Per la borghesia italiana si tratta quindi di continuare con il tipo di impostazione inaugurato con la fase della concertazione dei primi anni Novanta, tentando semmai di "ammodernare" il modello contrattuale secondo le mutate esigenze dell'economia nazionale, che richiedono una sempre maggiore e rinnovata partecipazione del proletariato e delle mezze classi rovinate ai traballanti destini del cosiddetto sistema-paese.
A tal proposito è interessante notare il tentativo di aprire alla concertazione nuove categorie prima escluse: associazioni rappresentative della piccola e piccolissima impresa artigianale e commerciale, organizzazioni della cooperazione e del no profit. Il tutto, all'insegna di un nuovo patto tra produttori, riedizione aggiornata del vecchio interclassismo di stampo fascista.
Da anni, basandoci sulle tesi classiche della Sinistra, cerchiamo di vagliare gli avvenimenti con il metodo appena delineato. Gli avvenimenti "italiani" sono collegati a quelli internazionali con un doppio nodo: da una parte ne sono il riflesso, dall'altra, per la particolare posizione geostorica della Penisola, ne rappresentano l'anticipata soluzione.
Quindi, l'analisi del Protocollo del 93' abbinata a quella del recente Pacchetto sul welfare, richiede di impostare il lavoro in termini ben più vasti di una semplice analisi di carattere sindacale.
Negavamo e neghiamo che il capitalismo possa trovare soluzioni ai suoi problemi intrinseci, come neghiamo che vi possa essere una "fase" diversa dall'attuale, o superiore, nella forma capitalistica di dominio: il fascismo, secondo la Sinistra, è il "realizzatore dialettico delle vecchie istanze riformiste", ha perso la guerra militare, ma ha vinto quella per l'assetto politico del mondo.
E questo ci basta per stabilire che il controllo dei fatti economici deve essere sempre più concentrato nei grandi stati capitalistici moderni, conseguentemente tolto dalle mani dei singoli e dei gruppi, dei piccoli stati e delle comunità isolate o più o meno federate.
Il capitalismo tenta di superare, anche se non lo può, le sue contraddizioni nei modi che la maturità storica e lo stadio dei rapporti di classe permettono, ed è questo tentativo che provoca mutamenti politici nella sovrastruttura (con relative leggi, protocolli e quant'altro).
Dato che il processo di crescita della forza produttiva della società è irreversibile e che il mondo intero procede verso un'integrazione capitalistica sempre più spinta, le vecchie forme in cui si presentano le crisi e, conseguentemente, i sistemi escogitati un tempo per superarle, non tornano più, vale a dire che si restringono sempre più i margini di manovra per dominare le tendenze storiche alla crisi cronica.
Forme accentrate degli esecutivi politici, corporativismo sindacale, pratiche economiche statali, concorrenza spietata sui mercati esteri, protezionismo più o meno palese, adeguamento degli schieramenti imperialistici usciti dalla guerra agli interessi costituiti durante la pace per una nuova guerra: saranno questi gli elementi ormai irrinunciabili della politica borghese di oggi e di domani.
Protocollo del 1993 come risposta alla crisi
Economia, democrazia e fascismo sono argomenti collegati
Se la democrazia rappresenta il migliore involucro per lo sfruttamento, in quanto mistifica un dato reale e cioè quello della dittatura di classe, rendendolo meno evidente, essa è anche un lusso che non sempre la borghesia può permettersi. Essendo assolutamente inutile e ininfluente sul comportamento reale del sistema, la democrazia viene mantenuta solo in quanto mistificazione, ma siccome essa costa in tutti i sensi, viene mantenuta più facilmente quando le cose vanno bene. Quando la crisi elimina margini di manovra economici, anche dal punto di vista sociale gli effetti si fanno sentire e la democrazia ne risente.
In Italia e in genere nell'Occidente capitalistico le operazioni che tendono a rafforzare gli esecutivi di fronte al parlamento sono velate da esigenze di facciata.
Ecco una delle possibili spiegazione dell'emergere della fase "giustizialista" denominata Mani Pulite.
Amato, quando era capo del governo aveva chiesto senza tanti complimenti poteri speciali per tre anni in campo economico e non aveva ricevuto troppa opposizione. Il progetto fu bloccato dal governatore della Banca Centrale (Ciampi), con la motivazione della non sostenibilità di fronte al Paese.
Ma Ciampi è divenuto capo del governo su nomina del capo dello Stato. Egli si è insediato saltando per la prima volta la consultazione dei rappresentanti del popolo, invocando, ancora per la prima volta dalla guerra, l'articolo della Costituzione che gli permette di esautorare il Parlamento nella nomina dei ministri.
Sfruttando la crisi di "legittimità" dello stesso Parlamento (in seguito a Tangentopoli), la borghesia ha imposto attraverso un esecutivo di "tecnici" il suo programma economico e, quando le forze sociali (sindacato in primis) hanno tentennato di fronte ad esso, le ha sedute d'imperio attorno a un tavolo obbligandole a firmare.
Da due anni era in corso la discussione tra Sindacati e Industria sul cosiddetto costo del lavoro.
