Citazioni sul centralismo organico

Da "Lettera a un compagno" (1902)

Ndr: questo passo di Lenin è molto importante. Se non ci si lascia influenzare dalle questioni terminologiche, di linguaggio, adatte alla situazione russa, si osserva una straordinaria esposizione della concezione organica di partito. Si può osservare in questo passo una analogia non solo con le concezioni che portarono la Sinistra Comunista "italiana" in conflitto con l'IC, ma addirittura con le sue ulteriori sistemazioni degli anni '50-'60. Non si tratta evidentemente di "anticipazioni" ma di un coerente filone teoretico che, in ogni determinata epoca, si esprime con il linguaggio che trova a disposizione. Vi troviamo i concetti di informazione, di rete, di legami deboli, di hub e in genere di tutti gli argomenti che fanno del partito un "sistema" organico. Essi sono analoghi alle moderne teorie dei "superorganismi", gli stessi che Marx definiva come prodotti del "cervello sociale". Ci sembra fin troppo evidente: questo passo è uno schiaffo che spacca la faccia ai cretini che ancora vaneggiano intorno a un Lenin "socialdemocratico" e a una Sinistra Comunista "terzinternazionalista e bolscevizzata".

Siamo giunti a un criterio molto importante per tutta l'organizzazione e l'attività del partito: mentre per la direzione ideologica e pratica del movimento e della lotta rivoluzionaria del proletariato è necessaria la maggior centralizzazione possibile, per informazione sul movimento al centro del partito (e quindi anche a tutto il partito in generale) e per la responsabilità dinanzi al partito é necessaria la maggiore decentralizzazione possibile. Il movimento deve essere diretto dal minor numero possibile di gruppi quanto più possibile omogenei di rivoluzionari di professione, resi esperti dall'esperienza. Al movimento, deve partecipare il maggior numero possibile di gruppi quanto più possibile multiformi ed eterogenei, comprendenti i più diversi strati del proletariato (e delle altre classi del popolo). E il centro del partito deve avere sempre dinanzi a sé non solo i dati precisi sull'attività di ognuno di essi, ma anche i dati quanto più possibile completi sulla loro composizione.

