L'ingresso degli Arditi nella lotta politica del dopoguerra avviene attraverso la mediazione di due gruppi diversi ma vicini, i futuristi ed il "Popolo d'Italia" di Mussolini. L'atteggiamento antiborghese di queste forze, i futuristi in particolare, si caratterizza come avversione morale ai valori, costumi e ideali della vita borghese ma sfocia nell'esaltazione del nazionalismo, nella glorificazione della guerra, nella prospettiva di una rivoluzione nazionale che porterà presto all'adesione al fascismo. Ambrosini seguirà una via diversa legandosi con le sue confuse posizioni rivoluzionarie al socialismo.
All'inizio del 1919, inserito nel movimento politico futurista, fonda con Bottai, Carli, Vecchi ed altri la "Associazione fra gli Arditi d'Italia". Suoi articoli si trovano, in questo periodo, oltre che su "Roma futurista" anche nel giornale della Associazione Arditi "L'Ardito"; nello stesso periodo collabora saltuariamente a "Il Popolo d'Italia" e intrattiene rapporti con Mussolini.
Ambrosini che aveva dato vita alla sezione Arditi di Palermo dopo l'assalto guidato dai futuristi alla sede dell' "Avanti!" a Milano del 15 aprile 1919 sembra distanziarsi dalle posizioni ardito-futuriste. Infatti scrive: "Però, o amici arditi e futuristi, c'è un guaio: dicono ora che noi abbiamo protetto la borghesia, dicono che noi siamo stati i bravacci dell'ordine, le avanguardie dei carabinieri."
Nel luglio partecipa con Argo Secondari (futuro capo degli Arditi del Popolo romani) all'episodio abbastanza oscuro conosciuto come il "complotto di Pietralata".
Nell'estate del 1919 in seguito anche a contatti tra alcuni socialisti e l'ala estrema dello schieramento combattentistico si sposta su posizioni di sinistra. Scriverà infatti il prefetto di Roma in una comunicazione del 30 luglio 1919 : "Viene riferito in via fiduciaria che l'Associazione Arditi malgrado il personale interessamento di Mussolini, non abbia voluto aderire al fascio delle forze interventiste. Lo stesso informatore aggiunge che la propaganda socialista fra gli arditi, inizialmente diretta solo al disgregamento dell'associazione, starebbe per raggiungere un obiettivo ancora maggiore di quello prefissosi, giacchè tre dei più autorevoli membri e dirigenti l'Associazione (Carli, Vecchi, Ambrosini) avrebbero negata l'adesione al fascio suddetto (mussoliniano) per orientarsi verso il movimento socialista."
Lo stesso Nitti, in una lettera del 6 agosto 1919 al generale Albricci, ministro della guerra , scriverà: "L'Associazione fra gli Arditi d'Italia (...) va stringendo relazioni col partito socialista ufficiale. Fautori di accordi in tal senso sarebbero specialmente i noti Carli, Vecchi e Ambrosini."
E' lo stesso periodo in cui Mario Carli pubblica su "Roma futurista" un articolo intitolato "partiti d'avanguardia: se tentassimo di collaborare" in cui si legge: "Ho esaminato seriamente l'ipotesi di una collaborazione fra noi (futuristi, arditi, fascisti, combattenti, ecc.) e i partiti cosiddetti d'avanguardia: socialisti ufficiali, riformisti, sindacalisti, repubblicani. (...) Noi siamo libertari quanto gli anarchici, democratici come i socialisti, repubblicani quanto i repubblicani più accesi."
(eventualmente aggiungere. Sulla confusione nel collegamento, come forza eversiva degli Arditi, fa anche testo questa circolare del Comando della divisione militare di Torino del 28 maggio 1919:
"D'ordine ministeriale pregasi disporre perchè sia proibita le vendita e la lettura nelle caserme del giornale bolscevico (sott. mia) "L'Ardito". Qualora risultasse che militari, specie nei reparti d'Assalto, vendano in pubblico copie di detto giornale, si provveda energicamente avvisando questo comando dei provvedimenti presi." In: Eno Mecheri, Chi ha tradito? Milano, Libreria lombarda, 1947, pag. 42.)
Ma il progetto di un accordo fra arditi-futuristi e socialisti è di breve durata. "Roma futurista" del 7 settembre 1919, conterrà, in risposta ad una lettera di Ambrosini che annuncia la sua rottura con Mussolini pubblicata nell' «Avanti!» del 27 agosto, violente invettive contro i leaders dell'arditismo di sinistra Vittorio Ambrosini e Argo Secondari.
Aderisce quindi al PSI e collabora all' "Avanti!". Parimenti c'è il suo passaggio dalla Associazione nazionale combattenti alla Lega proletaria, organizzazione "guidata" dal PSI e diretta da Cesare Seassaro che non riuscì mai a decollare .
(ampliare su rapporti Lega proletaria-Ambrosini: scritti di Ambrosini su Spartacus, giornale della lega)
I numerosi scritti di Ambrosini nell'estate autunno 1919 sull' «<Avanti!» riguardano soprattutto le sua polemica con Mussolini ed i futuristi; non mancano però anche testi di carattere "teorico"; ad esempio, il 30 dicembre è riportato un suo articolo intitolato "La funzione degli intellettuali nel nuovo ordinamento sociale". A Milano, sempre nel 1919, fa parte della "Guardia Rossa".
Lo stesso "Il Soviet" nel numero del 7 settembre 1919 in un articolo non firmato, ma probabilmente di Bordiga, interviene scrivendo: " Vittorio Ambrosini in una coraggiosa lettera si distacca dai compagni di arme e ne denunzia le vergogne e le colpe. Egli riconosce di essersi illuso e lo afferma con coraggio, con coraggio sì perchè da quell'ambiente di montatura e di coercizione morale ci vuole del coraggio per uscirne e per mettersi contro."
Nell'inverno dello stesso anno, per marcare maggiormente la sua nuova collocazione di campo presenta «volontaria rinuncia al grado»
Nei primi mesi del 1920 si sposta, vista la inconcludenza della direzione massimalista del PSI, sulle posizioni dell'estrema sinistra socialista. Tiene comizi barricaderi, per i quali viene denunciato, a Ivrea, Torino e Savona. In questo periodo risiede, per qualche mese, a Torino. Aderisce alle posizioni astensioniste con un articolo pubblicato da "Il Soviet"
Ambrosini prende parte alla "Conferenza nazionale della Frazione comunista astensionista" dell'8-9 maggio 1920 a Firenze.
Giuseppe Berti parla diffusamente di Ambrosini nella prima parte di "Il gruppo del Soviet nella formazione del PCI"
Quanto dice Berti è da prendere con beneficio di inventario dato che lo scritto, del 1934, è pervaso da un antibordighismo viscerale. Scrive Berti: presente, non invitato, alla Conferenza "fu il famigerato capitano Vittorio Ambrosini che della Frazione non faceva parte perchè la sua domanda di adesione era stata respinta dagli astensionisti della sezione di Palermo, di cui egli era membro, i quali malgrado l'intervento di Lazzari, s'erano in precedenza pronunciati anche contro la sua ammissione nel Partito. Ambrosini, probabilmente già allora al servizio della polizia [secondo noi questa è una gratuita affermazione di Berti], si recò al convegno di sua iniziativa, dicendosi inviato dai compagni palermitani che, conosciuta a tempo la cosa, si affrettarono a telegrafare a Bordiga mettendolo in guardia contro quel falso delegato. Bordiga non volle fare scandali e se lo tenne al convegno ove Ambrosini ebbe il contegno di un agente provocatore qualificato e provocò una serie di incidenti.". Gli "incidenti" provocati da Ambrosini, cui Berti si riferisce, sono sostanzialmente la discussione sui consigli di fabbrica e sui Soviet dei quali Ambrosini si fa ardente sostenitore additandoli a strumenti della presa del potere.
Nel "Il Soviet" del 6 giugno 1920 viene pubblicato un suo articolo "La nostra Frazione dopo Firenze" che riassume il suo intervento e la mozione che egli ha presentato: "Le masse vogliono oggi agire e l'azione si impone oggi in maniera assoluta (...) Io presentai a Firenze una mozione, che non fu nemmeno messa in votazione e che conchiudeva, se mal non ricordo: 1° per la pronta costituzione dei consigli di fabbrica e dei soviet quali organi di lotta rivoluzionaria e di esercizio del potere proletario durante e dopo la rivoluzione. 2° per la preparazione rivoluzionaria, insurrezionalistica. 3° per la preparazione della conquista delle fabbriche e l'invasione dei campi, che compiuta in maniera simultanea e coordinata, costituisce un movimento politico da effettuare al momento della presa di possesso dei poteri da parte del proletariato. Ora io credo che specialmente in merito alla costituzione dei soviet e dei consigli di fabbrica il compagno Bordiga dovrebbe uscire da quella incertezza che ha manifestato al Convegno di Firenze (...) Non siamo più ai tempi delle discussioni teoriche e nessuna Frazione, nessun partito può essere oggi vivo e vitale, in mezzo al precipitare della crisi sociale, se si fonda su una azione critica e negativa, senza indicare una via diritta di azione positiva.". Bordiga postilla l'articolo scrivendo: "Abbiamo pubblicato questo articolo nella speranza di convincere l'autore delle gravi inesattezze in cui è incorso. Circa la questione dei consigli di fabbrica e dei Soviets non vi è incertezza alcuna nel pensiero del compagno Bordiga -che egli chiama in causa personalmente- del Comitato Centrale e della Conferenza di Firenze. Nella Conferenza furono unanimemente accolti, salvo riserve di ordine secondario da parte di qualche rappresentante, i criteri sostenuti dal "Soviet" secondo i quali, in riassunto, nè i consigli di fabbrica, nè i Soviet possono essere considerati organi per la lotta rivoluzionaria, e la loro costituzione non può rappresentare il contenuto dell'opera rivoluzionaria, che è opera politica di preparazione ideale e materiale la cui premessa è l'esistenza di un Partito Comunista. (...) Quanto alla mozione Ambrosini essa faceva una tale confusione tra sciopero generale, presa di possesso delle aziende, conquista rivoluzionaria del potere che la rendevano inacettabile, come risultò dalle ampie confutazioni degli altri oratori. Il compagno Ambrosini domanda quale sia il programma di azione positiva della Frazione. A noi pare di averlo più volte chiarito e di avere molto insistito sui legami tra principii e azione comunista, tra dottrina e pratica, confutando l'antitesi tra i due termini che vogliono stabilire coloro che appaiono i rivoluzionari più ardenti. Tra questi pare sia il nostro Ambrosini, il quale sottolinea sempre la parola "azione" e "agire". Non dimostra ciò forse che nella sua mentalità l'azione finisce per divenire fine a se stessa, e non più un mezzo atto a raggiungere un chiaro fine storico? Nella Conferenza cercammo di dimostrare al compagno Ambrosini come questo errore di valutazione si riconduca alla formula favorita dai riformisti: il fine è nulla, il movimento è tutto. L'azione richiede tra i suoi coefficienti di successo la coscienza politica di una minoranza di avanguardia che deve costituire il partito rivoluzionario. Noi non diciamo che della preparazione materiale non bisogna occuparsene fin da ora; pensiamo anzi che si è perduto già troppo tempo. La vogliamo però abbinata con la preparazione politica. Le manifestazioni di molti compagni che, per esuberanza di temperamento tengono l'atteggiamento di Ambrosini, vanno convincendoci che la seconda preparazione difetta almeno nella stessa misura della prima."