Le "parti" non riuscivano a mettersi d'accordo. La prova generale del luglio 1992 non era andata bene per la CGIL: dopo aver firmato un protocollo d'intesa sulla riduzione del costo del lavoro e su di una serie d'interventi nell'economia, il segretario generale Trentin aveva dato le dimissioni per salvare la faccia di fronte agli iscritti inferociti. La "verifica" non era più pilotabile dai vertici come un tempo. Nel settembre successivo si riempirono le piazze e maturò spontaneamente una tensione mai vista contro i vertici sindacali. Non volarono soltanto le botte e i proverbiali bulloni: si consolidò la sfiducia cui seguì un'ondata di disdette che provocò il tracollo amministrativo delle organizzazioni sindacali.
Ci aspettavamo dunque una politica esemplare a partire dal modo in cui sarebbero state poste le questioni del rilancio dell'economia in rapporto al controllo sociale. E siccome siamo nel paese in cui il capitalismo è nato e ha fatto tutti i suoi esperimenti sociali fino all'attuale fascismo, facemmo un'analisi veloce di alcuni fenomeni già in atto, collegandoli sia fra loro che con la costante del fascismo: il controllo centrale dell'economia, della forza lavoro e delle sottoclassi sociali rovinate dalla crisi.
Il protocollo d'intesa tra governo, sindacati e imprenditori su politica dei redditi, politiche del lavoro, occupazione, inaugura la fase della cosiddetta concertazione.
Più che un documento sindacale si trattò di un vero e proprio documento politico…
Anatomia del Protocollo del 1993
Politica dei redditi:
La politica dei redditi è un piano che prevede la concertazione tra imprenditori e sindacati ed è legato a una politica di accrescimento dei salari sulla base dell’aumento della produzione e degli utili d’impresa. Questo elemento viene introdotto da un accordo confederale siglato il 23 luglio 1993 da CGIL, CISL, UIL, Confindustria e Governo.
Obbiettivi del protocollo:
- Che il costo del lavoro non determini un aumento della moneta circolante
- Che il costo del lavoro non cresca più della produttività e della ricchezza nazionale
Si doveva passare all'Euro è il tempo delle svalutazioni competitive della lira doveva necessariamente finire.
Bisognava voltare pagina: diminuire il debito pubblico, cambiare assetti contrattuali e anche i rapporti politici e sindacali.
Assetti contrattuali:
1) Contrattazione nazionale: da triennale la scadenza diventa quadriennale
Ma già prima tra la disdetta, le trattative e gli scioperi inconcludenti diluiti nel tempo, si perdeva comunque un anno in media se non di più.
2) Contrattazione aziendale
Verrà praticamente stabilita in sede di contratto nazionale e dovrà tener conto delle esigenze particolari delle singole aziende: ma già prima questo avveniva in base alla responsabilità che i vertici sindacali e la gerarchia verso il basso hanno sempre manifestato nei confronti delle realtà produttive.
Abrogazione dell'indennità di contingenza (scala mobile)
Il 14 febbraio 1984un decreto del Governo Craxi taglia 4 punti percentuale della Scala Mobile, convertendo un accordo delle associazioni imprenditoriali con Cisl e Uil.
Con il termine scala mobile era chiamato fino agli anni Novanta il sistema di aggiornamento automatico della retribuzione da lavoro dipendente rispetto all'aumento del costo della vita (aggiornamenti ogni tre mesi calcolati seguendo l'andamento variabile dei prezzi di particolari beni di consumo, generalmente di larga diffusione, costituenti il cosiddetto paniere).
Sparisce l'indennità di contingenza, sostituita da una verifica del potere d'acquisto del salario ogni due anni e da un meccanismo automatico che fa recuperare fino al 50% in caso di non contrattazione. Si tratta di una subordinazione dei salari a dei parametri economici fittizi stabiliti a tavolino, come i tetti programmati dell'inflazione, quindi di una drastica riduzione del "costo del lavoro".
Introduzione di forme di flessibilità:
Possiamo affermare che gli interventi legislativi del '93 sono stati finalizzati sia alla maggiore flessibilità della forza lavoro, con il moltiplicarsi dei contratti "atipici" e delle possibilità di utilizzo dei contratti a tempo determinato, sia alla limitazione dell'estensione dei contratti nazionali di lavoro attraverso le deroghe introdotte con i cosiddetti "contratti d'area e d'emersione".
- Precariato in ingresso (Estensione Apprendistato e Formazione lavoro)
- Precariato Strutturale (Contratti a Tempo Determinato e Stagionale)
- Part Time Strutturale (soprattutto nella PA e pensato per le Donne)
- Contratti d’Area e Patti territoriali
Costanti della sovrastruttura
Le nostre costanti sono dunque date dalle esigenze di valorizzazione del capitale. Adottando il metodo scientifico esse sono poche e ben individuabili.
Ovviamente, parlando degli effetti della legge del valore sulla sovrastruttura politica e sociale, tralasciamo ogni approfondimento della legge stessa, che in fondo è l'unica costante vera.
Dobbiamo dare qui per scontato che la legge e le sue implicazioni siano conosciute. Intenderemo quindi per costante non la legge del valore ma l'elemento sovra-strutturale (derivato) comune a tutti i sistemi capitalistici nazionali nell'epoca del capitalismo maturo.
Le tre costanti dell'azione dello Stato in economia:
1) Controllo centralizzato dell'economia:
Non esiste più Stato al mondo che non controlli totalmente l'economia interna e non tuteli con vigore le proprie merci sul mercato estero.
