Capitalismo putrefatto

La malattia senile del capitalismo comporta, come già si poteva constatare all'epoca di Marx, il trasformarsi in rendita di una quota crescente del valore prodotto. Ma, mentre nel passato le oscillazioni dovute alle crisi cicliche permettevano la ripresa dell'accumulazione, sia garantendo investimenti alternativi (finanza, immobili, mercato estero), sia distruggendo buona parte del capitale fittizio, oggi le cose non stanno più così. Infatti tutti gli espedienti per salvare in extremis il Capitale, dalle guerre mondiali alle politiche di intervento statale, dall'aumento della produttività alla creazione di moneta nell'illusione di stimolare consumi, sono venuti meno, come se il sistema capitalistico fosse drogato. Avendo bisogno di dosi crescenti, finisce per assuefarsi e non rispondere più ai vari provvedimenti, nemmeno all'immissione sul mercato di decine di migliaia di miliardi di dollari. In tale contesto è persino venuto meno il classico ricorso al "mattone", cioè all'approdo dei capitali in esubero al porto finora sicuro del mercato immobiliare. Proprio dal mercato immobiliare infatti è partita l'ultima crisi che dal 2007-8 sta mettendo in ginocchio le economie dei maggiori paesi del mondo. E, mentre non troppi anni fa The Economist, la rivista del capitale anglosassone, poteva intitolare un articolo "Le case che hanno salvato il mondo", oggi la stessa rivista sottolinea il fallimento globale delle politiche di salvataggio, sia quelle lasciate alla "mano nascosta" del Capitale, sia, soprattutto (per questi smithiani fuori tempo) quelle stataliste. Quello immobiliare è il più vasto comparto economico del mondo, che "vale" solo negli Stati Uniti 26.000 miliardi di dollari, molto di più di quanto è valutata l'attuale capitalizzazione di borsa a Wall Street. Invece di rappresentare un rifugio per i capitali, si è trasformato in una trappola, la maggiore concentrazione del rischio finanziario accumulato sul pianeta. Ora, scrive la rivista, sembra che questo mostro sia stato domato, ma non è così: in barba al fatto che è stato nazionalizzato, non produce profitto o rendita, rimane sottocapitalizzato nonostante le iniezioni di denaro tramite le banche, è la più pericolosa mina in grado di far saltare la maggiore economia del mondo.

(Traccia svolta durante il 63° incontro redazionale)

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

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Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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