Domanda e risposta sulla questione nazionale

A Torino, riceve anche Padova-Venezia

Ho un dubbio riguardo al problema della periodizzazione (che sappiamo essere una convenzione) che i comunisti hanno utilizzato per distinguere le diverse epoche geostoriche e le conseguenti implicazioni tattiche per i rivoluzionari nella cosiddetta Questione nazionale.

Mi risulta che in diversi nostri testi ( anche se in questo momento non saprei dire quali) si utilizza la data del 1975 come spartiacque geostorico che chiude il periodo capitalistico di dominazione coloniale nei popoli afro-asiatici. Da quel momento non c’è paese che non abbia compiuto ( o a cui non sia stata imposta dall’alto) una rivoluzione nazionale borghese. Dunque sino a quella data si è considerata teoricamente aperta la possibilità di un "alleanza" ( anche se a rigore sarebbe un combattere "a fianco") del proletariato internazionale con le forze rivoluzionarie borghesi antifeudali che sono anche antimperialiste per ragioni geostoriche. Questa storia dell’ "alleanza" proletariato-borghesia rivoluzionaria contro i residui feudali è un po’ strana, se non contraddittoria, e comunque risente pesantemente dell’influenza che ha avuto la tattica del fronte unico dell’Internazionale a partire dal 1921, tattica criticata e combattuta dalla Sinistra Comunista "italiana" per l’Occidente capitalisticamente sviluppato.

Venezia mi ha fatto notare che dai suoi appunti risulta un errore che ho fatto nella riunione di Piombino quando ho detto che con la sconfitta del 1927 di Shangai e Canton non si poneva più la questione delle alleanze proletariato- borghesia nelle rivoluzioni borghesi. È chiaro che alla data del 1927 di sicuro dovevano ancora formarsi veri e propri Stati nazionali e quindi l’epoca delle rivoluzioni democratiche non poteva certo dirsi conclusa.

Il punto: ho trovato nostri testi dove si dice chiaramente che con la fine della seconda guerra mondiale si chiude il periodo delle rivoluzioni democratiche nelle aree geostoriche fondamentali, ed allora il 1975 di Angola e Mozambico? Non erano fondamentali?

Cito dai testi: "Oggi, questa fase ( di rivoluzione democratica nazionale NdR) si è egualmente conclusa per tutta l'area afro-asiatica. Dovunque si sono costituiti, alla fine della II guerra mondiale, degli Stati nazionali più o meno "indipendenti", più o meno "popolari", che promuovono in modo più o meno "radicale" l'accumulazione del capitale. Per questo solo fatto, l'"estremismo" cinese non può più presentarsi come la teoria di un movimento nazionale rivoluzionario, ma come un'ideologia ufficiale di Stato borghese costituito, come un programma di collaborazione di classe con tutto ciò che questo comporta in frasi "socialiste". " ( Tesi sulla questione cinese, Da "Il Programma Comunista" nn. 23 del 1964 e 2 del 1965 )

Ancor più rilevante è il passaggio che troviamo in "Natura, funzione e tattica del partito rivoluzionario della classe operaia" del 1947 dove il Partito Comunista Internazionale, quando viene ricostituito nel secondo dopoguerra, sostiene che è di secondaria importanza per la rivoluzione comunista mondiale ogni situazione legata a questioni nazionali eventualmente ancora aperte. Così il testo: " Per conseguenza, la tattica delle alleanze insurrezionali contro i vecchi regimi storicamente si chiude col grande fatto della Rivoluzione in Russia, che eliminò l'ultimo imponente apparato statale militare di carattere non capitalistico. Dopo tale fase, la possibilità anche teorica della tattica dei blocchi deve considerarsi formalmente e centralmente denunziata dal movimento internazionale rivoluzionario. " Che significato ha questa espressione? A quali aree geostoriche si riferisce?

Tra gli insegnamenti della rivoluzione d’ottobre si annovera il fondamentale, contenuto nelle due Tattiche di Lenin dove per doppia rivoluzione si intende che il partito comunista nei paesi arretrati, deve farsi carico anche di compiti borghesi che la borghesia locale inconseguente ed in combutta con l’imperialismo non sarebbe in grado di adempiere. La III Internazionale allora aveva prospettato le diverse possibilità di sviluppo della rivoluzione mondiale:

- vittoria simultanea del proletariato in Occidente e in Oriente;

- vittoria del proletariato nelle metropoli e indipendenza delle colonie sotto un governo della borghesia nazionale;

- vittoria del proletariato nelle colonie e ritardo della rivoluzione comunista in Europa.