2) Sostegno al sistema produttivo:
Esso si realizza sia attraverso politiche di investimenti diretti dello Stato sia attraverso l'indirizzo di risorse per gli investimenti privati. Ne deriva anche il sostegno dei consumi attraverso interventi che mirano ad evitare che salari troppo bassi o persone senza reddito facciano precipitare la domanda al di sotto di limiti coerenti con l'offerta.
3) Controllo degli effetti sociali dell'andamento economico:
Questo avviene sia in congiuntura favorevole che sfavorevole: quindi tendenza storica ad inglobare il sindacato nella logica della responsabilità verso l'economia nazionale.
Queste costanti si traducono poi a livello legislativo in vari espedienti per il sostegno dell'economia:
- Politiche dei redditi e dell'occupazione
Traduzione nel lessico marxista (critica dell'economia politica):
- Ogni politica dei redditi che la borghesia possa escogitare, per noi marxisti dovrà partire dai redditi e dalle loro fonti…
La borghesia non ha una teoria
Ma come fa la borghesia ad imbastire una legge sulla politica dei redditi e mettere in pratica gli intenti firmati con i sindacati se le fonti della ricchezza annualmente disponibile appartengono a sfere del tutto separate, diverse, senza la minima analogia? Siccome la situazione che si tenta di migliorare è già il risultato dell'agire di meccanismi non compresi la soluzione dei problemi sarà rappresentata del solito riequilibrio temporaneo, anarchico, spontaneo e catastrofico.
Un profitto, nota Marx, può venire dall'onorario di un notaio, la rendita della terra può avere attinenza con le carote e il lavoro può produrre musica.
Non sembra che si possano in quel modo individuare elementi quantitativi misurabili per varare una seria politica dei redditi e per contenere il costo del lavoro.
Senza le sue fonti, il reddito non esiste. Che cosa è il reddito? si chiede Marx. Siccome la Settima Sezione del Terzo libro è nelle ultime pagine di tutta l'opera sul Capitale, la risposta non è che un riassunto lapidario di quel che precede. La formula trinitaria del reddito è data da: capitale-profitto; terra-rendita; lavoro-salario
Ma sappiamo che l'unica fonte del reddito generale della società deriva dallo sfruttamento di una ben determinata classe.
La soluzione di Marx fu di confrontare tutto con un equivalente generale: il valore. Si fa scienza misurando, trovando delle leggi, degli invarianti validi per una determinata classe di problemi:
"Legge è l'espressione precisa di una certa relazione tra due serie di fatti materiali in particolare, che si vede costantemente verificarsi, e che come tale consente di calcolare rapporti sconosciuti […] . Teoria è faccenda generale, legge faccenda ben delimitata e particolare. La teoria è in genere qualitativa e stabilisce solo definizioni di certe entità o grandezze. La legge è quantitativa, e ne vuole raggiungere la misura."
(Dialogato con Stalin, Il programma comunista del1952)
La nostra tesi è: il maturare del capitalismo dà luogo a fenomeni irreversibili sulla base di un'unica legge, quella del valore. La nostra teoria prende vita dalla scoperta di questa legge:
Il valore si definisce con il tempo di lavoro medio socialmente necessario alla produzione di una certa quantità di merci, compresa la forza lavoro. Il processo di produzione capitalistico è nello stesso tempo trasferimento di valore e processo di valorizzazione.
La nostra legge si basa su relazioni misurabili tra oggetti apparentemente incommensurabili (rendita, interesse, ecc.)
Attraverso la misurazione di determinati fenomeni possiamo fare delle previsioni certe su di una determinata classe di problemi.
Il borghese invece si ferma al fatto di offrire denaro contro lavoro, di pagare un interesse nel caso di ricorso al credito, di acquistare sul mercato energia e materie prime, di pagare l'affitto o la terra su cui sorge la propria fabbrica, di licenziare se produce lo stesso con meno operai, di chiedere denaro allo Stato quando è in difficoltà, di chiedergli protezione contro la concorrenza straniera. Non gli viene neppure il dubbio che ognuna di queste operazioni, se isolata dalla dinamica complessiva del Capitale, mette in confronto degli incommensurabili.
Gli interventi che poi mette in campo lo Stato sono solo risposte immediate e devono essere riformati continuamente, vista la natura dinamica del capitalismo. La lotta di classe del proletariato è una delle variabili (la più esplosiva) che mostrano la contraddittorietà del capitalismo. Il capitalismo ha bisogno di "assetti contrattuali" definiti una volta per tutte, mentre si trova nella condizione reale di discuterli in continuazione.
Siccome gli elementi della produzione attraverso cui si forma il plusvalore non sono cose ma rapporti sociali, per ottenere risultati bisognerebbe muovere i soggetti di questi rapporti sociali, cioè le classi e i loro rappresentanti, con tutto ciò che ne può derivare.
Per non vaneggiare sul colore dei logaritmi
Applicando la teoria del valore, risulta evidente che l'arrabattarsi sul costo del lavoro e sulle categorie connesse è, come diceva Marx, un trastullarsi con il colore dei logaritmi, cioè applicare misure con metodi incompatibili agli "oggetti" da misurare, col risultato di non poter capire come sono fatti, a quali risultati porta la loro dinamica e, peggio che mai, guidarli verso il risultato voluto.