E' un rimettere in piedi la questione secondo i temi che contraddistinguono il gruppo astensionista.
Lavoro illegale e preparazione militare
Nella tarda estate del 1920, in concomitanza con il movimento di "occupazione delle fabbriche", Ambrosini dà vita a "L'Ardito Rosso" settimanale organo dei "Gruppi Arditi Rossi". Il primo numero che avrà redazione e amministrazione a Milano presso il fascio giovanile socialista sarà subito sequestrato ed Ambrosini denunciato; i numeri successivi, per questo motivo, usciranno a S. Marino. E' il tentativo, già esplicito dal nome, di unire il combattentismo di sinistra e l'esperienza proletaria.
Il PSI non ha mai avuto una organizzazione militare cerntralizzata; terminata la guerra in certi luoghi e in certe situazioni operai armati si organizzano, senza direttive ben precise, per difendere dai primi attacchi fascisti le sedi dei giornali socialisti (vedi Avanti!) e le sedi del Partito. Il P.S.I. seguita, fondamentalmente,: "ad essere una organizzazione di propaganda senza legame diretto con le masse alle quali può giungere solo attraverso la CGL, i sindacati, le Camere del Lavoro; le sue sezioni sono circoli di cultura e di agitazione politica non collegati tra loro da una direzione politica comune a livello provinciale e regionale. Complessivamente, quell'organismo che alla fine del secolo XIX e al principio del XX era stato elemento di modernità nella vita politica, si rivela ora invecchiato ed inadeguato a coordinare e a dirigere unitariamente su scala nazionale il moto che agita milioni di proletari della città e delle campagne"
Nel PSI manca, ugualmente, ogni chiara posizione sull'insurrezione, "quell'arte" di cui parlavano Marx ed Engels. Per il massimalismo e per Serrati la rivoluzione "viene fatalmente da sè" e ogni posizione che vede il partito guidare l'insurrezione è una visione blanquista e volontarista.
L'unico che si pone su di un terreno "leninista" è Bordiga che vede l'insurrezione come "un colpo di maglio risolutivo, concentrato nel tempo e nello spazio, teso alla conquista del potere politico, organizzato dal partito "un'audace minoranza di individui pronti alle responsabilità e ai pericoli della lotta nel periodo dell'insurrezione"".
La concezione dell'insurrezione di Bordiga lo inserisce, a pieno diritto, nel filone che partendo da Blanqui e passando per Marx ed Engels giunge a Lenin. Per Bordiga, la violenza non proviene dal basso, ma... dall'alto, dall'organizzazione centralizzata del partito.
La Frazione astensionista, insieme alla Federazione giovanile socialista, aveva posto il problema di preparare una organizzazione armata di partito, ma senza giungere a risultati ben definiti .
In una comunicazione riservata della prefettura di Napoli del 13 aprile 1919 si dice: "Circa la costituzione di comitati segreti i quali dovrebbero preparare tecnicamente la rivoluzione, risulta che qualche accenno se ne fa in alcuni gruppi ristretti, con grande circospezione, per confermare la prossimità di un movimento rivoluzionario. A tener viva tale convinzione si dedicano specialmente i noti ing. Amadeo Bordiga e prof. Giovanni Sanna."
In ogni caso Bordiga e la Frazione Astensionista porranno in secondo piano la creazione della struttura militare rispetto al compito politico fondamentale che era quello della fondazione del partito comunista.
Da San Marino, dove è rifugiato perchè inseguito da mandato di cattura, Ambrosini pubblica un manifesto, intitolato "Organizzazione dei Gruppi Arditi Rossi (G.A.R.) e dei Consigli dei Soldati (C.D.S.)" in cui precisa i compiti dell'organizzazione:
"Gli scopi dei G.A.R. sono i seguenti:
a) Raccolta di armi e istruzioni per l'uso di esse. Tutti i componenti dei G.A.R. debbono essere armati, tanto essi che i simpatizzanti devono essere istruiti all'uso di pistole, fucile, bombe, e mitragliatrici ecc.
b) Avanguardia delle manifestazioni proletarie. In occasione di comizi ecc. il gruppo scende in piazza armato, diretto dal capo, si tiene sempre vicino ai carabinieri per circondarli e disarmarli al momento opportuno; sorveglia i nemici in genere.
c) Scoppiando un movimento generale il G.A.R. si mette alla testa della massa e organizza colpi di mano per l'assalto alle caserme, depositi di armi e munizioni, invasione di fabbiche e campi, impossessamento o distruzione di telegrafo, telefono, ponti ferroviari, depositi di benzina, materiali: si farà la distruzione o l'impossessamento a seconda che sia conveniente o possibile distruggere od usare per nostro conto.
d) Compito più importante è l'organizzazione dei Consigli dei Soldati." e viene poi indicata la procedura da adottare.
Il tentativo di Ambrosini di costituire i "Consigli dei soldati" viene però soffocato sul nascere dall'intervento delle autorità militari e di polizia. Si legge infatti in "Disposizioni ai prefetti circa la tentata formazione di Soviet tra le truppe da parte di Vittorio Ambrosini" del 27 dicembre 1920 : "Consta che tentasi diffondere tra organizzazioni rivoluzionarie una circolare a firma Avv. Vittorio Ambrosini, ex capitano arditi, direttore noto periodico "Ardito Rosso" edito San Marino, con istruzioni per costituire gruppi arditi rossi e consigli dei soldati, raccolta di armi, propaganda tra militari e particolarmente tra carabinieri e guardie regie. (...) raccomandasi intensificare viglilanza per impedire diffusione detta circolare dell'Ambrosini e seguire accortamente attività partiti rivoluzionari diretta alla formazione di siffatte organizzazioni, procedendo alle misure necessarie per immediato sequestro di armi abusivamente detenute."
Sempre da San Marino Ambrosini si mette a disposizione della Frazione comunista costituita da poco.
Il Convegno della Frazione darà incarico a Misiano di tenere i contatti con Ambrosini. In una lettera del 23 ottobre 1920, indirizzata a Bombacci , Ambrosini scrive: "Avendo, con mia grande soddisfazione, letto il manifesto [si tratta del Manifesto-programma della frazione comunista del PSI del 15 ottobre] firmato da te, Misiano, Bordiga, ecc. ed avendo anche ricevuto una lettera da quest'ultimo direttamente, sciolgo la riserva contenuta nella mia di una settimana fa e faccio piena e completa adesione alla frazione comunista. Ti ripeto che l'Ardito Rosso è a completa disposizione della frazione per tutte le comunicazioni ed articoli. Ti sarei grato anche se tu volessi, anche con poche righe, dare un segno dei tuoi sentimenti verso l'Ardito Rosso, che mi varrebbe come una risposta ai tanti attacchi e altrettante diffide fatte da Serrati ai compagni. Il lavoro di organizzazione dei gruppi arditi rossi e dei consigli dei soldati procede ottimamente: sin da questo momento lo metto sotto il controllo della frazione comunista, quando si costituirà."
Offre quindi la direzione del giornale "Ardito Rosso" a Misiano, Vidali e Seassaro ma nessuno dei tre accetta.
Nell'autunno del 1920 sembra partecipi, quale esperto della difesa militare, all'occupazione dello stabilimento Bianchi a Milano. Da qui si sarebbe recato poi a Trieste con l'intenzione di unirsi ai legionari dannunziani a Fiume, ma, inseguito da diversi ordini di cattura per attività sovversiva, si trasferisce in Austria, a Vienna.
Quando nasce il P.C.d'I. l'ondata rivoluzionaria è già passata da tempo e si fa più minacciosa la reazione della borghesia, quella legale degli apparati dello stato e quella illegale rappresentata dalle bande fasciste che agiscono impunemente.
Il P.C.d'I. subisce pesantemente l'attacco statale e fascista. L'offensiva fascista era iniziata in maniera aperta e dispiegata nell'autunno del 1920. Nel febbraio del 21 viene assaltata e distrutta la sede di "Il Lavoratore", Tuntar e gli altri comunisti di Trieste sono in prigione; Edmondo Peluso viene confinato nello scoglio di Santo Stefano; Ersilio Ambrogi viene deferito al tribunale per i fatti di Cecina come delinquente comune sotto l'imputazione di omicidio; Spartaco Lavagnini è ucciso a Firenze.
Nel "Rapporto del CE del PCd'I" (firmato da Bordiga, Grieco e Fortichiari) inviato il 20 maggio 1921 al CE dell'Internazionale Comunista è scritto: "Bisogna pensare che nel suo periodo di organizzazione il PC ha dovuto constatare l'assenza di ogni preparazione sistematica all'armamento del proletariato, alla propaganda nell'esercito, all'inquadramento delle forze rivoluzionarie, ecc.; e pensare a risolvere questi gravi problemi. La maggiore difficoltà è costituita dalle idee confuse e infantili della maggior parte dei compagni, che, vedendosi consigliati a rinunciare ad alcuni metodi ingenui senza essere messi al corrente, come è naturale, della diversa direzione data al lavoro e delle iniziative serie, immaginano che in loro assenza non si farà nulla, chiedono di sapere tutto, e non riescono mai ad imparare la disciplina dell'esecuzione silenziosa e della obbedienza devota e discreta."
Anche Ruggero Grieco scriverà in un articolo del 1922, riferendosi ai primi mesi di vita del partito comunista: "Il nostro partito in questo primo anno di vita ha avuto un'organizzazione che può dirsi "sperimentale" (...) Essa si sforza di perfezionarsi perseguendo un'opera continua di polizia interna, di autopurificazione, nello stesso momento in cui tende ad essere più snella e più agile, più accentrata ed omogenea. Uno dei caratteri fondamentali dell'organizzazione del partito comunista è quella dell'accentramento (...) Il nostro partito, nato in ritardo si è trovato nella condizione di doversi dare un'organizzazione nello stesso momento in cui era costretto dagli avvenimenti a difendersi dalla reazione della classe borghese. La organizzazione dei primi mesi fu tumultuaria, affannosa, con caratteri di provvisorietà."