Dobbiamo centralizzare la direzione del movimento. Dobbiamo anche (appunto per farlo, giacché senza informazione non è possibile la centralizzazione) decentralizzare quanto più è possibile la responsabilità di ogni singolo membro dinanzi al partito, di ogni partecipante al lavoro, di ogni circolo che entra nel partito o lo fiancheggia. Questa decentralizzazione è una condizione necessaria della centralizzazione rivoluzionaria e il suo indispensabile correttivo. Proprio quando la centralizzazione sarà condotta sino in fondo e avremo l'organo centrale e il CC, la possibilità che avrà ogni più piccolo gruppo di rivolgersi a queste istanze – e non solo la possibilità di rivolgervisi, ma anche di rivolgervisi regolarmente, secondo una pratica elaborata in molti anni – eliminerà la possibilità di cattivi risultati dovuti alla fortuita e poco felice composizione di quello o quel comitato locale. Ora che ci dedichiamo interamente alla reale unificazione del partito e alla creazione di un vero centro dirigente, dobbiamo non dimenticare assolutamente che questo centro sarà impotente se nel medesimo tempo non procederemo alla massima decentralizzazione sia della responsabilità dinanzi ad esso sia del lavoro di informazione che gli deve far conoscere tutti gli ingranaggi, grandi e piccoli, della macchina del partito. Questa decentralizzazione non é altro che l'altra faccia di quella divisione del lavoro che, per riconoscimento generale, costituisce una delle esigenze pratiche più importanti del nostro movimento. Nessun riconoscimento ufficiale di una determinata organizzazione come organo dirigente, nessuna costituzione di un CC formale potrà ancora rendere il nostro movimento effettivamente unito, ne creerà un saldo partito combattivo, se il centro del partito, sarà, come prima, separato da una barriera dal lavoro pratico immediato dei comitati locali e se questi conserveranno il loro vecchio tipo, se, da una parte, ci saranno cioè comitati in cui entra un mucchio di persone ognuna delle quali dirige tutto, non si dedica a singoli settori del lavoro rivoluzionario, non risponde di particolari iniziative, non porta a termine dopo un'accurata riflessione e preparazione ciò che ha cominciato, spreca una grande quantità di tempo e di forze agitandosi alla maniera dei radicali, e, dall'altra, esisterà tutta una massa di circoli studenteschi e operai, per metà del tutto sconosciuti al comitato, per metà anche loro ingombranti, non specializzati, i quali non elaborano un'esperienza professionale, non utilizzano l'esperienza degli altri e sono impegnati, esattamente come il comitato, in interminabili riunioni "su tutto", in elezioni e nella redazione degli statuti. Perché il centro possa lavorare bene, è necessario che i comitati locali si trasformino, divengano organizzazioni specializzate e più "pratiche", raggiungano un'effettiva "perfezione" in questa o quella funzione pratica. Perché il centro possa non solo consigliare, convincere, discutere (come si è fatto sinora), ma dirigere effettivamente l'orchestra, è necessario si sappia con esattezza chi suona il violino, dove lo suona e quale violino suona, dove e come e quando ciascuno ha imparato o impara a suonare il suo strumento, chi stona e dove e perché stona (quando, la musica incomincia a straziare l'orecchio) e come, dove e chi si deve spostare per correggere le dissonanze, ecc. Oggi – bisogna dirlo chiaro e tondo – dell'effettivo lavoro interno del comitato o non conosciamo nulla, oltre i manifestini e le corrispondenze generali, oppure siamo informati da amici e da buoni conoscenti personali. Ma non è forse ridicolo pensare che un immenso partito che sa dirigere il movimento operaio, russo e prepara l'assalto generale contro l'autocrazia possa limitarsi a ciò? Ridurre il numero dei membri del comitato, assegnare, possibilmente, a ciascuno di essi una precisa e particolare funzione di cui debbano rendere conto e di cui rispondano, creare uno speciale centro molto ristretto che dia le disposizioni, preparare una rete di fiduciari esecutivi che colleghino il comitato con ogni grande officina e fabbrica, diffondano regolarmente la stampa e forniscano al centro un quadro esatto di questa diffusione e di tutto il meccanismo del lavoro, infine, costituire numerosi gruppi e circoli che si incarichino delle varie funzioni o raggruppino gli elementi che si avvicinano alla socialdemocrazia, l'appoggiano e si preparano a divenire socialdemocratici, in modo che al comitato e al centro sia sempre nota l'attività (e la composizione) di questi circoli: ecco in che cosa deve consistere la riorganizzazione del comitato di Pietroburgo, e anche di tutti gli altri comitati del partito, ed ecco perché la questione dello statuto ha così poca importanza.

Ho incominciato dall'esame dell'abbozzo dello statuto per indicare con maggiore chiarezza a che cosa tendono le mie proposte. E, come risultato, al lettore è divenuto chiaro - almeno lo spero - che, in sostanza, con tutta probabilità si potrebbe fare a meno dello statuto, sostituendolo, con relazioni regolari su ogni circolo, su ogni settore del lavoro. Che cosa si può scrivere nello statuto? Il comitato dirige tutti (questo è già chiaro). Il comitato sceglie il gruppo che da le disposizioni (questo non sempre è necessario, e quando lo è non è con lo statuto che si risolve la questione, ma comunicando al centro la composizione di questo gruppo, e i nomi dei candidati). Il comitato distribuisce fra i suoi membri le singole branche del lavoro, impegnando ognuno di essi a tenere al corrente, con regolarità il comitato e a informare l'organo centrale e il CC sullo svolgimento del lavoro (anche qui è più importante informare il centro di una determinata distribuzione del lavoro che scrivere nello statuto una norma che, data la scarsità delle nostre forze, rimarrà il più delle volte sulla carta). Il comitato deve stabilire con precisione chi viene considerato suo membro. Esso si completa mediante cooptazione, nomina i gruppi rionali, i sottocomitati di officina, questi e quei gruppi (se si enumerano tutti quelli che si dovrebbero costituire, non si finirebbe mai, e un'enumerazione approssimativa nello statuto non serve a nulla; basta informare il centro dell'avvenuta costituzione). I gruppi rionali e i sottocomitati costituiscono determinati circoli... La redazione di un simile statuto è tanto più inutile nel momento attuale in quanto il partito quasi non ha (e in molti luoghi non ha affatto) una esperienza generale sull'attività di questi diversi gruppi e sottogruppi, e per elaborarla non é lo statuto che occorre, ma l'organizzazione, se così ci si può esprimere, dell'informazione di partito: da noi ogni organizzazione locale spreca come minimo alcune sere per lo statuto. Se questo tempo fosse dedicato da ognuno, secondo la sua particolare funzione, a redigere un resoconto particolareggiato e ponderato su questa funzione per tutto il partito, la causa avrebbe cento volte da guadagnare.