Proviamo quindi a vedere quattro possibili interventi che lo Stato italiano potrebbe attuare per uscire dalla crisi… osserviamo così, che se sono razionali nell'immediato, non lo sono affatto nel lungo termine. La legge del valore trova sempre il modo di vendicarsi:
1) Ammettiamo - come dice il Protocollo - di applicare la ricerca e le nuove tecnologie, perciò di introdurre nuove macchine, nuovi procedimenti e nuovi materiali. Ciò significa che aumenterà la produttività, vale a dire il prodotto pro capite, vale a dire il saggio di plusvalore o di sfruttamento. I disoccupati aumenteranno.
2) Ammettiamo che invece aumenti la produttività, ma che rimangano costanti gli occupati. Avremo più merci da vendere in una società che è rimasta la stessa, quindi bisognerà vendere all'estero, dove altri tenteranno di fare la stessa cosa, pena una crisi di sovrapproduzione.
3) Ammettiamo allora di abbassare i salari per ristabilire l'equilibrio tra capitale anticipato e plusvalore in modo da avere un normale saggio di profitto. Avremo sollevato un problema sociale con grave pericolo per il cosiddetto ordine pubblico e salterebbero gli accordi sindacali.
4) Ammettiamo infine che, keynesianamente, una coordinata politica dei tassi d'interesse, degli investimenti, del lavoro e della distribuzione del plusvalore verso la spesa pubblica, abbinata ad una coerente politica fiscale, riesca ad abbassare i salari reali ma ad aumentare il numero degli occupati in modo da abbassare il reddito medio. Avremmo ottenuto di agire sulla "propensione marginale al consumo", la quale ci dice che l'aumento di un reddito basso si traduce comunque in consumo, mentre l'aumento di un reddito alto si traduce tendenzialmente in tesaurizzazione, risparmio o speculazione.
Vedremo che l'ultima ipotesi è la più assurda di tutte nonostante l'apparente logica che esprime, perché nessuna forza al mondo potrà invertirne la dinamica di sviluppo delle forze produttive, ossia la parabola del plusvalore…
La parabola del plusvalore
Il capitalismo è giunto al punto in cui è attraverso il continuo aumento della forza produttiva sociale. In un primo tempo ciò si è accompagnato all'aumento assoluto del numero dei proletari, prima nei vecchi paesi industriali, poi in altri paesi. Sono aumentati i salari e sono aumentati i consumi mentre vecchie classi venivano espropriate e spinte nell'ambito del proletariato.
Questo è stato un processo storico e nessuna forza al mondo potrà invertirne la dinamica.
Ai due estremi della parabola del plusvalore abbiamo i due zeri del plusvalore: da una parte zero operai, dall'altra tutti gli operai producono solo quanto basta per riprodurre la forza lavoro. Mentre il primo estremo è ovvio, il secondo rappresenta la condizione limite di esistenza di qualsiasi società che produca solo tutto ciò che consuma. Nessuna società, tantomeno quelle divise in classi, anche precedenti il capitalismo, può reggersi senza la produzione di un surplus, quindi il percorso storico dei modi di produzione è verso l'altro zero teorico, tendenza dovuta al progresso tecnico che determina una minore proporzione del capitale salari rispetto al capitale totale anche se la massa salariale cresce.
Vista nella dinamica storica, la presunta possibilità di stimolare l'economia capitalistica dovrebbe inserirsi alla fine di un percorso del genere: nella fase ascendente del capitalismo, aumenta la produttività del lavoro, aumenta il numero dei salariati d'industria, aumenta la proporzione dei salari sul capitale totale; nella fase odierna, raggiunta la massima forza produttiva sociale, aumenta ancora la produttività del lavoro, aumenta il numero dei proletari, diminuisce quello dei proletari occupati, aumenta la sovrappopolazione relativa.
Dato che non esiste nessuna possibilità storica di far marciare indietro questa dinamica, bisognerà aumentare la scala della produzione cercando di equilibrare gli effetti sociali.
Nonostante tutto, stanno lavorando per noi!
L'aumento della scala della produzione, come si vede, non risolve il problema, perché sposta semplicemente in alto il livello delle contraddizioni del sistema, esattamente come previsto da Marx. Rimangono le misure per conservare gli equilibri sociali mentre scende l'occupazione e si tenta di esportare la massa della produzione.
Il Protocollo del 2007 non fa altro che assecondare questa tendenza proprio perché, paradossalmente, è stato concepito come intervento di riequilibrio economico. Si tratta di un micidiale doppio vincolo che evidenzia una volta di più, l'irrazionalità e l'immediatismo dell'economia politica…
Bisogna però ricordare i passaggi che collegano il protocollo del '93 al recente pacchetto sul welfare:
Referendum sulle pensioni del '95 indetto dai sindacati (Governo Dini): passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Il sistema retributivo di calcolo era legato alle retribuzioni degli ultimi anni di attività lavorativa (10 anni per i lavoratori dipendenti). Il sistema contributivo si basa invece su tutti i contributi versati durante l’intera vita assicurativa rivalutati in base all’andamento del PIL. E' facilmente comprensibile la riduzione cospicua delle pensioni che il nuovo sistema contributivo ha determinato.
L'intesa sulle pensioni del '97 (Governo Prodi): accelerava il percorso del '95 per mandare in pensione di anzianità gli italiani con meno di 35 anni di contributi e 57 anni di età. Nello stesso anno viene varato il cosiddetto pacchetto Treu: "Norme in materia di promozione dell'occupazione" (legge del 24 giugno 1997), fa da apripista alla futura Legge Biagi.