A un mese e mezzo dalla sua fondazione il P.C.d'I. in un "appello contro la reazione fascista " dice: "La parola d'ordine del partito comunista è dunque quella di accettare la lotta sullo stesso terreno su cui la borghesia scende, attrattavi irresistibilmente dal divenire della crisi mortale che la dilania: è di rispondere con la preparazione alla preparazione, con l'inquadramento all'inquadramento, con la disciplina alla disciplina, con le armi alle armi. Non vi potrà essere allenamento migliore all'offensiva immancabile che un giorno sarà sferrata dalle forze proletarie contro il potere borghese, e che sarà l'epilogo delle lotte attuali"
Da subito il P.C.d'I. vede con diffidenza prima e si oppone ai tentativi di Vittorio Ambrosini che aveva cercato fin dall'autunno del 1920 con il suo giornale "Ardito rosso" di promuovere una organizzazione autonoma armata del proletariato.
Per il partito comunista il compito di creare l'organizzazione armata deve essere strettamente legato alla direzione del partito e da questa venne affidato ad una apposita struttura, L' "Ufficio I", diretto da Bruno Fortichiari. Non si può separare il problema militare delle difesa e dell'attacco dal problema politico. L'apparato illegale del partito avrebbe potuto condurre, a seconda delle condizioni, azioni con altre formazioni (e questo avvenne) "era tuttavia essenziale tener fermo il principio che non dovessero sorgere organi "direttivi e permanenti comuni", e che l'inquadramento comunista non dovesse sottostare a disposizioni e ad una disciplina che non fossero quelle "sue proprie", la loro autonomia essendo condizione di possibili sviluppi della guerra civile di allora in senso non interclassista ma "classista", non democratico ma "rivoluzionario", non "neutro" nei confronti delle istituzioni fondamentali dello Stato ma "intransigentemente antagonistico"."
Deluso per la cauta e tiepida (se non fredda) reazione del partito comunista verso i suoi "Arditi rossi", inseguito da ordini di cattura vari, Ambrosini è quindi all'inizio del 1921, come abbiamo visto, a Vienna dove stabilisce rapporti con il variegato ambiente dei rifugiati politici. Vienna già dal 1919 è una importante "stazione" nella rotta dei corrieri clandestini tra Italia Berlino e Mosca e viceversa.
Qui una informativa della polizia lo dà affiliato a delle non meglio precisate "Bande Rosse di Pietroburgo". Da Vienna, come vedremo, criticherà a fondo la posizione del P.C.d'I. allineandosi, con Bombacci e pochi altri, alla posizione che sta assumendo l'I.C.
E' significativo che, come per Bombacci, esistano per Ambrosini stretti legami fin da ora con gli "emissari russi" dell'I.C.
Elemento scatenante dei contrasti e della rottura con il Pcd'I. sarà anche la questione degli "Arditi del Popolo".
I suoi "Arditi Rossi" cercheranno di mettersi in contatto con gli "Arditi del Popolo" romani ma senza risultato.
Nel primo numero di "L'Ardito del Popolo" (2 settembre 1921) si trova un appello "per un fronte armato antifascista" firmato da Vittorio Ambrosini . Da tenere presente che "L'Ardito del Popolo" era diretto da Mingrino che si era già diviso da Secondari; la tendenza di Secondari pubblicava "L'Avanguardia sociale" che aveva come sottotitolo "Organo dell'Associazione degli Arditi del Popolo" che sconfesserà il giornale di Mingrino.
Gli "Arditi del Popolo" e la posizione del P.C.d'I.
Nel giugno del 1921 dalla sezione romana degli Arditi d'Italia si stacca un gruppo guidato da Argo Secondari che si lega subito al repubblicano Luigi Piccioni e all'anarchico Attilio Paolinelli. (Argo Secondari aveva partecipato all' "impresa di Fiume", gli altri due erano stati accesi interventisti).
Questo gruppo si costituisce ufficialmente in "Associazione Arditi del Popolo" il 27 giugno. Il 6 luglio gli "Arditi del Popolo" inquadrati militarmente nelle tre compagnie. "La Temeraria", "La Dannata" e "La Folgore" partecipano all'Orto Botanico a Roma alla manifestazione organizzata dal Comitato di difesa proletaria. Al "Comitato di difesa proletaria" avevano aderito, secondo quanto scritto in "L'Ordine Nuovo" del 7 luglio 1921, i rappresentanti della Camera del Lavoro, del partito comunista, di quello socialista, i repubblicani e gli anarchici. L' Ordine Nuovo (nel numero citato) dà ampio spazio alla manifestazione e riferisce che: "Bombacci porta il saluto e l'adesione del PCI (...) Il compagno Bombacci rileva che l'adunata gigantesca va oltre i partiti: è il proletariato rivoluzionario di Roma che muove verso la sua redenzione (...)".
Rapidamente il movimento si estende in varie regioni d'Italia (Liguria, Emilia, Toscana oltre che nel Lazio). Grande importanza ha l'elemento locale nella costituzione degli Arditi del Popolo ed esso varia molto in zone diverse. Gli Arditi furono più forti nelle zone in cui era più radicata una tradizione anarco-sindacalista ed anarchica e dove la scissione tra socialismo e sinistra interventista nella guerra era stata meno netta. In alcune città i comunisti si misero a capo, quando non costituirono direttamente, dei gruppi di Arditi.
L' Ordine Nuovo aveva definito l'8 luglio gli AdP "il primo tentativo di riscossa operaia contro le orde della reazione" e in un articolo successivo del 15 luglio Gramsci ribadirà: "Sono i comunisti contrari al movimento degli Arditi del Popolo? Tutt'altro; essi aspirano all'armamento del proletariato, alla reazione di una forza armata che sia in grado di sconfiggere la borghesia e di presidiare l'organizzazione e lo sviluppo delle nuove forze produttive generate dal capitalismo".
Il 12 luglio L' "Ordine Nuovo" pubblica una lunga intervista ad Argo Secondari, intervista in cui il giornale torinese manifesta una viva simpatia con questa organizzazione.
Alla fine dell'articolo compare sul giornale un breve trafilettoche riferisce dell'assemblea della sezione romana del partito, presente Amadeo Bordiga. In esso si dice: "Il segretario Lemmi manifestò viva simpatia verso la nuova organizzazione che dimostrava uno spirito tanto combattivo. Ma Bordiga gettò subito acqua sugli entusiasmi, informando che "la questione degli Arditi del popolo riveste carattere nazionale e come tale sarà risolta dagli organi centrali. L'Esecutivo non mancherà di far conoscere il suo pensiero al riguardo"".
"Il Comunista" del 14 luglio, pubblica una comunicazione "Per l'inquadramento del Partito" in cui il C.E. comunista esprime la sua opinione sui nuovi avvenimenti di fronte ai tentennamenti che si sono manifestati: "... il lavoro per la costituzione e l'esercitazione delle squadre comuniste deve dunque continuare ad iniziarsi dove ancora non lo si è affrontato, ma attenendosi al rigoroso criterio che l'inquadramento militare rivoluzionario del proletariato deve essere a base di partito, strettamente collegato alla rete degli organi politici del Partito; e quindi i comunisti non possono nè devono partecipare ad iniziative di tal natura provenienti da altri partiti e comunque sorte al di fuori del loro partito. La preparazione e l'azione militare esigono una disciplina almeno pari a quella politica del Partito comunista. Non si può ubbidire a due distinte discipline"
Lo stesso articolo dà, come indicazione del partito la "formazione delle squadre comuniste, dirette dal partito Comunista, per la preparazione, l'allenamento, l'azione militare rivoluzionaria, difensiva ed offensiva del proletariato."
Di fronte a questa presa di posizione anche il gruppo torinese si allinea alla posizione espressa dal C.E. del partito. La direzione del partito comunista è compatta tanto che lo stesso Tasca scriverà: "Nella recente storiografia comunista si fa del "bordighismo" il solo responsabile di questa posizione, che fu invece quella di quasi tutto il Partito Comunista.". Per il "quasi tutto" probabilmente Tasca si riferisce a Bombacci e pochi altri.
Le decisioni del C.E. del partito incontrano numerose resistenze da parte delle organizzazioni periferiche del partito, tanto che in "Il Comunista" del 7 agosto 1921 viene precisato: "Nonostante le chiare e precise disposizioni diramate per la formazione dell'inquadramento comunista, che non rappresentano una improvvisazione sportiva, ma corrispondono ad un lavoro iniziato da molti mesi specie nelle file della gioventù comunista, parecchi compagni e alcune organizzazioni del partito insistono nel proporre e nell'attuare talvolta la partecipazione dei comunisti adulti e giovani ad altre formazioni di iniziativa estranea al nostro partito, come gli"Arditi del popolo"; o addirittura, anzichè porsi al lavoro nel senso indicato dagli organismi centrali, prendono l'iniziativa di costituire gruppi locali degli "Arditi del popolo" (...) Ad illustrazione del perentorio richiamo ricordiamo a questi compagni le evidenti ragioni comuniste che, indipendentemente da fatti particolari che risultano agli organismi responsabili centrali della linea di condotta da adottare in situazioni aventi valore nazionale, conducono alle direttive da noi adottate. L'inquadramento militare proletario, essendo l'estrema e più delicata forma di organizzazione della lotta di classe, deve realizzare il massimo di disciplina e deve essere a base di partito. La sua organizzazione deve strettamente dipendere da quella politica del partito di classe. Invece la organizzazione degli "Arditi del popolo" comporta la dipendenza da comandi la cui costituzione non è ben accertata, e la cui centrale nazionale, esistente malgrado non sia ancora agevole individuarne le origini, in un suo comunicato assumeva di essere al di sopra dei partiti, ed invitava i partiti politici a disinteressarsi "dell'inquadramento tecnico militare del popolo lavoratore" il cui controllo e dirigenza resterebbe così affidato a poteri indefinibili e sottratto alla influenza del nostro partito. (...) Oltre alla questione di organizzazione e della disciplina vi è quella del programma. Gli "Arditi del popolo" si propongono a quanto sembra (...) di realizzare la reazione proletaria agli eccessi del fascismo con l'obiettivo di ristabilire "l'ordine e la normalità della vita sociale". L'obiettivo dei comunisti è ben diverso; essi tendono a condurre la lotta proletaria fino alla vittoria rivoluzionaria; essi negano che prima della definizione di questo conflitto, portato nella odierna situazione storica alla estrema risolutiva sua fase, si possa avere un assetto normale e pacifico della vita sociale; essi si pongono dal punto di vista dell'antitesi implacabile tra dittatura della reazione borghese e dittatura della rivoluzione proletaria. Questo esclude e dimostra insidiosa e disfattista ogni distinzione tra difensiva e offensiva dei lavoratori, colpiti non solo dalla materiale violenza fascista, ma anche da tutte le conseguenze della estrema esasperazione di un regime di sfruttamento e di oppressione, di cui la brutalità delle bande bianche non è che una delle manifestazioni inseparabile dalle altre."