Ma non considerò la vittoria di un blocco di classi come una prospettiva rivoluzionaria duratura e alla quale il proletariato dei paesi arretrati potesse legare il suo destino. In tutti i casi le tesi del II Congresso insistevano sulla necessita per il proletariato di separarsi dalla borghesia "nazionale". Così le tesi di Baku del 1920 "È necessario combattere energicamente i tentativi fatti da movimenti emancipatori che non sono in realtà né comunisti né rivoluzionari, di inalberare i colori comunisti; l'Internazionale comunista non deve sostenere i movimenti rivoluzionari nelle colonie e nei paesi arretrati che alla condizione che gli elementi dei più puri partiti comunisti - e di fatto comunisti - siano raggruppati ed istruiti ai loro compiti particolari, cioè alla loro missione di combattere il movimento borghese e democratico. L'I.C. deve entrare in rapporti temporanei e formare anche unioni con i movimenti rivoluzionari nelle colonie e i paesi arretrati senza tuttavia mai fondersi con essi, e conservando sempre il carattere indipendente del movimento proletario anche nella sua forma embrionale. "

E allora, Prima domanda: Che significato ha la data del 1975 da un punto di vista della tattica dei comunisti nelle aree arretrate? Non è che il problema delle "alleanze" viene liquidato da prima? Nel 1917 ( applicazione delle Due tattiche di Lenin) o alla fine della 2° guerra mondiale dove l’imperialismo anticoloniale degli Stati Uniti permette che tutti gli Stati geostoricamente rilevanti compiano la loro rivoluzione borghese?

Seconda domanda: Dovrebbe essere chiaro per tutti che la questione nazionale ( in senso stretto) e coloniale ( in tutti i sensi) è chiusa per due semplici ragioni: Primo, non esistono Stati che non abbiano compiuto la propria rivoluzione borghese nazionale ( dall’alto o dal basso poco importa) Gli ultimi sono stati proprio Angola e Mozambico nel 1975….ci risiamo… Secondo, non ci sono più le colonie. Però…c’è un però:

Vi sono aree nel mondo dove vivono miliardi di uomini e nelle quali la borghesia inconseguente di quest'ultima metà di secolo non ha portato a termine i programmi che a rigor di storia sarebbero stati suoi peculiari, come le riforme agrarie contro le società contadine arcaiche, la modernizzazione e la neutralizzazione delle forze del passato come la religione. Vi sono dunque immense aree del mondo in cui la futura rivoluzione comunista dovrà farsi carico di problemi non risolti neppure dal punto di vista borghese. E questa è una tragedia la cui sottovalutazione porta dritto dritto nelle braccia del velleitarismo parolaio, che è come dire nelle braccia di una delle forme di opportunismo ( dalla Prefazione a Fattori di Razza e Nazione nella teoria marxista. Ed. Quinterniane).

Ma allora la riflessione conseguente è che anche terminato il ciclo rivoluzionario nazionale e coloniale, resta teoricamente in piedi la prospettiva di rivoluzioni doppie nell'accezione che fu già di Lenin nell'articolo "Due tattiche" ben prima della rivoluzione russa: la rivoluzione proletaria nelle aree arretrate non si allea né cammina al fianco di altre classi, che vengono anzi ferocemente combattute e sconfitte, ma si dovrà comunque fare carico di compiti che verranno risolti direttamente dalle forze rivoluzionarie comuniste. Possiamo dire di più rispetto a quali sono i problemi non risolti neppure dal punto di vista borghese?...e a come andrebbero risolti?

Sono certo che la prima domanda si definirà con poche chiarificazioni ( che però mi necessitano per il lavoro) mentre per quanto riguarda la seconda mi sembra sia fondamentale approfondire un po’ anche perché la risposta sarà anche il perno centrale della parte Domani di un eventuale lavoro sulla Questione nazionale ( a cui dovremmo trovare un altro nome…). I riferimenti sul Domani per il momento li ho trovati nel nostro quaderno Quale rivoluzione in Iran?, nei nostri lavori sulla Palestina che partono dalla serie interrotta del 1977 ai recenti articoli sulla rivista. E poi? Altri riferimenti bibliografici? Dove trovo qualcosa sull’esperienza dei Soviet in Iran del 1920-22? Qualche sito web, testi o altro?