Il "Patto di Natale"del '98 (Governo D'Alema): L'accordo affidò alla concertazione il compito di individuare strumenti e misure per abbattere l'inflazione, il riavvio dello sviluppo, nonché l'aumento dell'occupazione. Il patto oltre a inglobare nella concertazione rappresentanze del mondo produttivo prima escluse.
Il patto per l'Italia del 2002 (Governo Berlusconi): fu stipulato dal Governo Berlusconi-bis, da Confindustria, Confesercenti e Lega delle Cooperative e da Cisl, Uil. All'accordo non aderì la Cgil. Il patto riguardava principalmente tre capitoli: Politica dei redditi e di coesione sociale, Stato sociale per il lavoro, Investimenti e occupazione nel Mezzogiorno. Fu il patto della tentata modifica all'articolo 18. Un anno dopo verrà varata la Legge 30 - "Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro" , legge di riforma del mercato del lavoro. La legge Biagi introduce una riforma di portata pari a quella dello Statuto dei lavoratori del 1970.
Anatomia del Protocollo sul welfare
Protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l'equità a la crescita sostenibili (23 luglio 2007)
Il Protocollo del 2007 è passato dopo la vittoria dei sì nel referendum promosso dalle organizzazioni sindacali. L'intesa – appoggiata da CGIL-CISL-UIL - ha incassato maggiori consensi tra pensionati e lavoratori attivi. I sì prevalgono nettamente nel pubblico impiego, nelle costruzioni, nell'industria tessile, nell'agroindustria, nel commercio, nei trasporti, nel turismo e nelle banche. Più articolato il risultato tra i metalmeccanici, dove sembra emergere sostanzialmente un equilibrio tra le grandi imprese in cui vince il no, e le piccole e medie in cui si afferma il sì.
Premessa del protocollo
"In uno scenario mondiale, caratterizzato da crescente concorrenza, diventa essenziale un sistema paese in grado di competere adeguatamente."
"… il Governo interverrà su costo del lavoro con misure specifiche sugli incrementi salariali di secondo livello collegati alla produttività, migliorando e ampliando le iniziative intraprese in passato."
Il protocollo è costituito da 4 parti diverse ma fortemente correlate, in quanto sono rivolte a far accrescere la capacità competitiva del sistema produttivo.
1) Previdenza
Si parte dall’incremento delle pensioni basse. Nel 2007 l’aumento arriverà in un’unica soluzione a novembre o con la tredicesima e oscillerà tra i 262 e i 392 €. Gli aumenti medi saranno di 33€ al mese.
Si prosegue con interventi volti a garantire la copertura contributiva figurativa per i lavoratori precari, nei periodi di disoccupazione temporanea, per arrivare a un meccanismo di revisione dei coefficienti per il calcolo della pensione, al fine di garantire agli attuali giovani, nel 2030, pensioni pari al 60% degli ultimi salari.
Lo scalone di Maroni non viene abbattuto, ma viene sostituito da un meccanismo di aumento graduale dell’età pensionabile nell’arco di 4 anni che alla fine produrrà il medesimo effetto.
Dal 2008 si va in pensione con 35 di contributi se si hanno 58 anni di età; nel 2009/2010 occorreranno 36 anni di contributi e 59 anni di età; e così a salire fino ad arrivare alla fine del 2012 nella situazione prevista dalla legge Maroni.
2) Ammortizzatori sociali
Si migliora l’indennità di disoccupazione, (e a questo fine il governo metterà sul tavolo 700 milioni provenienti dall’extragettito) ma, grazie al peggioramento della cassa integrazione che, annuncia il protocollo, nel futuro potrà essere trattata come l’indennità di mobilità, sarà più facile licenziare.
Infatti il lavoratore in cassa integrazione che dovesse rifiutare un’occupazione qualsiasi, anche a 50 km dal suo posto di lavoro, rischierà seriamente di perdere la cassa integrazione.
3) Mercato del lavoro
Le leggi Biagi viene mantenuta, viene abrogato lo staff leasing e vengono posti limiti all'uso del job on call.
La sintesi fatta dal presidente della Confindustria Luca di Montezemolo è più efficace di qualsiasi commento: "La legge Biagi viene completata con migliori ammortizzatori sociali, come avevamo più volte sollecitato in passato, e confermata in tutti i suoi istituti con la sola eccezione del lavoro a chiamata."
Per i contratti a termine nei fatti non cambia nulla:
Si dice che dopo 36 mesi che un lavoratore ha operato con il ricatto del rinnovo di vari contratti a termine, superata questa soglia, ogni eventuale rinnovo dovrà essere stipulato presso la Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio alla presenza del sindacato.
4) Competitività
Si stanziano soldi per le imprese, per incentivare la contrattazione integrativa di secondo livello:
"il governo stanzierà nella prossima legge finanziaria un importo pari a 150 milioni di euro per il 2008 per detassare una quota delle risorse contrattate per i premi di risultato".
In particolare cresce dall’attuale 3% al 5% la quota di salario di secondo livello ammessa agli sgravi contributivi. Le imprese riceveranno uno sgravio nella misura fissa del 25%, mentre i lavoratori, ai fini pensionistici, potranno comunque contare su un meccanismo che garantisce contributi figurativi.