Rifiuto quindi di confondere l'apparato militare del partito con quello di altre forze politiche e rifiuto di porre la lotta armata al fascismo in vista del ritorno ad una fantomatica libertà democratica. Ben prima della comparsa degli Arditi del Popolo Amadeo Bordiga, in un articolo pubblicato sull' "Ordine Nuovo il 26 marzo aveva già posto il problema e risposto:
"Non interpretiamo il problema come quello di riportare l'avversario nella legge, nella sua legge. Questo vorrebbe dire avvalorare l'illusione controrivoluzionaria che l'ambiente della legalità borghese si presti alla lotta di emancipazione delle masse, e se per poco nella nostra azione noi accettassimo di unirci a quei movimenti che hanno come loro patrimonio di teoria e di tattica quel fondamentale errore, noi rovineremmo tutta la nostra propaganda tra le masse, noi cadremmo nell'equivoco di mostrare di assumere o di lasciar assumere l'impegno che, se la borghesia rispetterà i limiti delle sue leggi, noi faremo dal canto nostro altrettanto."
Tra luglio ed agosto compare un importante lungo articolo di Bordiga in cui si analizza il momento politico che si vive in Italia e l'azione delle varie forze politiche. Bordiga inizia dicendo che nel caos di forze e tendenze che caratterizzano il momento politico è essenziale rendersi conto della funzione di tutti gli altri partiti e movimenti politici. "Oggi in Italia -scrive Bordiga- vi sono tanti di questi movimenti che "tendenzialmente" possono aspirare alla qualifica di rivoluzionari, vi sono tanti programmi di rivoluzioni, ossia tanti progetti di tipo di reggimento sociale o statale da sostituire a quello vigente, che ne resta ottenebrata la chiarezza di quella fondamentale antitesi tra due sole forze nemiche..." Alcuni di questi movimenti non possono essere catalogati come antirivoluzionari "e sono il movimento sindacalista e quello anarchico", ma essi presentano punti d'incontro e di contatti "con altri movimenti falsamente rivoluzionari e che racchiudono in sè solo un inganno per il proletariato ed una serie di risorse conservatrici per il regime borghese." Questi "irregolari della rivoluzione" e tra essi si includono il partito repubblicano, il sindacalismo "corridoniano", il dannunzianesimo che dai legionari giunge agli arditi e ai fascisti "svolgono un'opera deviatrice delle energie rivoluzionarie del proletariato e complice della conservazione dei privilegi della classe dominante". Tutti, dice ancora Bordiga, "vogliono fare la rivoluzione "per la nazione". I veri rivoluzionari sono invece quelli che la vogliono compiere per "la classe"". Si tratta ora di trarre le conclusioni e Bordiga dice:
"E' quindi fuori discussione per i comunisti l'opportunità tattica di intese e di alleanze con questi complottatori da palcoscenico, di pseudo-rivoluzionari che ci regalerebbero la repubblica di Eugenio Chiesa e il soviettismo politico di D'Annunzio, o la "repubblica dei sindacati" più o meno giuliettizzati. (...) Noi dichiariamo incompatibile per i comunisti sovrapporre alla disciplina organizzativa del loro partito l'impegno, ad esempio, ad eseguire le disposizioni di un "comando unico" costituito da delegati di vari partiti, e ciò non solo se si tratta di legarsi in questo reciproco impegno con i movimenti rivoluzionari falsificati di cui prima si parlava, ma altresì nei riguardi dei sindacalisti e degli anarchici. Si noti che l'escludere intese organizzative non esclude che si svolgano azioni nelle quali le forze comuniste possano agire in direzione concomitante ad altre forze politiche; ma occorre conservare il pieno controllo delle nostre forze per il momento, in cui le alleanze di un periodo transitorio potranno e dovranno decomporsi e in cui si porrà in tutta la sua integrità il problema rivoluzionario. (...) I comunisti devono rifiutare di partecipare ad iniziative di intese politiche aventi carattere "difensivo" contro gli eccessi dei bianchi, ma con l'obiettivo insidioso di ristabilire "l'ordine" e fermarsi lì. (...) Un esempio di quegli alleati falsamente rivoluzionari può essere incidentalmente dato dal tenente Secondari e dall'on. Mingrino che dicono: organizzazione armata per ristabilire l'ordine civile, e poi andare a casa. Questo è per noi disfattismo che forse è peggiore di quello dei socialdemocratici."
Ma il dissenso tra la base comunista per le indicazioni del C.E. non si placa tanto che ancora nel novembre Fortichiari, in una lettera ai comitati federali comunisti scriverà: "Insistiamo... nell'esigere dai Comitati federali di attenersi strettamente alle norme per l'inquadramento emanate da tempo... E' deplorevole che in alcune provincie i comunisti si confondano con i cosiddetti AdP. Ciò non deve continuare... La disciplina su tutto è indispensabile, e ove non fosse rispettata saremmo costretti a proporre al Comitato Esecutivo provvedimenti decisivi".
(integrare: Una intervista ad Amadeo Bordiga, a cura di Edek Osser, rivista di storia contemporanea, 1973):
Prima che si manifestasse la famosa iniziativa del capitano Vittorio Ambrosini e degli Arditi del Popolo, il Centro dirigente del partito aveva dovuto diramare disposizioni, sia interne che pubbliche, per liquidare un'altra fase in cui poteva essere insidiata la disciplina organizzativa interna del partito, determinata dalle prime azioni di grave disturbo alle forze proletarie compiute dalle famose "squadre" dei fascisti. Organismi e partito proletari, di indirizzo per principio contrari all'uso della violenza e animati da programmi di pace sociale, avevano lanciata la scandalosa proposta di un "patto di pacificazione" coi centri e i capi del movimento fascista, che si voleva stipulare sia nazionalmente che perifericamente. la direzione del partito comunista, che fin d'allora avvertiva la gravità del pericolo di ogni pacifismo concordatario nel campo della contesa sociale e civile, adempì un suo rigoroso dovere sconfessando con pubbliche dichiarazioni e manifesti il patto in questione: disponemmo, per via interna, che nessuna organizzazione comunista accettasse lontanamente di aderire localmente a insidiosi inviti per patti di detta natura. posso oggi dichiarare (non tanto a mio nome, quanto a quello dei militanti fedeli alle tradizioni teoriche e tattiche della sinistra comunista italiana e internazionale, ancora oggi organizzati non solo nei pochi superstiti delle vecchie generazioni del primo dopo guerra, ma anche in numerosi elementi giovani che hanno fatto nel seguito aperta adesione a quel passato ammirevole), che la soluzione allora data al problema degli Arditi del Popolo si inscerisce magnificamente nella nostra linea storica di sempre. Non solo non abbiamo nessun errore da riconoscere, ma seguendo la stessissima tradizione, ricordiamo di aver rifiutato più tardi ogni partecipazione ai Comitati di Liberazione nazionale, come ai moti partigiani italiani e ai vari "fronti popolari" di infausta memoria, che hanno più recentemente prodotto effetti deleteri anche in Francia, in Spagna e in altri paesi.
La proposta Ambrosini era da non prendere in alcuna considerazione, per ragioni non solo di forma ma di sostanza e di profondo contenuto. Infatti la parola arditi aveva la stessa genesi di quando la si applicava ai combattenti di guerra, dai nazionalisti e dai fascisti. Il riferire tale nuovo inquadramento all'abusato mito del "Popolo" significa ricadere nel vecchio errore antimarxista che ricade nella confusione e non nell'antitesi tra classi sociali, come sempre Marx, Engels e Lenin hanno avvertito prima delle aberrazioni revisioniste. Venendo alle persone di allora, che importano assai meno delle gravi questioni di fondo, non risultò nel 1921 che l'Ambrosini fosse in Germania, ma si seppe da noi che si era recato a Vienna, e non volemmo correre il pericolo che egli figurasse presso nostri amici, o presso lo stesso nostro principale nemico, come un inviato o un dirigente del movimento comunista italiano. Il centro del partito doveva anche evitare che la nostra base potesse confondere l'Ambrosini, o un suo eventuale stato maggiore, con lo specifico inquadramento che già era stato predisposto dal nostro partito. Si doveva infine evitare l'evidente pericolo che i nostri gruppi di periferia potessero porre a disposizione di Ambrosini e dei suoi, quel tanto che già esisteva di un esclusivo nostro armamento, per iniziali e non imponenti che allora fossero i nostri segreti depositi di armi. Inoltre, la dirigenza di un partito rivoluzionario come il nostro aveva anche il dovere di prevenire la spiacevole conseguenza che, fuori d'Italia, un uomo come l'Ambrosini potesse, sia pure per sola vanità o leggerezza, mercanteggiare con gli avversari i poteri a lui incautamente trasmessi, o farsi promotore di un nuovo trattato di pace con le forze fasciste che sempre premevano sulle masse italiane.»
Il contrasto tra PCd'I e IC sulla questione degli "Arditi del Popolo"
Contemporaneamente alla nascita e allo sviluppo in Italia degli AdP, a Mosca L'I.C. tiene dal 22 giugno al 12 luglio il suo III Congresso.
In questo Congresso le discussioni e gli intenti dei maggiori leaders russi si focalizzano sulla difesa dello stato socialista e sui mezzi che devono essere utilizzati contro l'offensiva della borghesia in Europa.
Il Congresso è una netta ritirata rispetto al II; in esso viene lanciata la parola d'ordine "alle masse" e definito il fronte unico.
L'I.C. invita il P.S.I. ad eliminare dal partito la destra riformista e "ove questa condizione pregiudiziale venisse eseguita, a provvedere alla fusione del partito socialista italiano, epurato dagli elementi riformisti e centristi, col Partito Comunista d'Italia in un'unica sezione dell'I.C.". Il dissenso tra I.C. e P.C.d'I è, su tutta la linea, netto; la divaricazione sulla questione degli "Arditi del Popolo" non ne è che una delle maniferstazioni.
Lenin, in una riunione (del III Congresso) con la delegazione tedesca, polacca, cecoslovacca, ungherese ed italiana dice, riferendosi alla manifestazione romana del 6 luglio: "Imitare meglio e più rapidamente i buoni esempi. E' buono l'esempio degli operai di Roma" e, qualche tempo dopo, chiederà gli vengano inviati materiali "sugli avvenimenti a Roma, quando gli operai di tutti i partiti si sono uniti intorno ai comunisti nel corso di una manifestazione contro i fascisiti nel luglio dell'anno corrente.".
In una lettera ai comunisti tedeschi del 14 agosto 1921 Lenin giunge a citare la costituzione degli AdP come esempio di "conquista della maggioranza della classe operaia".
Nella seduta del 14 settembre 1921 del C.E. dell'I.C. viene criticata la decisione del CE del PCd'I di non partecipare al movimento degli "Arditi del Popolo":
"Il partito ha commesso un serio errore sulla questione degli "Arditi del Popolo". Era la migliore situazione per unire sotto la nostra direzione vaste masse. Il fatto che alla testa del movimento erano elementi radicali-borghesi di tendenze avventuristiche, non può affatto servire di pretesto per agire in tal modo. In Russia noi eravamo penetrati persino nelle organizzazioni poliziesche per reclutare sostenitori. In Italia la situazione si presentava in modo notevolmente migliore: lì non si trattava affatto di di organizzazioni poliziesche..."