Ho ripreso ( in attesa di traslocare) a buttare giù una traccia sulla parte dell’ Oggi. Necessariamente sto utilizzando un metodo storico partendo da: 1) concetto di Nazione nel capitalismo ( differenza con lo stesso concetto di Nazione nelle epoche precapitalistiche) 2) rivoluzioni borghesi nazionali nell’Europa centrale 1789-1871 e comportamento del proletariato non indifferente ( anzi di partecipazione attiva), rifiuto degli ideali patriottici ma lotta "a fianco" 3) contraddizione tra la base materiale internazionalista del capitalismo, la grande industria, e base nazionale della borghesia locale che è liberista, rivoluzionaria e internazionalista all’esterno ( verso altri stati borghesi e aree precapitalistiche) e protezionista e conservatrice in difesa delle proprie frontiere nazionali. 4) 1871 Comune di Parigi: spartiacque tra la fase rivoluzionaria della borghesia e fase conservatrice. Da questo momento nell’Europa centrale la divisione in classi ha un peso ben più determinante di ogni frontiera nazionale; la dimostrazione è stata data dagli eserciti confederati di Francia e Prussia che per difendere i loro comuni privilegi di classe mettono da parte ogni particolarismo e specificità nazionale propria dello Stato a cui appartengono.

Qui per ora mi sono fermato. L’Oggi dovrà procedere oltre riferendosi al periodo rivoluzionario anticoloniale sino alla fine di quest’ultimo (cioè Oggi vero e proprio). Sto sintetizzando moltissimo per evitare di ripetere troppo cose già dette in altri testi della nostra corrente sul passato, inevitabilmente però l’Oggi comprenderà molto Ieri…..Ho provato ad iniziare ad impostare l’argomento a partire dall’ epoca attuale caratterizzata da rapporti imperialistici di dominio economico-militare e da questioni nazionali concluse ma mi è sembrato di dare troppe cose per scontato e di fare pure confusione. Allora ho cancellato tutto e ripreso……secondo lo schema che ti ho elencato.

Per il momento non mi sto curando nemmeno della forma di quel poco che ho scritto…

Per ora questo è tutto, ci faremo sapere….

Un abbraccio a tutti voi anche da parte di tutti.

Cagliari.

* * *

A Cagliari, Venezia e Padova..

La cosiddetta questione nazionale è uno di quegli argomenti che sembrano fatti apposta per far discutere: sguscia da tutte le parti a seconda di come lo si affronta. Per evitare questo spiacevole fenomeno occorre forse ricorrere a un metodo un po' brutale ma efficace: lo schema.

La periodizzazione non è assoluta ma per aree geostoriche, vale a dire che varia a seconda del tempo e dello spazio. Quindi le date e i paesi hanno senso relativo (in relazione con... in funzione di...).

Assioma principale: per noi comunisti la questione nazionale non è fra gli obiettivi programmatici, dato che "i proletari non hanno patria".

Ma:

1) Durante la formazione degli Stati nazionali vi è lotta di tutte le classi per lo stesso obiettivo (lotta antifeudale, di unificazione nazionale o anticoloniale; altri tipi di lotta comune non sono ammessi, per esempio la cosiddetta lotta anti-imperialista per ragioni di libertà economica).

2) Il ciclo suddetto è concluso: a) in Occidente con le due ultime rivoluzioni nazionali d'Italia e di Germania, 1870; b) in Russia e Cina con le rivoluzioni borghesi rispettivamente del 1917 (febbraio) e del 1911 (Sun Yat Sen); c) in India con la concessione dell'indipendenza del 1947; d) in Indocina con la sconfitta dei francesi a Dien Bien Phu nel 1954; e) nel resto dell'Asia e altrove con il ritiro delle maggiori potenze coloniali; f) in Africa con l'indipendenza di Angola e Mozambico dal Portogallo nel 1975. La guerra russo-cinese-americana del Vietnam è un ibrido, cioè una "proxi war", dove l'aspetto superficialmente anticolonialista è dovuto solo al cambio della guardia tra francesi (colonialisti) e americani (dominatori economico-militari).

