo delle megalopoli nel capitalismo, si osservava la stessa impossibilità di gestione, a livello potenziale, del fatto militare-politico, soprattutto se pensiamo ai grandi assembramenti urbani dove ormai da tempo si assiste ad interventi di polizia simili ad azioni di guerra. In Cina sono 102 le città che hanno raggiunto o superato il milione di abitanti; qui, come nelle altre grandi metropoli del mondo, il controllo esiste fino a quando non succede qualcosa: "Controllare Megalopoli è come controllare Internet: facilissimo, finché non succede niente, finché c'è tutto il tempo per separare 'il segnale dal rumore', cioè l'informazione che serve da quella inutile o dalla controinformazione". Significativo a tal proposito quanto successo tre anni fa in Brasile prima dei mondiali di calcio, o a febbraio scorso quando nello stato di Espirito Santo è scoppiato il caos a seguito dello sciopero della polizia: oltre 100 morti in 6 giorni.
Il capitalismo mostra i sintomi sempre più forti di un sistema out of control: le condizioni di vita sul pianeta continuano a peggiorare; ad esempio in America uno studio ha rilevato che la fascia di popolazione tra i 45 e i 54 anni sta morendo più velocemente - di droga, armi, suicidi, depressione, ecc. - rispetto agli altri paesi a causa del precipizio verso il basso della classe media.
La teleconferenza si è conclusa con un commento sui fatti di Fossano (sempre più frequentemente crollano ponti e viadotti) e con alcune osservazioni sul numero 41 della rivista, in uscita a maggio. Si è ricordato il motivo che spinse gli Stati Uniti a rompere gli accordi di Bretton Woods nel 1971, sospendendo la convertibilità dei dollari in oro.
Al tempo, dato che ai russi era stata imposta l'inconvertibilità del rublo, per le transazioni internazionali Mosca doveva procurarsi moneta americana soprattutto tramite materie prime. Nel trafficare con dollari al di fuori del mercato valutario controllato, succedeva che due transazioni ravvicinate e avvenute in due paesi diversi con scritture contabili moltiplicavano i dollari e, alla fine dell'anno, risultavano più bigliettoni verdi di quanti ne fossero usciti dal territorio americano. Il doppio conteggio "creava" i cosiddetti eurodollari e ad un certo punto la cifra era così alta che Washington non poteva far altro che bloccare il meccanismo, tanto più che il giochetto stava assumendo dimensioni gigantesche con l'intervento di un altro attore sulla scena, ben più potente, almeno dal punto di vista finanziario: l'Opec e i suoi petrodollari. Perciò, fra il 1970 e il 1971, il dollaro era diventato di fatto inconvertibile, anche perché non c'era oro abbastanza a Fort Knox. Fu quindi riformato il FMI (Triffin) e il dollaro non fu troppo penalizzato grazie alla fiducia sulla parola... e sulle portaerei.