Mentre Vorovskij, rappresentante del governo russo a Roma, invia rapporti in cui si critica l'atteggiamento del PCd'I, il dibattito si apre anche sulla stampa comunista internazionale. Compare su "L'Internationale Communiste" dell'ottobre 1921 un articolo di "Ardito Rosso" (Vittorio Ambrosini) che rincara la dose, criticando la posizione del PCd'I.(eventualmente ampliare facendo citazioni dell'articolo di Ambrosini)
Anche Terracini interviene nella discussione con un articolo apparso su Correspondance Internationale del dicembre 1921 in cui viene ribadita la posizione del C.E. del partito italiano.
Il Pcd'I sarà costretto a chiarire la propria posizione con una lettera inviata da Ruggero Grieco, a nome dell'Esecutivo, il 7 novembre 1921che riportiamo in gran parte dato lo spaccato che essa offre della vita politica italiana in quegli anni:
"Utilizzo l'occasione per parlarvi brevemente del problema degli "Arditi del Popolo". Abbiamo tralasciato di mandarvi una lettera al riguardo perchè ritenevamo vi foste fatti un concetto della nostra posizione su questo problema attraverso le pubblicazioni dei nostri giornali che vi inviamo regolarmente. In realtà oggi non ci sono quasi comunisti nelle file degli Arditi e i pochi che ancora vi si trovano ne usciranno tosto. E questo in base a decisioni prese dal Comitato esecutivo del nostro partito. Non si tratta del desiderio nazionale di isolare i comunisti da un movimento di massa e nemmeno del sentimento infantile di intransigenza aprioristica ad averci indotto a prendere una disposizione di questo tipo, ma la valutazione obiettiva del fenomeno. Conoscete la reazione fascista e sapete come il nostro proletariato, defraudato di una sicura direzione o ancor più diretto da socialisti i quali predicano la viltà e la rinuncia alla lotta, fosse all'inizio sconcertato e disgregato. L'ingresso di Giolitti nel ministero significò un aggravamento dell'offensiva fascista a cui si unirono i poteri dello Stato e le sue forze armate. Da allora l'opposizione costituzionale contro il ministero Giolitti si basò specialmente sull' "antifascismo"; nel marzo di quest'anno a Roma vide la luce un quotidiano, "Il Paese", diretto dal rinnegato Ciccotti, questo giornale era il solo, nell'Italia centrale e meridionale, a volgersi in maniera ardita contro il fascismo... Attorno al "Paese", l'organo di Nitti, l'aspirante alla successione di Giolitti, si raccoglieva una gran parte del proletariato e della piccola borghesia del mezzogiorno e così la politica di Giolitti incominciò a barcollare. Improvvisamente in luglio apparvero, senza la minima preparazione, senza che se ne sapesse nulla prima anche nell'ambiente operaio, dei gruppi organizzati militarmente che si denominarono "Arditi del Popolo" e dichiararono di voler lottare contro il fascismo. Grande fu la reazione, forte l'impressione; il proletariato di tutta Italia si univa attorno a questa organizzazione e in molte città, specialmente in quelle regioni dove le azioni delle bande bianche erano più violente (Bergamo, Alto Veneto, ecc.) si costituirono organi analoghi, in cui si univano comunisti, socialisti, anarchici, repubblicani, persino popolari; per un momento sembrò che il fascismo andasse in rovina, "Il Paese", sostenuto dall' "Epoca", un altro giornale di Nitti, rafforzò la sua campagna e il ministero Giolitti cadde. Contemporaneamente cadde tutto il segreto che aveva prima coperto la fondazione degli Arditi e si venne a sapere che doveva ringraziare Nitti della sua nascita, che aveva per obiettivo di dare vita ad un movimento contro i fascisti e quindi contro Giolitti. Il capo dell'organizzazione Argo Secondari, ex tenente volontario di guerra, interventista e d'annunziano, è diventato noto lo scorso anno per una congiura militare, il "complotto di Pietralata", in cui è stato compromesso; accusato pubblicamente di essere un agente della polizia non ha ritenuto giustificarsi; tutto questo dà un'idea della organizzazione diretta da lui. (...) Tale è quindi l'origine degli "Arditi del Popolo" che non sembrò particolarmente opportuno legare alle sue sorti, in qualsiasi modo, il partito comunista. Inoltre, dopo che venne raggiunto lo scopo e Giolitti cadde, gli Arditi persero i loro vecchi sostegni e cominciò la decomposizione: il capo Argo Secondari e il suo stato maggiore quando le fonti di denaro si esaurirono diedero le dimissioni e scomparvero; una volta perso il loro sostegno "dall'alto" gli Arditi vennero sfrattati da Palazzo Venezia; i socialisti che nel frattempo avevano firmato il patto di pacificazione con i fascisti cominciarono a sabotarli; anche la simpatia del proletariato... andò persa. Allorchè fu terminata la sua funzione nell'ambito della politica borghese parlamentare, una volta concluso l'episodio di lotta Nitti-Giolitti, gli "Arditi del Popolo" persero ogni ragione di esistenza."
A questa lettera in cui Grieco parla anche di Ambrosini definendolo "un rifugiato politico [che operava] al di fuori e contro la disciplina di partito e su posizioni individuali" l'I.C. reagisce con un'altra lettera, probabilmente di Bucharin, di fine novembre: "(...) Dove erano in quel momento i comunisti? Erano occupati a esaminare con una lente di ingrandimento il movimento per decidere se era sufficientemente marxista e conforme al programma? (...) Il PCd'I doveva penetrare subito, energicamente, nel movimento degli Arditi, fare schierare attorno a sè e in tal modo convertire in simpatizzanti gli elementi piccolo-borghesi, denunciare gli avventurieri ed eliminarli dai posti di direzione, porre elementi di fiducia in testa al movimento (...) Per il Partito, non c'è movimento a cui partecipino masse di operai troppo basso e troppo impuro. (...) Cari compagni, ci siamo permessi di spiegarvi la nostra opinione sinceramente perchè ci pare che abbiate trattato il problema in modo troppo teorico e di principio. Il vostro giovane partito deve utilizzare ogni possibilità per avere contatto diretto con larghe masse operaie e per vivere con loro. Per il nostro movimento è sempre più vantaggioso compiere errori con la massa, che, lontano dalla massa, racchiusi nella cerchia ristretta dei dirigenti di partito, affermare la nostra castità per principio."
La questione verrà discussa ancora, ripetutamente, in altre sedute del CE e del Presidium dell'I.C.. I problemi della lotta contro il fascismo erano strettamente legati a quelli della tattica del fronte unico.
Nella seduta del CE dell'I.C. del 24 gennaio 1922 era stata costituita una commissione composta da Bucharin, Misiano, Rakosi, incaricata di redigere una lettera al PCdI, affinchè esso "in futuro, in una situazione simile - prendesse- una posizione diversa, -e formasse- il fronte unico nel movimento di massa". Misiano aveva difeso la posizione del PCd'I, ma Bucharin gli aveva replicato:"Il partito ha commesso un grosso errore nell'affare degli Arditi del Popolo. Il fatto che al vertice vi fossero elementi avventuristi radicalborghesi, non è affatto una ragione sufficiente. In Russia noi siamo entrati persino in organizzazioni poliziesche per conquistare la gente... Se un avventuriero può creare e dirigere una tale organizzazione, ciò vuol dire che la situazione era critica e rivoluzionaria, e noi avremmo dovuto sfruttare a nostro vantaggio il favorevole orientamento delle masse... Qui si manifestano i residui di un certo settarismo... La questione principale non sta nel far sventolare una nostra bandiera di partito, ma di conquistare punti strategici nel movimento reale delle masse... La logica stessa della lotta avrebbe fatto sì che noi avremmo conquistato questo movimento.".
Ma il partito italiano non recede dalla sua posizione. Bordiga in un suo articolo "In vista del Congresso del partito comunista italiano" pubblicato su Kommunisticeskij Internacional nella primavera del 1922 ripeterà: "Vogliamo osservare che i nostri distaccamenti comunisti di combattimento non hanno nulla in comune con i cosiddetti "arditi del popolo", la cui comparsa improvvisa, così come tutta la loro ulteriore sorte, è avvolta in una nebbia sospetta".
Gli alleati dell'I.C. nel partito italiano
(questo capitoletto non c'entra con il lavoro su Ambrosini; è messo solo per fissare dei punti che avevo raccolto su Bombacci; toglilo pure e passa al successivo!)
Il ruolo atipico di Nicolò Bombacci
Eletto membro del C.C. del partito alla sua costituzione.
Dirige dal 19 febbraio al 4 luglio 1921 l' "Avanti comunista" (che si pubblicava a Roma)
E' deputato e fa parte del G.P.C. alla Camera
Nei suoi interventi alla Camera si differenzia dagli altri deputati per la sua posizione nella questione di Fiume
nell'agosto del 1921:
"Il prefetto di Bologna Mori informava il Ministero dell'Interno che "profittando del loro stato di irrequieta esasperazione, elementi comunisti (o forse lo stesso On. Bombacci) [avevano] tentato - ma senza successo - delle avances per indurre i fascisti bolognesi ad una intesa di carattere antisocialista"" (Salotti, pag.55)
"I bordighisti si impadronirono di tutte le leve di comando del nuovo partito ad eccezione del GPC" (Noiret, pag.449)
Nel GPC si differenzia dalla posizione del C.E. sulla "questione Misiano".Lo stesso Bordiga fece allusione a "qualche piccolo incidente sorto tra l'Esecutivo e il GP sulla questione Misiano". (vedi verbali del C.C. del 25-26 agosto 1921 in APC, 1917-1940, a.1921, fasc. 39, ff.42-44)
La riunione del CC del 25-26 agosto imperniata soprattutto sulla questione dei rapporti con il PSI "Bombacci rifiutò do firmare la mozione della maggioranza" (Noiret pag. 453)
Il 21 novembre 1921 Bombacci scrive a Zinoviev. "Criticava l'autoritarismo con cui Bordiga dirigeva il partito pur non mettendo in causa tutta la sua linea politica. Secondo Bombacci il capo del partito non teneva conto delle opinioni dei membri del CC, di cui Bombacci faceva parte e di quelle dei membri del GPC." (Noiret pag.455) Vedi lettera del segretario del GPC al CE dell'IC, 21 nov. 1921, APC, 1917-1940, a. 1921, fasc. 44, ff.43-44
"In questa lettera protesta anche contro l'obbligo imposto ai deputati del partito di leggere dei testi preparati dal CE senza alcuna libertà di compiere una vera e propria attività parlamentare" (Noiret, pag. 455)
"Il caso del deputato Misiano espulso "manu militari" dai fascisti diede avvio alla lotta tra il CE e il GPC. I membri del CE avevano dichiarato: "ad ogni costo Misiano dovrà intervenire alle sedute". Il GPC era invece di avviso opposto e pensava che: "per evitare gravi conseguenze" era necessario "rinunciare oer sempre all'intervento di Misiano alla Camera". Bombacci aveva rifiutato di seguire gli ordini di Bordiga il quale voleva che fosse lo stesso Misiano a prendere la parola. Il 3 dicembre 1921 Bombacci lesse probabilmente il testo preparato prima da Bordiga" (Noiret, pag. 455-456)
"Alla riunione del CC, la terza, che si tenne a Roma il 18 dicembre 1921, Bombacci riprese le critiche che aveva già sviluppato nella sua lettera a Zinoviev (Noiret, pag.456)
Bombacci interviene al Congresso di Roma del PCd'I. Già prima del Congresso Bombacci si era allineato totalmente sulle posizioni dell'I.C. (fronte Unico, ecc.)