Precisiamo che stiamo parlando solo della parte salariale che non viene riconosciuta ai lavoratori in quantità fissa, ma di quella parte che è legata ai volumi produttivi: quei soldi che chiamano "premio di risultato", o "salario per obbiettivi" , oggi ci sono ma domani potrebbero non esserci.
Straordinari:
E' abolita la contribuzione aggiuntiva sugli straordinari (detassazione).
Altro incentivo per aumentare la flessibilità degli orari.
La sovrastruttura politica di fronte alla crisi
Inutile soffermarsi sulla sostanziale uguaglianza programmatica dei due grossi partiti concorrenti, basti pensare ai temi più in voga: missioni all'estero, sicurezza interna (più poliziotti e pene più severe), flessibilità nel lavoro, liberalizzazioni, meritocrazia da introdurre nella pubblica amministrazione (se si vuole competere all'esterno bisogna prima di tutto aumentare la concorrenza all'interno).
La contrapposizione tra le due proposte politiche si tramuta in una rincorsa a dimostrare di essere i più adatti per realizzare una moderna Governance.
Quello che ci interessa di più, è il rintracciare nei programmi elettorali dei due partiti, i punti che si riferiscono alla Riforma del modello contrattuale.
Programma del Popolo della Libertà PDL
Primo punto del programma:
detassazione degli straordinari, premi e incentivi legati a incrementi di produttività.
Programma del Partito Democratico PD
Per le relazioni con le forze economiche e sociali, si deve puntare ad una radicale riforma del Patto del Luglio del '93. Quel modello aveva un obiettivo unificante: la stabilizzazione economico-finanziaria. Risultò decisivo per conseguirla, con l'Euro. Ora, serve un nuovo modello, con un nuovo obiettivo: l'incremento della produttività totale dei fattori, introducendo fortissime dosi di innovazione nel nostro sistema economico ed aprendolo agli investimenti stranieri. Protagonisti della nuova fase di concertazione - al pari dei sindacati dei lavoratori e di Confindustria - devono essere le Associazioni rappresentative della piccola e piccolissima impresa artigianale e commerciale, unitamente alle organizzazioni della cooperazione e del no profit. In questo contesto, tutti devono "cambiare" comportamenti e capacità di rappresentanza: la politica, certo. Ma anche le forze sociali, per le quali diventa urgente (per renderle protagoniste della contrattazione di secondo livello, dove si può agire sulla produttività), una (auto)riforma delle regole della rappresentanza.
La sovrastruttura politica che serve a tutto ciò è una democrazia "snella", cioè un Esecutivo forte non troppo intralciato da chiacchiere parlamentari e "disfunzioni" varie. Bisogna fare "sistema", dice Montezemolo, trovando subito eco nei proclami di Veltroni e Berlusconi.
Non è caso che forze rappresentative di Confindustria abbiano scelto il PD come partito di riferimento, d'altronde è il partito di riferimento della CGIL, quindi il più adatto a far passare determinati processi.
Il nuovo parlamento che ci stanno cucinando dovrà risolvere un problema che è già sul tappeto ma non ha ancora trovato la forza politica che lo trasformi ufficialmente in legge: dato che in ultima istanza qualunque esecutivo dovrà agire sulla forza lavoro e sulla possibilità di cavarne maggiore plusvalore, occorrerà liberarla completamente da ogni vincolo, estendere la mobilità dei lavoratori tra tutti i settori e le aree industriali ovunque si trovino, legare il salario minimo alle esigenze dell'economia e controllare la tendenza del salario a crescere.
Una strana atmosfera contrattuale (sul contratto dei metalmeccanici, 25 gennaio 2008)
Riguardo al rinnovo del contratto dei metalmeccanici (gennaio 2008) la parte meno becera della borghesia italiana aveva già dato segnali di ripensamento rispetto al liberismo selvaggio. D'accordo, era molta scena e poca sostanza, ma la grande industria è sempre oggettivamente disturbata dal caos economico ed ha convenienza nelle regole imposte dallo Stato, se non altro per il vecchio principio: "privatizzare i guadagni e socializzare le perdite".
Una conseguenza pratica di questa brezza di capitalismo "renano" (concertazione totale per un keynesismo moderato alla tedesca in difesa della "propensione marginale ai consumi" dei redditi bassi) fu la dichiarata intenzione di diversi capitalisti di aumentare unilateralmente i salari come anticipo del contratto. Addirittura alcuni, come Della Valle, vorrebbero passare ad elargizioni unilaterali extracontrattuali, e la cosa ha ovviamente provocato una serie di titoloni sui giornali. Qualche capitalista ha già elargito somme senza aspettare gli altri.
La pubblicità sui buoni padroni e i poveri operai che non arrivano alla fine del mese è stata di certo concertata, tanto che ogni notizia ha avuto subito una propagazione sospetta: se parlava Montezemolo gli faceva immediatamente eco Draghi e così via. L'asse ideologico di questa operazione è quello che si raggruppa infatti intorno ai soliti nomi, oltre a quelli già detti, i vari De Benedetti, Scalfari, Caracciolo, Benetton, Profumo, e altri defilati ma ben presenti in questa atipica ondata di capitalismo regolatore.