E gli statuti sono inutili non perché il lavoro rivoluzionario non può avere sempre una struttura ben definita. No, la struttura è necessaria e noi dobbiamo cercare di dare a tutto il lavoro, nella misura del possibile, una struttura. Ed è possibile darla su scala molto più vasta di quel che comunemente si pensi, ma non con gli statuti, bensì solo ed esclusivamente (lo ripetiamo per l'ennesima volta) con l'esatta informazione al centro del partito: solo allora si tratterà di una reale struttura legata a una reale responsabilità e pubblicità (di partito). E chi da noi non sa che i dissensi e i conflitti seri si decidono in sostanza nel nostro partito, non già con le votazioni "secondo lo statuto", ma con la lotta e con la minaccia di "andarsene"? Di questa lotta interna è piena la storia della maggior parte dei nostri comitati negli ultimi tre o quattro anni di vita di partito. E' un vero peccato che questa lotta non sia stata fissata in una forma ben precisa: il partito avrebbe imparato molto di più e i nostri successori ne avrebbero tratto molta più esperienza. Pure, questa forma utile e necessaria non si crea con nessuno statuto, ma esclusivamente rendendo note le cose di partito. Da noi, in regime autocratico, non può esistere altro mezzo e strumento per rendere note le cose di partito se non l'informazione regolare al centro del partito.

Da "Il principio democratico" (1922)

Ndr: il concetto di centralismo organico si trova già nei due articoli del '21 "Partito e classe" e "Partito e azione di classe", pubblicati su "Rassegna Comunista". Là non è ancora chiamato con il suo nome, qui, un anno dopo, il nome compare in contrapposizione alla mistificazione della democrazia.

Il partito non parte da una identità di interessi economici così completa come il sindacato, ma in compenso stabilisce l'unità della sua organizzazione su una base tanto più vasta quanto è la classe in confronto alla categoria. Non solo il partito si estende sulla base dell'intera classe proletaria nello spazio, fino a divenire internazionale, ma altresì nel tempo: ossia esso è lo specifico organo la cui coscienza e la cui azione rispecchiano le esigenze del successo nell'intero cammino di emancipazione rivoluzionaria del proletariato. Queste note considerazioni ci obbligano nello studiare i problemi di struttura e di organizzazione interna del partito a tener di vista tutto il processo della formazione e della vita di esso nei complessi compiti a cui risponde. Non possiamo alla fine di questa già lunga trattazione entrare nei dettagli a proposito del meccanismo con cui nel partito dovrebbero avvenire le consultazioni della massa degli aderenti, il reclutamento, la designazione delle cariche in tutta la gerarchia. È indubitato che finora non vi è di meglio da fare che attenersi per lo più al principio maggioritario. Ma, secondo quanto insistentemente mettiamo in vista, non è il caso di elevare a principio questo impiego del meccanismo democratico. A fianco di un compito di consultazione analogo a quello legislativo degli apparati di Stato, il partito ha un compito esecutivo che corrisponde addirittura nei momenti supremi di lotta a quello di un esercito, che esigerebbe il massimo di disciplina gerarchica. In via di fatto, nel complicato processo che ci ha portato ad avere dei partiti comunisti, la formazione della gerarchia è un fatto reale e dialettico che ha lontane origini e che risponde a tutto il passato di esperienza, di esercitazione del meccanismo del partito. Non possiamo concepire una designazione di maggioranza del partito come aprioristicamente tanto felice nella scelta quanto quella di un giudice infallibile e soprannaturale che dia i capi alle collettività umane, a cui credano coloro secondo i quali è un dato di fatto la partecipazione ai conclavi dello Spirito Santo. Perfino in un organismo nel quale, come nel partito, la composizione della massa è il risultato d'una selezione, attraverso la spontanea adesione volontaria, e il controllo del reclutamento, il pronunziato della maggioranza non è per se stesso il migliore, e solo per effetto di coincidenze nel lavoro concorde e ben avviato esso viene a contribuire al migliore rendimento della gerarchia operante, esecutiva del partito. Che esso debba essere sostituito da un altro meccanismo, e quale sia questo, qui non proponiamo ancora né indaghiamo in dettaglio: certo che una simile organizzazione che sempre più si liberi dai convenzionalismi del principio di democrazia è ammissibile, e non deve essere respinta con ingiustificate fobie, quando si potesse dimostrare che altri coefficienti di decisione, di scelta, di risoluzione dei problemi, si presentano più consoni alle reali esigenze dello sviluppo del partito e della sua attività, nel quadro della storia che si svolge.