"Anche Tasca, che in quell'epoca si trovava alla destra del partito, rifiutò, a posteriori, di essere amalgamato con la destra di Bombacci." (Noiret, pag. 460) "Le divergenze tra Tasca e Bombacci erano di sostanza. Anche se il primo aveva presentato una tesi che non escludeva il Fronte Unico Politico, egli era ancora lontano dall'accettare ciò che Bombacci proponeva e cioè di allargare a tutte le forze politiche e sindacali l'alleanza contro il fascismo senza escludere alcuna forza" (Noiret, pag.463)
"Il solo sostegno reale ottenuto da Bombacci, prima del Congresso, a parte quello dei delegati dell'IC e dei bolscevichi presenti in Italia, fu quello del delegato di Teramo, Smeraldo Presutti" (Noiret, pag. 460)
"Bombacci prima dell'inizio del Congresso, aveva inviato la sua mozione al rappresentante dell'IC [Humbert-Droz] da cui tentava di ottenere il sostegno nella sua lotta contro il CE del partito. Bombacci sosteneva che la condotta del partito era "contraria alle ultime deliberazioni interpretative e di sviluppo sulla tattica del Terzo Congresso". Egli dichiarava di "non accogliere la tattica presentata dai relatori Bordiga e Terracini ma di approvare il fronte unico come deliberato dall'Esecutivo Allargato". Humbert-Droz scriveva che la mozione Presutti-Bombacci si poneva "nettement sur le terrein des Theses del l'Internationale mais ils les ont defendue l'un et l'autre, sans becoup de perspicacite". Humbert-Droz ricorda anche che Bombacci scrisse una lettera personale a Lenin per rifiutare le posizioni di Bordiga e Terracini contro il Fronte Unico. La mozione Bombacci-Presutti era sostenuta anche da Kolarov, un altro delegato ufficiale del Comintern al II Congresso del PCd'I. Presentata all'ultimo momento e mal difesa, la mozione non ottenne poerò il successo che avrebbe potuto ottenere grazie al sostegno di Kolarov. Alla fine, Presutti e Bombacci si allinearono sulla mozione Tasca-Graziadei per evitare di restare totalmente isolati" (Noiret, pag.461-463)
"Il nuovo CC del partito che si formò dopo il Congresso, invece di comporsi di 15 membri ne aveva 14. Era Bombacci a mancare all'appello." (Noiret, pag. 461)
Bombacci scrive a Zinoviev il 13 agosto 1922 (riassunto in Noiret, pag. 465) Vedi APC, 1917-1940,a 1922, fasc. 180,ff. 175-184
"La lettera di Bombacci ebbe l'effetto di una bomba in seno al CC del partito. Dal 24 agosto il CE gli comunicò che era stato scelto come uno dei tre membri della "Commissione del programma del partito" che doveva presentare un preciso documento al IV Congresso dell'IC" (Noiret, pag. 469)Vedi lettera del CE del PCd'I a Bombacci del 24 agosto 1922 in APC , 1917-1940, a. 1922, fasc. 111/2, ff. 1-2
In una lettera di Gramsci e Ambrogi da Mosca (del 3 settembre 1922) questi dicono che in un colloquio con Zinoviev questi teneva sul tavolo davanti a loro la lettera di Bombacci.
E presente al IV Congresso dell'I.C.
Il 13 novembre scrive (da Mosca) una lettera a Ziniviev APC, 1917-1940,a. 1922,fasc. 73,f. 116-119 dove attacca Bordiga ed indica tutte le divergenze tra il GPC e Bordiga. Lettera importante! Di Bordiga dice che ha: "une bien insuffisante vision et mentalité politique. Il reve l'absolu, la perfection et perd de vue la realité". Scrive ancora: "Je suis secretaire du GP du parti et pourtant, chaque fois qu'il avait a faire quelques discours politique, le CE imposait presque toujours la lecture d0une declaration presqu'entierement ecrite par Bordiga ou par Terracini sans meme interroger le directoire du GP. Les declarations etaient redigees dans une forme...difficile et etrangere a l'ambiance parlamentaire et encore (plus) aux ouvriers et aux masses des travailleurs, (a tel point) qu'elle devenait odieuse non seulement a ceux (qui) devaient l'inventer mais aussi a ce pauvre diable de camerade qui etait charge de la lire etant prise en riducule par tout le monde. De cette facon, au lieu de saboter le Parlement, Bordiga continue de saboter sa fraction communiste."
Tra il 15 e il 17 novembre Bombacci rientra a Roma. Il 18 novembre interviene alla Camera.E' già stato sostituito da Graziadei come rappresentante del GPC (vedi lettera di Togliatti del 20 maggio, più avanti) Tiene una riunione sempre a Roma, a casa sua, con i dirigenti regionali del patito in cui viene deliberato di fondare al più presto un unico partito con l'ala massimalista del PSI
Il 29 dicembre lascia l'Italia e si reca a Berlino dove c'era Francesco Misiano
"Misiano e Bombacci agirono come se rappresentassero un altro CE del partito stabilitosi all'estero in sostituzione del CC italiano distrutto a causa degli arresti. Quello di Misiano e Bombacci era un tentativo di soppiantare da Berlino il gruppo dirigente precedente e di prendere in mano il controllo del partito, tentativo destinato al fallimento" (Noiret, pag.496)
Togliatti il 20 maggio manda un rapporto all'Esecutivo dell'I.C. (In Togliatti, Opere,pp. 751-757) e comunica che segretario del GPC è Graziadei e non più Bombacci
"Dal maggio al dicembre 1923 Bombacci si consacrò interamente alla Russia sovietica" (Noiret, pag.501)
"In un periodo in cui la minoranza di Tasca cercava di impadronirsi del partito, con l'appoggio dell'I.C., l'attività degli "italiani di Berlino", con cui Bombacci era in contatto, e quella del GPC, rappresentavano una terza corrente politica, favorevole alla fusione con i socialisti. Questa "minoranza" cercò, nel momento di vuoto di potere che caratterizzava la situazione interna del partito nella seconda metà del 1923, di impadronirsi "de facto" della Direzione del PCd'I. Anche questa corrente, che ruotava intorno a Misiano e Bombacci, non era omogenea e non si giovava del sostegno di Tasca a Mosca. La frazione di Tasca agiva in modo sempre più autonomo e ruotava intorno a Giuseppe Berti. Quello che Misiano e Bombacci riuscirono a compiere, fu soltanto di accelerare l'allontanamento di Bordiga. Nella seconda metà del 1923, Mosca aveva già scelto un nuovo gruppo dirigente italiano che ruotava attorno a Gramsci." (Noiret, pag. 503)
Attività nel 1923 del GPC.
"Nel 1923 il GPC giocò "de facto" un ruolo a parte, diverso da quello che il CE avrebbe voluto.Grieco nel 1924 ["Il gruppo parlamentare" L'Ordine Nuovo, n.1, 1 marzo 1924] distingueva tra l'attività del GPC prima della marcia su Roma e quella del 1923 e criticava violentemente le libertà che i deputati si erano prese durante quell'anno di disorganizzazione del partito.
Il 16 maggio 1923, nel corso di una riunione del gruppo, il deputato comunista Garosi presento un o.d.g. sulla "situazione attuale del partito" che fu votato da Graziadei, Belloni, Bombacci, Remondino e Croce. Tale ordine giudicava "errata e dannosa la tattica... seguita dal CE fino al termine dell'ultimo congresso Internazionale"" (Noiret, pag. 506)
Famoso discorso di Bombacci alla Camera del 30 novembre 1923. Nel suo discorso, rivolto a Mussolini, dice fra l'altro: "La Russia è su un piano rivoluzionario: se avete come dite una mentalità rivoluzionaria non vi debbono essere per voi difficoltà per una definitiva alleanza fra i due paesi".
"Questi, prescindendo da ogni valutazione politica, non solo aveva lasciato intravedere la possibilità di un'attenuazione dell'ostilità dei comunisti italiani verso il Governo in cambio di una politica filorussa, ma, nel tentativo di dimostrare i notevoli vantaggi che l'economia italiana vrebbe tratto da tale politica, aveva addirittura parlato di affinità fra la rivoluzione bolscevica e quella fascista. L'Esecutivo del Partito Comunista, il 5 dicembre 1923, diffondeva un comunicato nel quale, pur riconfermando il voto favorevole espresso in aula dal G.P.C. si sosteneva che il discorso di Bombacci non rispecchiava il pensiero e l'atteggiamento del partito. "Il proletariato italiano" proseguiva il comunicato, "approva la ripresa dei rapporti economici con la Russia e il suo riconoscimento politico, non per le ragioni di ristretto ed egoistico interesse economico, quale è quello che muove la borghesia capitalistica, ma perchè in tale fatto vede un rafforzamento ed una possibilità di un maggior sviluppo della forza del proletariato russo che, contro gli attacchi aperti ed occulti della borghesia internazionale, mantiene saldamente il suo posto di avanguardia della rivoluzione mondiale."" (Pizzigallo, Mussolini e il riconoscimento..., Storia e politica, 1977, pag. 457)
In seguito al discorso alla Camera il CE del partito chiese a Bombacci di rassegnare le dimissioni dal partito
"Angelo Tasca, incaricato di illustrare al Gruppo Comunista le ragioni del provvedimento adottato dall'Esecutivo ha scritto: "Bombacci si difese come potè; finì coll'osservare che egli aveva sottoposto lo schema del suo discorso all'ambasciatore sovietico il quale l'aveva incoraggiato a pronunciarlo e rendere così un servizio alla Russia."" (Pizzigallo, cit. pag. 458)
"Il GPC, che si era consultato prima di lasciar parlare Bombacci, si riunì il 12 dicembre per prendere posizione. Belloni e Remondino presero incondizionatamente le difese di Bombacci. Anche Marabini difese Bombacci. Graziadei invece si dissociò da Bombacci e qualificò il suo discorso "ignobile e repugnante"" (Noiret, pag. 528)
Non avendo ottemperato all'invito del CE a dimettersi da deputato Bombacci era stato espulso dal partito.