I vari Montezemolo sanno benissimo che la concorrenza asiatica non si può battere sul piano dei salari, ma solo su quello della produttività, della tecnologia e dei consumi interni di merci ad alto valore d'uso e di scambio. E si stanno accorgendo che il ritorno allo sfruttamento di tipo schiavistico, da essi ben accolto non troppo tempo fa e accettato senza fiatare dai sindacati e dai partiti di sinistra, porta non solo alla bassa qualità produttiva ma al caos sistemico. Perciò eccoli a reclamare un esecutivo statale che sappia "far sistema" e a pretendere che il sindacato sappia almeno fare un minimo di politica keynesiana.
Secondo Confindustria bisognerebbe legare gli aumenti salariali all'aumento della produttività delle aziende, cioè responsabilizzare maggiormente i lavoratori rispetto ai destini della propria azienda e, più in generale, verso quelli del paese.
Per l'attuazione di questo progetto è fondamentale l'appoggio e la compartecipazione del sindacato…
Il Sindacato e la concertazione
Nel ventennio fascista venne imposto il sindacato unico quale ente ausiliario dello Stato, con personalità giuridica. E giacché nel modello corporativo tutte le classi devono collaborare nell'interesse della nazione, sciopero e serrata divennero reati.
Risalgono a quell'epoca una serie di istituzioni che migliorano le condizioni dei lavoratori e che rimarranno successivamente: assegni familiari, indennità di licenziamento, tutela del posto in caso di malattia, gratifica natalizia. Ogni aspetto dei rapporti di lavoro diventa però oggetto di leggi; questa invadenza normativa dà origine a un'intensa attività giurisprudenziale in materia di lavoro, che è un'altra eredità dell'era fascista.
Nei primi anni Novanta la dinamica sindacale seguita ininterrottamente a svolgersi nel pieno senso del controllo statale e della inserzione negli organismi amministrativi ufficiali. Viene a stabilirsi un modello di fatto neocorporativo, qual è la concertazione tra parti sociali e governo. Questo metodo di confronto è stato sancito con l'accordo del luglio 1993 che ha fissato, tra l'altro, nuove regole per la contrattazione salariale.
Il sindacato è l'unico soggetto politico che non patisce la crisi istituzionale che viene acuita con gli scandali di Tangentopoli (scomparsa della DC e del PSI, trasformazione del PCI in PDS e del MSI in AN, emergere di nuovi protagonisti con Lega e Forza Italia). E negli anni Novanta, assieme alla Confindustria, si fa carico di "stabilizzare" il quadro politico ed economico conformando i rinnovi contrattuali agli obiettivi generali di riequilibrio macroeconomico.
La concertazione è un modello di relazioni sociali, in parte diverso dal corporativismo fascista perché prevede sia il pluralismo politico sia un limitato pluralismo sindacale ma che mantiene del corporativismo fascista l'impianto strutturale che prevede l'esistenza di sedi stabili di concertazione fra governo, "padronato" e sindacati.
Dal punto di vista strutturale, il riconoscimento del ruolo istituzionale del sindacato si traduce in massicci finanziamenti da parte dello Stato, finanziamenti che permettono l'esistenza di un numeroso apparato.
Nei fatti, quindi, la burocrazia sindacale tende ad apparire e, sovente, ad essere una branca ausiliaria della burocrazia statale (una succursale del Ministero del Lavoro) . Di conseguenza i lavoratori finiscono, abbastanza ragionevolmente, per pensare al sindacato come a qualcosa di esterno alla loro vita e come ad un ente al quale ci si rivolge quando si ha qualche particolare esigenza individuale da soddisfare.
Analisi della Bozza: LINEE DI RIFORMA SULLA STRUTTURA DELLA CONTRATTAZIONE (CGIL, CISL, UIL) 2008
Secondo la bozza di CGIL-CISL-UIL sulla proposta di riforma del sistema contrattuale vigente, i salari nazionali dovranno aumentare solo sulla base della "inflazione realisticamente attesa". E' questo un altro modo per chiamare l’inflazione programmata, cioè per vincolare l’aumento dei salari ai tetti dell’inflazione e per impedire che essi possano recuperare davvero il loro potere d'acquisto. Inoltre, viene proposto l’allungamento da due a tre anni della vigenza contrattuale, il che comporterà inevitabilmente un ulteriore indebolimento del salario contrattato a livello nazionale (primo livello).
Quindi, ridimensionamento del Contratto Nazionale: la trattativa che si vorrebbe attuare sarebbe nei fatti tra dipendenti e azienda con il beneplacito del sindacato (sempre più esautorato da qualsivoglia potere contrattuale). Bassi stipendi integrati da premi di produzione secondo l'andamento degli utili aziendali. Il datore di lavoro mette un target e il premio di produzione si raggiunge solo aumentando la produttività aziendale, cioè la redditività di ogni singolo lavoratore. Si tratterebbe di una riedizione del cottimo, con tutto ciò che ne consegue: orari, flessibilità, salute e sicurezza decisi a livello aziendale o territoriale. La riforma punta a spostare questioni di materia del contratto nazionale nel secondo livello. L'obiettivo politico è chiaro: l'ulteriore frammentazione del potenziale di classe. L'obiettivo economico è quello di incidere maggiormente sui fattori della produttività.
Per adesso, la Cgil (probabilmente per lotte interne legate alla campagna elettorale) si oppone al rafforzamento del secondo livello sconfessando la bozza firmata con CISL e UIL, e le parti sociali non riescono ad accordarsi su questo punto. Il tema della riforma del modello contrattuale del 1993 è quindi rimandato a dopo le elezioni. Siamo però sicuri che, a prescindere dal risultato delle elezioni, questa sarà la questione scottante che si troverà di fronte il nuovo governo.
