I cristiani, ad esempio, hanno trovato molto presto un loro canone, fissandolo in regole scritte, per cristallizzare il loro agire nei millenni. Nell'articolo "Un programma: l'ambiente" (L'Avanguardia, 1913) si dice: "Tutto l'ambiente borghese conduce all'individualismo. La nostra lotta socialista, anti-borghese, la nostra preparazione rivoluzionaria deve essere diretta nel senso di gettare le basi del nuovo ambiente." Sul tema Lenin, ne la "Lettera ad un compagno sui nostri compiti organizzativi" (1902), è chiaro: quello che conta è l'informazione, l'osmosi tra compagni ed un sano ambiente anti-formista. Il nostro canone non è, ovviamente, quello dei cristiani, ma presenta anch'esso un'aderenza ad una corrente storica ed è tutt'altro che contingente. L'adesione al comunismo non è una faccenda politica legata a questa o quella questione (sindacale, nazionale, ecc.), ma una diversa concezione dell'universo. Affermava Bordiga nel 1926 al congresso di Lione del PCd'I:
"Non si è in diritto di dichiararsi marxisti, e nemmeno materialisti storici, solo perché si accettano come bagaglio di partito certe tesi di dettaglio, che possono riferirsi vuoi all'azione sindacale, economica, vuoi alla tattica parlamentare, vuoi a questioni di razza, di religione, di cultura; ma si è giustamente sotto la stessa bandiera politica solo quando si crede in una stessa concezione dell'universo, della storia e del compito dell'Uomo in essa". (Una intervista ad Amadeo Bordiga).
Quando parlano, molto spesso gli uomini hanno in testa le idee di altri uomini, mentre l'universo è fatto di cose, dinamiche, processi materiali continui che non dipendono dalle pensate di qualcuno. Costretti a "fare gli austrolopitechi", gli esseri umani sono portati all'affermazione di "posizioni" di uomini e gruppi che sostengono determinate teorie contro altri uomini e gruppi; ma tali dinamiche altro non sono che gli effetti dello scontro tra modi di produzione. Oggi, nonostante la situazione sfavorevole, è possibile lavorare in continuità con chi ci ha preceduto, prima di tutto in difesa del patrimonio esistente.
Si è poi passati a commentare quanto accade in Nord Corea. Sicuramente le notizie riguardo il lancio di missili e le possibili ritorsioni hanno qualcosa di farsesco, mentre può essere utile chiedersi perchè nell'area avvenga tale fibrillazione. Che il nipote di Kim Il-sung sia "strano" è normale; lo è un pò meno il fatto che The Economist raffiguri su una sua copertina un fungo atomico con i volti del dittatore coreano e di Trump titolando "potrebbe succedere", e descriva nel relativo articolo ("How to avoid nuclear war with North Korea") una situazione fuori controllo: "Tuttavia il pericolo più grave non è che un paese improvvisamente cercherà di devastare l'altro. È che entrambe le parti faranno degli errori e che una spirale di escalation porterà ad una catastrofe che nessuno vuole."
Comunque, dato che nessuno può davvero infastidire gli Usa in ambito oceanico, quest'ultimi possono ritornare in Afghanistan dove hanno perso il controllo di ampie parti del territorio. In un comunicato televisivo tenuto alla nazione lo scorso 21 agosto, Trump ha ammesso di aver cambiato idea sulla guerra ai talebani: dopo 16 anni di non vittoria e visto che i mercenari della Blackwater hanno avuto pessimi risultati, ha deciso di schierare altri soldati, fra i 3.500 e i 5.000 uomini, con l'obiettivo di fondo di non dare ai talebani l'idea che la guerra sia finita. Siamo alla riedizione della guerra infinita.
Però, entro poco tempo, Washington dovrà fare i conti anche con l'attivismo cinese, visto che Pechino si aspetta il loro disimpegno in quel territorio, poichè da lì passerà la nuova via della seta cinese.
L'amministrazione Trump, in cui hanno parecchio peso i generali dell'esercito, non può certo far tornare indietro la ruota della storia: il declino nel controllo del mondo è inesorabile. Significativa la dichiarazione di un fondo di investimenti finlandese che ha deciso di ritirare le proprie risorse dagli Stati Uniti: "A volte, se teniamo presenti i tradizionali valori morali e politici, sembra che non ci sia un vero presidente né una presidenza in carica nella prima potenza economica mondiale".
Anche in "casa" le cose non vanno meglio. Dopo la sua elezione, Trump aveva promesso di aiutare l'industria americana mettendo in piedi un tavolo di discussione tra industriali e governo, a cui, tra gli altri, partecipava anche Elon Musk. Dopodiché i soldi non si son visti e il tavolo si è sgretolato. Musk è riuscito comunque a diminuire i prezzi delle sue autovetture rendendole così più accessibili; è andato però a produrle in Cina. Nel giro di pochissimo tempo un programma industriale che sembrava perfetto per raccogliere un certo consenso tra gli elettori è stato smentito.
Nel frattempo la bolla finanziaria si sta ri-gonfiando, e a tal proposito si è accennato all'ingigantirsi della rendita nel settore degli alloggi in regime di co-living (circa 80 miliardi di dollari). Il più delle volte la costruzione degli alloggi avviene a livello industriale ed è finanziata da una banca; quando i proprietari hanno finito di pagare il costo di edificazione e affittano una casa oppure una palazzina, iniziano a percepire rendita pura. Rimane però il fatto che il valore in denaro ricavato non può che venire dall'unica fonte possibile: il plusvalore prodotto nella società.
Se uniamo i tasselli che compongono il puzzle capitalistico, vediamo emergere un mondo che viaggia spedito verso il collasso. L'incapacità degli Usa nel tenere sul territorio nazionale le proprie industrie, con lo spostamento delle produzioni di auto (elettriche e non) in Cina, dimostra che le determinazioni materiali in atto sono potentissime e che il Capitale è ormai autonomizzato.
Il sistema si sta avvitando su sé stesso anche in ambito sociale: nelle manifestazioni di Charlottesville si vedono militanti armati, di entrambi gli schieramenti, e in assetto da guerra. Quello che succede in America è un effetto della guerra mondiale; che si tratti di fazioni di destra contro manifestanti di sinistra oppure delle demolizioni di statue di Colombo, poco importa: il marasma generale e la guerra di tutti contro tutti è diventato sistema.
In chiusura di teleconferenza si è accennato allo sciopero globale dei lavoratori dei fast food dello scorso 4 settembre (#FastFoodGlobal), in occasione del Labor day. Per il quarto anno consecutivo, grazie alla piattaforma di coordinamento che ormai è globale, migliaia di lavoratori della ristorazione veloce, ma anche dell'assistenza sanitaria, dei servizi e altro ancora, hanno incrociato le braccia, dagli Usa al Brasile, dall'Indonesia al Giappone. In Italia la Filcams-Cgil si è accodata mobilitando alcune sue strutture territoriali e partecipando (simbolicamente) alla giornata di lotta.