"Alcuni comunisti chiesero che le misure prese nei confronti di Bombacci fossero "estese ai deputati del gruppo che si dichiararono con lui solidali". Si arrivava cos' ad un regolamento di conti tra GPC e CE" (Noiret, pag. 534)
"dall'inizio di dicembre Bombacci presenta direttamente all'IC una richiesta di ricorso contro la decisione del partito. Egli scrisse a Zinoviev. (...) Nel frattempo a Mosca i dirigenti sovietici e quelli dell'IC si dichiararono pronti a difendere Bombacci contro il CE. Terracini scriveva che "i compagni...intendevano salvare Bobacci anche a costo di sconfessare il CE italiano".Il 29 dicembre Bombacci ricevette una convocazione a Mosca al Comintern per dare un seguito al suo richiamo contro le decisioni del CE" (Noiret, pag. 534-35)
In gennaio Bombacci è a Mosca dove partecipa ai funerali di Lenin.
Inizialmente l'I.C. sembra appoggiare la decisione del partito italiano [su insistenza di Terracini], ma poi su decisione di Zinoviev (e Kolarov) "l'IC pubblica un documento che metteva fine al caso e reintegrava Bombacci nel partito" (Noiret, pag. 537) [vedi "Il caso Bombacci. La deliberazione del Presidium dell'IC", Lo Stato Operaio, 10 aprile 1924]
Nell'aprile del 1924 Gramsci scriverà a Pietro Tresso: "... Misiano e Bombacci che bisogna defecare"; secondo Gramsci si sarebbero dovute prendere delle misure fin dal 1921-1922, ma "Bordiga era molto indulgente..."
Bombacci sarà espulso nuovamente e definitivamente nel 1927.
Dalla critica al PCd'I alla confluenza nel fascismo
Avevamo lasciato Ambrosini a Vienna dove si allinea alle posizioni dell'I.C. contro il partito italiano; gli sono aperti i giornali dell'Internazionale e collaborerà con "Kommunismus"; nel numero 21-22 del 15 giugno 1921 compare un suo articolo (firmato "Ardito Rosso") intitolato "Thesen uber die "illegale Arbeit" in der kommunistischen Partei". Un altro suo articolo è presente nel numero 31-32 dell'1 settembre; in esso (sempre firmato con lo pseudonimo "Ardito Rosso") "Ursprunge und Ausichten des italienischen Faszismus" [origine e prospettive del fascismo italiano]cerca di analizzare il fascismo come espressione dei ceti medi.
La redazione di Kommunismus esprime comunque il suo dissenso dalle posizioni di Ambrosini.
Altri due suoi articoli compaiono su "Revue Communiste", rivista fondata da Charles Rappoport nel marzo 1920.
(citazioni ed analisi degli articoli su "Revue communiste")
Ambrosini attaccherà il PCd'I accusandolo di essere troppo rigido e settario; si scaglierà violentemente contro la posizione che il P.C.d'I. tiene sul Fronte Unico e sugli Arditi del Popolo.
Nella riunione del CC del PCd'I del 25-26 agosto Ambrosini viene criticato e "ammonito severamente"; l'ipotesi fatta da Serge Noiret nel suo libro "Massimalismo e crisi dello stato liberale" è che Ambrosini si fosse fatto promotore nell'agosto del 1921, dopo il "Patto di pacificazione" tra fascisti e socialisti, di un tentativo di intesa con i fascisti bolognesi (anch'essi contrari al patto) in veste antisocialista.
A fine anno pubblica un opuscolo "Per la difesa e la riscossa del proletariato italiano" che vuol essere "la critica della posizione internazionale e nazionale del P.C.I." e che contiene anche un suo "progetto di risoluzione sulla tattica" in vista del secondo Congresso del Partito. Ambrosini caratterizza la posizione del P.C.d'I. come "opportunismo di sinistra" e scrive che "la posizione internazionale del P.C.I. si dimostrò complessivamente al terzo congresso di Mosca fuori dalle linee programmatiche e tattiche della Internazionale Comunista". Appogiandosi ed aderendo totalmente alle posizioni del Terzo Congresso aggiunge che le decisioni di questo Congresso "sono state più o meno coscientemente sabotate dalla sua sezione italiana". Per Ambrosini "il P.C.I. deve rettificare la sua posizione internazionale e nazionale nel senso della adozione leale e senza riserve dei deliberati del 3° Congresso della nostra Internazionale". La stessa posizione è espressa nel "Progetto di risoluzione sulla tattica per il secondo Congresso Nazionale del Partito Comunista d'Italia" (contenuto nello stesso opuscolo) che avrebbe dovuto contrapporsi alle tesi presentate da Bordiga e Terracini. Con queste posizioni Ambrosini si trovò molto vicino a Bombacci anche se non pare che tra loro ci fosse alcun legame diretto. Il legame tra loro era mediato dall'I.C. che, con i suoi vari emissari, sosteneva entrambi . Cercò comunque, pur assente, di far illustrare le sue posizioni al Congresso di Roma tramite Smeraldo Presutti anche se con scarso risultato. D. Pompejano nell'articolo che abbiamo già citato scrive: "Egli affida le sue proposte di tesi sulla tattica ad Angelo Dulcetta, che risulterà più tardi essere inviato a Vienna dal P.N.F. per controllare l'operato di Ambrosini. Quanto a Smeraldo Presutti non è chiaro in che misura egli fosse realmente il portavoce delle posizioni di Ambrosini, benchè le proposte di modifica da lui avanzate quale componente della commissione sulla tattica richiamassero in più punti quelle dello stesso Ambrosini e benchè questi dichiari nell'autobiografia di aver affidato a Presutti l'esposizione delle sue tesi sulla tattica".
Dopo il Congresso di Roma si distaccherà dal partito dal quale si dimetterà nell'ottobre del 1922.
Lo ritroviamo però ancora attivissimo a Vienna all'inizio del 1923 quando applicando i deliberati del IV Congresso dell'I.C. (sulla fusione tra P.C.d'I. e P.S.I.) fonda una sezione del Partito Comunista d'Italia Unificato che è subito sconfessata dal Partito comunista.
Vienna in questi anni si riempie di profughi di varie nazionalità ed è un crogiuolo di attività di elementi tra i più vari: provocatori fascisti, spie governative, agenti del Komintern e rifugiati antifascisti disperati. Personaggi degni di figurare nei romanzi di Graham Greene o di Le Carre.
Ambrosini aderisce al Circolo proletario Andrea Costa di Vienna da cui però viene espulso dopo qualche mese. Fonda allora una "sezione socialista italiana " del P:S.I. ed entra in contatto con Serrati . Su l' "Avanti!" del 26 luglio 1923 compare una sua sottoscrizione in questi termini: "Vittorio Ambrosini e moglie dalla terra ove vivono profughi annunziano ai compagni la nascita di una figlia -una nuova recluta dell'esercito proletario-"
Notizie della sua attività di questo periodo ci vengono dalle lettere di Torquato Lunedei fiduciario a Vienna del P.C.d'I. Scrive Lunedei in una sua lettera "ai compagni del PCI" del 9 maggio 1923: "A tutt'oggi i profughi comunisti residenti qui, siamo in 8 e 3 socialisti ed Ambrosini che attualmente non appartiene a nessun partito. (...) Come leggerete in una corrispondenza che inviai giorni or sono al "Lavoratore", settimane or sono ebbe luogo l'assemblea del Circolo A.Costa, e come già vi dissi abbiamo liquidato completamente il signor Ambrosini, sia dal Circolo A.Costa sia dal Comitato profughi, il quale ora è fuori da qualsiasi carica. (...) In merito alla costituzione della Sezione socialista italiana a Vienna aderente al PSI è un solito bluff di Ambrosini."
In un'altra lettera del 10 agosto 1923 Lunedei ritorna sulla questione: "In merito al giornaletto settimanale "Corrispondenze Italiane" fatto da Ambrosini, dopo la nostra diffida del mese di maggio non è più uscito. (...) Attualmente Ambrosini non occupa più nessuna carica nè in mezzo ai profughi nè in mezzo agli operai italiani qui residenti, essendo stato da noi liquidato. Lui è pure l'organizzatore della Sezione socialista fra gli italiani residenti a Vienna, che la Direzione del Partito italiano non ha voluto riconoscere. In seguito alla nostra diffida pubblicata solo su "L'avvenire del lavoratore" di Zurigo, Ambrosini ha sottoposto la questione alla Commissione Esecutiva della milizia proletaria di Vienna alla quale aderiscono socialisti, comunisti e senza partito."
Verso la fine dell'anno si avvicina all'ambiente del dissedentismo fascista da una prospettiva sindacalista pur venendo ancora additato come "faccendiere dell'I.C.". In questa confusa veste avvicina, in questa città, Attilio Tamaro delegato del P.N.F. per sondare il terreno in vista di una alleanza fra Russia, Italia e Germania . E' suggestivo il movimento congiunto di Bombacci (che il 30 novembre aveva tenuto il famoso discorso alla Camera in cui proponeva l'alleanza tra il fascismo e la Russia) ed Ambrosini, ambedue guidati dalla "longa manus" di Mosca.
(LE NEBULOSE AVANCES DI AMBROSINI RIFERITE NEL RAPPORTO TAMARO, LA REVOCA, DA PARTE DELL'IKKI, DEL PROVVEDIMENTO CONTRO BOMBACCI E, PIU' IN GENERALE, IL "CASO" BOMBACCI VISTI NEI SUOI MOLTEPLICI ASPETTI FANNO PARTE DI UN MOSAICO RICCO DI INTERROGATIVI CHE, ALLO STATO ATTUALE DELLA DOCUMENTAZIONE, SONO DI NON FACILE SOLUZIONE.)
Rientrato in Italia nell'estate del 1924 si muove confusamente nell'ambiente fascista. Durante il periodo della "crisi Matteotti" organizza comizi antisocialisti e accetta "la sollecitazione di Crispo Moncada a fungere da agente provocatore".
E' tra i promotori di "La Sintesi" rivista il cui titolo prende spunto da un discorso di Mussolini (del 7 giugno 1924) nel quale il Duce aveva invitato a "dare una nuova sintesi di vita politica" alle due grandi esperienze antagoniste del dopoguerra: quella russa e quella italiana. nello stesso periodo collabora al quotidiano romano "L'Epoca" diretto da Bottai.
Nel 1925 promuove la pubblicazione del periodico "Roma-Mosca". Di lui parla anche Anna Kuliscioff in una sua lettera a Turati del 21 agosto 1925 : "Ieri poi D'Aragona fece una brevissima dichiarazione, non smentita, affermando che non fu intervistato, ma ebbe una conversazione con Vittorio Ambrosini, quel tale della nuova rivista "Roma-Mosca", ora agente della repubblica dei Sovieti, come era nel '19-20 agente provocatore dell'arditismo rosso.".
Sempre Nel 1925, riassumendo la sua posizione politica scriveva: "politicamente mi trovo tra Lenin e Mussolini, cioè per l'uno e per l'altro per quel tanto di rivoluzionario che entrambi hanno, e ritengo che dai due debba venire la sintesi di nuova vita politica e sociale".