Le sinistre di fronte alle "offensive padronali"
(volantino di Rdb Cub di marzo 2008)
Prendiamo come esempio della logica resistenziale e codista delle "sinistre", questo volantino di Rdb Cub:
"Confindustria e CGIL CISL e UIL stanno definendo, senza alcun rapporto con i lavoratori interessati, un’intesa attraverso cui ridurre a zero il valore del contratto nazionale di lavoro, rendendolo di fatto semplicemente garanzia del salario minimo contrattuale. Tutto il resto andrà discusso in sede di contrattazione integrativa, legando eventuali aumenti salariali ad ulteriori aumenti di produttività, all’andamento economico dell’impresa, in poche parole alla magnanimità di padroni che, a fronte della riesumazione di un vero e proprio "cottimo" concederanno qualche briciola dei loro utili di impresa."
"Il CCNL quindi non avrà più alcuna funzione di redistribuzione economica, ad esempio della produttività del lavoro, ma sarà mero strumento di adeguamento dei salari all’aumento del costo della vita secondo una oscura formula, l’"inflazione realisticamente prevedibile", mentre la contrattazione decentrata (sia essa aziendale o territoriale) che oggi investe non più del 10% delle aziende e coinvolge non più del 30% dei lavoratori, assumerebbe il vero ruolo negoziale, ovviamente secondo criteri di "flessibilità rispetto alle specificità settoriali"… magari anche sul fronte delle tutele della salute nell’ambito aziendale."
"La CUB difende il Contratto Nazionale, strumento di unità e di difesa dei più deboli e chiede da tempo di reintrodurre un meccanismo di indicizzazione automatica dei salari, una nuova scala mobile che tuteli realmente le retribuzioni e le pensioni".
Accenno alla nostra "questione sindacale"
Le "sinistre" subiscono tutte quante il retaggio della logica resistenziale, stracciandosi le vesti con somma indignazione di fronte a un apparato sindacale che fa il suo mestiere, si sono "opposte" mettendosi sullo stesso terreno con la ricerca di regole diverse magari a loro più favorevoli, proponendo la riedizione della "scala mobile" o difendendo il vecchio assetto contrattuale.
Ma è così difficile capire che qualunque tipo di regola firmata con l'avversario ha la sua risoluzione ultima nella manifestazione dei rapporti reali di forza?
Noi, invece, non siamo mai stati favorevoli all'indicizzazione dei salari e la voce "contingenza" ci interessa più o meno solo in rapporto allo scontro fra le classi. Questo vale anche per la periodicità fissa dei contratti nazionali: siamo sempre stati contrari e, al posto della contrattazione integrativa anch'essa regolamentata, abbiamo sempre indicato come migliore soluzione la revocabilità in qualsiasi momento di ogni contratto. Insomma, è dannoso e autolesionista far dipendere la lotta di classe da regole statutarie firmate con un avversario che ha in mano tutte le leve ideologiche e pratiche per non osservarle.
I comunisti non hanno mai inteso i risultati contrattuali raggiunti, o quelli che ci si prefiggeva di raggiungere, come un traguardo che avesse un valore in sé, all'interno di questa società, ma hanno sempre dato la massima importanza alla dinamica di lotta necessaria per raggiungerli, alla chiarezza dei rapporti con le organizzazioni ufficiali e con il "padrone", alla dimostrazione che condizioni di lavoro, salario, disoccupazione, sono il risultato di ben precisi rapporti di produzione i cui effetti sono ineliminabili senza eliminare la causa che li produce.
Il proletariato non deve conquistare un suo spazio all'interno del capitalismo, la sua applicazione della scienza non si fa strada in applicazioni utili a questa società.
Critica alla "teoria" delle "offensive padronali"
Chiudiamo questo lavoro riportando una parte di un articolo della nostra corrente. Ci sembra chiarisca meglio di tanti discorsi, la giusta posizione che i comunisti devono adottare di fronte ai lamenti dei sinistri contro le cosiddette "offensive padronali":
"Il carattere dell'azione dei comunisti è l'iniziativa, non la replica alle cosiddette provocazioni. L'offensiva di classe, non la difensiva. La distruzione delle garanzie, non la loro preservazione. Nel grande senso storico è la classe rivoluzionaria che minaccia, è essa che provoca; ed a questo deve prepararla il partito comunista, non al tamponamento qua e là di pretese falle nella barcaccia dell'ordine borghese, che dobbiamo colare a picco.
Il problema del ritorno dei lavoratori in ogni paese sulla linea della lotta classista sta in questo ravvivato collegamento tra la critica del capitalismo e i metodi della battaglia rivoluzionaria.
Finché tutta l'esperienza dei passati disastrosi errori non sarà stata utilizzata, la classe lavoratrice non sfuggirà alla esosa protezione dei suoi vantati salvatori da offese minacce e provocazioni che potrebbero sorgere domani, e che gli si presentano intollerabili. è almeno da un secolo che il proletariato ha davanti e sopra ciò che non può tollerare, e che quanto più tempo passa, più intollerabile diverrà, secondo la legge di Marx."
(da Lotta di classe e "offensive padronali", Battaglia Comunista n. 39 del 1949)