2) Il dominio economico-militare americano è ambiguo: da una parte si configura come una specie di colonialismo di tipo nuovo (imperialismo delle portaerei); dall'altra è semplicemente un rapporto economico come quello che al tempo di Lenin esisteva fra Inghilterra e Argentina (Lenin escludeva che la subordinazione economica potesse essere assimilata al colonialismo). Contro questo tipo di dominio è esclusa la tattica della lotta di tutte le classi per l'obiettivo comune della "liberazione" nazionale; la soluzione è solo nell'ambito della rivoluzione proletaria (qui e in seguito utilizziamo il termine "rivoluzione" nell'accezione di "rottura storica").

3) Il tema trattato ne "Le due tattiche" di Lenin riguarda la rivoluzione doppia in Russia, cioè la necessità di portare a compimento la rivoluzione borghese per mezzo della rivoluzione proletaria e del partito comunista; la conseguenza è: se all'epoca la soluzione era già quella, allora oggi, terminato il ciclo delle rivoluzioni borghesi, sarà tanto più necessario eliminare direttamente ogni residuo del passato dalla rivoluzione proletaria e dal partito comunista (la borghesia è ormai inconseguente ovunque).

4) Dunque l'eliminazione di residui del passato da parte della rivoluzione proletaria non è in alcun modo assimilabile ad una "rivoluzione doppia", dato che ormai il modo di produzione dominante è il capitalismo e che gli Stati nazionali sono ovunque già formati.

5) Fra i compiti della società di transizione vi sarà quello di ridisegnare i luoghi ove risiedono comunità differenti che la storia ha scagliato le une contro le altre, in modo da eliminare il problema "nazionale" o etnico ecc. finché esso non sarà più, appunto, un problema per le popolazioni interessate. Questo compito non sarà affidato a strumenti interclassisti ma ai centri organizzativi della classe vittoriosa e del suo partito. Solo in questa accezione è ammissibile la vecchia, orribile parola d'ordine "riconoscimento del diritto di autodeterminazione" (e comunque sarebbe meglio trovare un'altra proposizione più adatta).

6) Oltre alla questione "nazionale" esiste anche il problema dell'arretratezza economica e sovrastrutturale, come la sopravvivenza di un ampio contadiname, di caste, di religioni ancora radicate nella società e retaggio di forme sociali arcaiche, sicuramente ostili al cambiamento. Queste sopravvivenze del passato non possono oggi essere appoggiate dal proletariato e domani saranno certamente contro la società nuova, utili partigianerie della classe borghese in cerca di rivincita.

7) Tuttavia, dialetticamente, le immense masse di miserabili prodotte dal capitalismo odierno più di quanto facesse quello di un tempo, possono anche diventare, qualora si metta in moto il processo rivoluzionario di rottura storica, "uno dei proiettili" che la rivoluzione scaglia contro lo stato di cose vigente (in questo caso queste masse dimenticano i propri fini limitati e prendono l'impronta dal movimento politico proletario e comunista).

8) Da quando sono conclusi i cicli nazionale e coloniale, ogni guerra, fosse pur mascherata con intenti "rivoluzionari nazionali", è guerra fra borghesie o per borghesie (partigianerie), perciò è da trattare come ogni altra guerra fra nazioni, cioè in modo assolutamente disfattista.

Questo schema è ovviamente troppo scarno per essere esaustivo, ma speriamo che sia utile per non perdersi nei mille se... allora... e nelle particolarità di ogni singolo aspetto geostorico (palestinesi, curdi, ceceni, tamil o... canadesi francofoni). Uno degli aspetti più raccapriccianti della situazione attuale è il formarsi di tesi (e movimenti) a favore dei residui delle passate forme sociali solo in reazione all'atteggiamento dell'imperialismo americano. Di fronte a questa immane stupidità dobbiamo ricordare semplicemente il "Manifesto": "In una parola, i comunisti sostengono ovunque tutti i movimenti rivoluzionari contro le situazioni sociali e politiche attuali".

Se siamo contro l'imperialismo americano, siamo due volte contro chi lo combatte provenendo dal passato.

Non sarebbe male riuscire a precisare uno schema del genere - senza farlo diventare troppo lungo e dettagliato - per farlo circolare tra i compagni con le e-mail che l'hanno preceduto.

Un caro saluto.

Torino.

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