Nel 1926 "La sintesi" si scioglie; Ambrosini si fa promotore di un "Movimento Impero Lavoro" e pubblica la rivista "Lo Stato Sindacale".
Funge da intermediario tra l'ambasciata sovietica e alcuni circoli fascisti; propiziò l'intervista che Rossoni e il segretario del P.N.F. Augusto Turati concessero al rappresentante dell'agenzia Tass Vladimir Kournosov. (Balza evidente la somiglianza del tragitto politico di Ambrosini con quello di Bombacci: dal confusionismo barricadero nel PSI e nel PCd'I al servizio della politica estera dello stato russo per finire poi tra le braccia del fascismo).
Nel marzo del 1926 lo troviamo a Parigi. Qui si fa promotore con Alfredo Gerevini (mercenario dei servizi riservati italiani) del gruppo sindacalista rivoluzionario "Filippo Corridoni".
Si lega quindi con l'ex-deputato massimalista Giuseppe Mingrino famoso nel 1921 alla guida degli Arditi del Popolo e passato ora al fascismo. Entrambi agiscono come spie fasciste nell'ambiente antifascista.
Come scrive Mauro Canali : "Facendo affidamento sui loro antichi meriti di dirigenti degli "Arditi del Popolo" essi contavano di causare, con ben indirizzate provocazioni verso i gruppi dirigenti del fuoruscitismo, disorientamento nelle masse operaie emigrate. Nel marzo del 1926, Mingrino aveva aggredito Bazzi e Rossi [entrambi fuorusciti fascisti] in Place de la Madeleine per indurre la polizia francese a dichiararli indesiderabili ed emanare il relativo foglio di via. L'aggressione e l'uscita d'un foglietto "Lo stato sindacale", che rispolverava strumentalmente vecchi temi sindacalisti rivoluzionari corridoniani, furono le uniche maldestre iniziative condotte a termine dal gruppetto di provocatori." Interessante riportare Il "Memoriale di Vittorio Ambrosini al Direttore generale della PS del 4 settembre 1926 :
«Impostai l'azione Mingrino contro Rossi e Bazzi in modo che apparisse come una vendetta personale del Mingrino per l'affare della cocaina. feci infatti inventare al Mingrino la storia che il Rossi gli aveva messo la cocaina nella valigia: gli feci proclamare ciò in un comizio di profughi in modo che gli stessi operai si presentassero al Mingrino proponendogli di andare ad aggredire Rossi e socii e lo accompagnarono infatti nell'aggressione. Al momento dell'aggressione avevo poi preparato i miei uomini diretti dal Gerevini, i quali provvidero a tenere Rossi e Bazzi per le spalle quando avvenne il fatto e poi accompagnarono il Mingrino alla polizia, al "Corriere degli Italiani" e nelle redazioni dei giornali francesi confermando dappertutto la versione che Mingrino era stato provocato, che Rossi e Bazzi gli avevano offerto del denaro, ecc.. La massa dei fuorusciti accolse con soddisfazione l'azione Mingrino, che fu in un primo tempo applaudita da tutti i gruppi, meno che da quello di Donati "Corriere degli Italiani", gente più intelligente che aveva fiutato l'esistenza di qualche trucco.»
A Parigi Ambrosini cade poi però in disgrazia forse anche per un suo tentativo di avere il controllo del fascio parigino e, ritornato in Italia, alla fine del 1926, accusato di doppio gioco viene inviato al confino: sarà a Lampedusa, Lipari, Ustica e Ponza (in questa successione) fino al 1931. Negli anni successivi sarà un informatore della polizia; l'amicizia stretta con alcuni antifascisti al confino gli permetterà di inviare su di loro puntuali rapporti ai "superiori".
vedere rapporti tra Ambrosini e C. Silvestri
non so più dove ho tirato fuori questa notizia: si occupa attivamente del "caso Caldara" 1934
Nel 1936 è editore del periodico romano "Lo Stato Corporativo"
Nel 1940-41 si lega con il fascismo dissidente (di sinistra) di Felice Chilanti:
«Dopo la chiusura della sua rivista "Domani" Chilanti era diventato il riferimento di un piccolo gruppo di "superfascisti" e aveva, pare, stabilito contatti con altri gruppi simili quale quello attorno a Vittorio Ambrosini ea a "Lo Stato Corporativo".»
Sempre su questa questione c'è un'altra citazione:
«Sintomo rilevante di una insofferenza ormai diffusa anche negli elementi ultrafascisti, o che si dicevano tali, fu una denuncia fatta a Ciano subito dopo la metà di marzo (1942 n.m.) da un triestino studente all'Università di Roma, di nome Armando Stefani, secondo la quale, da parte di un gruppo di settanta giovani, lui compreso, era in preparazione un movimento rivoluzionario, inteso ad imporre al duce una politica nazionale-socialista, e ad eliminare gli elementi conservatori del partito; anzitutto Ciano, che si voleva morto. (...) Quei giovani cospiratori facevano capo a Felice Chilanti per le ideologie sociali che li rendevano ostili ai gerarchi conservatori e imborghesiti, e all'avvocato Vittorio Ambrosini.»
1944: Vittorio Ambrosini e il PSRI (vedi anche tuo libro pag.127), suoi rapporti con Rocco D'Ambra
Nel primo semestre del 1946 tenta di scongiurare, muovendosi con buon anticipo, la sua inclusione nelle liste dei confidenti OVRA.
Il 2 marzo 1946 si fa rilasciare dall'ex-capo della polizia Senise un attestato di benemerenza (l'elenco delle spie nella Gazzatta Ufficiale compare quattro mesi dopo):
«Ambrosini non ha mai fatto parte dell'OVRA. Non escludo che l'Ambrosini che veniva spesso da me per raccomandarmi degli antifascisti, che egli riteneva ingiustamente perseguitati, abbia potuto darmi talvolta qualche notizia che mi interessava, ma questo non esula datutte le relazioni di amicizia e nulla ha a che vedere con una prestazione di servizio, alla quale Ambrosini è sempre stato estraneo.»
Nell'estate del 1946 costituisce poi un organismo di difesa legale dei cittadini indicati come confidenti
Di lì a poco fonda il periodico romano "Il tribuno socialista" e si fa promotore del "Gruppo politico indipendente Italiani di Sicilia di Africa e del Mediterraneo" candidandosi all'Assemblea Costituente (ma senza risultato)
Lo ritroviamo ancora nel 1947 avvocato difensore di Amleto Poveromo al "processo Matteotti" e condannato sempre nello stesso anno per apologia di fascismo.
Nelle elezioni del 1958 si candida con il MSI ed è presidente della "Federazione nazionale Arditi d'Italia".
Rompe poi con il MSI e si lega alla destra democristiana.
Del suo frenetico e patologico agitarsi troviamo traccia ancora da un appunto riportato da Ernesto Rossi:
«Dalla Guida Monaci 1956 risulta che Vittorio Ambrosini è oggi presidente dell'Ente Nazionale Difesa Civile d'Italia, presidente dell'Ente Italiano Assistenza per il Ceto Medio, Proletariato intellettuale e Sottoproletariato, direttore del periodico "La difesa dell'Italia e degli Italiani".»
Altra nota curiosa si trova in una lettera di Indro Montanelli indirizzata da Parigi il 25 gennaio 1956 a Leo Longanesi in cui è scritto:
«Caro Longanesi, in seguito a un mio articolo sul pugiadismo, comparso sul Corriere della Sera del 25 u.s., l'avvocato Ambrosini, capo di una "Lega pugiadista italiana" mi ha mandatoa mezzo del conte Ottavio Martinis Marchi e del colonnello Aurelio Favia un cartello di sfida a duello cui ho risposto con l'acclusa lettera che La prego di pubblicare.
Gentili signori,
Il Corriere della Sera mi trasmette per telefono il cartello di sfida indirizzatomi dall'avvocato Ambrosini. L'ho trasmesso per competenza al Direttore di un manicomio perchè decida sul caso.»
Negli anni 60 promuove il bollettino "La Difesa" teorizzando l'incontro tra fascismo rivoluzionario e socialismo nazionale
Negli anni seguenti sarà sempre legato agli ambienti neofascisti.
Nel 1968 frequenta Borghese, De Lorenzo, Rauti.
Sulla sua morte abbastanza misteriosa
Da: Alessandro Silj, Malpaese. Criminalità, corruzione e politica nell'Italia della prima repubblica, Donzelli, 1994, pag. 127-128
(si parla di morti misteriose) "Un'altra è quella dell'avvocato Vittorio Ambrosini di Milano, amico di Almirante e di altri personaggi della destra, ma anche dell'allora ministro dell'Interno Franco Restivo e del deputato comunista Achille Stuani. Proprio a questi ultimi Ambrosini scrive il 14 dicembre dicendo di essere a conoscenza di alcuni retroscena della strage di Piazza Fontana: Fa il nome di Ordine nuovo, dice che gli attentatori vanno ricercati nel "gruppo di dissidenti usciti dal Msi che andarono in licenza premio in Grecia". Nel luglio 1970, interrogato dai magistrati, ritratta tutto. Ma un anno dopo, incontrandosi con Stuani, conferma di essere al corrente di fatti gravi. Nel settembre 1971 Ambrosini viene ricoverato in ospedale, per sospetto infarto. Il 21 ottobre muore suicida, lanciandosi dal settimo piano della clinica, dopo aver lasciato un biglietto di addio. Ma le circostanze della sua morte non sono chiare e molti dubitano che di vero suicidio si tratti."
Da: La strage di stato, pag.37
"Il comportamento di Ambrosini, il giorno della morte, non sembra affatto il comportamento di qualcuno che ha deciso di morire. E' caduto dal settimo piano, e non dal sesto, dove era ricoverato. Il cadavere non presenta frattura agli arti, come se sia caduto in stato di incoscienza (anche i suicidi tendono istintivamente a proteggere la testa con le braccia). Un infermiere che lavorava nel reparto dove era ricoverato Ambrosini, scompare subito dopo e la direzione dell'ospedale smentisce che una persona rispondente a quel nome e fisicamente assomigliante al presunto infermiere abbia mai lavorato in quel reparto."
Da:Fabrizio Calvi-Frederic Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, Mondadori, 1977, pag. 92-93
"Sempre secondo Izzo, "Jean" sarebbe coinvolto in uno degli episodi più oscuri della strage di piazza Fontana: "Dandini mi fece accenno che questo francese era una persona di notevoli capacità operative, in quanto aveva eliminato un testimone della strage di piazza Fontana facendo passare il fatto per suicidio. Il testimone era stato gettato da una finestra o qualcosa di simile". Il testimone in questione era un avvocato di sessantotto anni (è un errore, gli anni sono settantotto, nota mia), Vittorio Ambrosini, gettato nell'ottobre 1971 da una finestra del settimo piano della clinica in cui era ricoverato dopo aver dichiarato di conoscere gli autori dell'attentato di piazza Fontana."