Il criterio democratico è finora per noi un accidente materiale per la costruzione della nostra organizzazione interna e la formulazione degli statuti di partito: esso non è l'indispensabile piattaforma. Ecco perché noi non eleveremmo a principio la nota formula organizzativa del " centralismo democratico ". La democrazia non può essere per noi un principio; il centralismo lo è indubbiamente, poiché i caratteri essenziali dell'organizzazione del partito devono essere l'unità di struttura e di movimento. Per segnare la continuità nello spazio della struttura di partito è sufficiente il termine centralismo, e per introdurre il concetto essenziale di continuità nel tempo, ossia nello scopo a cui si tende e nella direzione in cui si procede verso successivi ostacoli da superare, collegando anzi questi due essenziali concetti di unità, noi proporremmo di dire che il partito comunista fonda la sua organizzazione sul " centralismo organico ". Così, conservando quel tanto dell'accidentale meccanismo democratico che ci potrà servire, elimineremo l'uso di un termine caro ai peggiori demagoghi e impastato di ironia per tutti gli sfruttati, gli oppressi, e gli ingannati, quale quello di " democrazia ", che è consigliabile regalare per esclusivo loro uso ai borghesi e ai campioni del liberalismo variamente paludato talvolta in pose estremiste.

Da "Organizzazione e disciplina comunista" (1924)

L'esserci così liberati di ogni pregiudizio di carattere egualitario e democratico non deve però condurre a porre a base della nostra azione un nuovo pregiudizio che sia la negazione formalistica e metafisica del primo. Ci richiamiamo a tale proposito a quanto abbiamo scritto nella prima parte dell'articolo sulla questione nazionale (n. 4 diPrometeo) sulla maniera di prospettarci i grandi problemi del comunismo.

Che nella pratica il meccanismo organizzativo e la regola di funzionamento interno dei Partiti Comunisti sia una linea intermedia, per così dire, tra l'assoluto centralismo e l'assoluta democrazia, risulta dalla stessa espressione di "centralismo democratico" ricorrente nei testi dell'Internazionale, e viene ricordato opportunamente nella nota lettera del compagno Trotsky che ha suscitato grandi discussioni tra i compagni russi.

Diciamo subito che, come non crediamo di non poter chiedere le soluzioni dei problemi rivoluzionari ai principi astratti tradizionalisti sia di libertà sia di autorità, così poco ci soddisfa l'espediente di trovare la nostra risposta attraverso una specie di miscuglio dei due termini suddetti quasi considerati come ingredienti fondamentali da combinare tra loro.

La posizione comunista nei problemi di organizzazione e di disciplina deve secondo noi risultare molto più completa, soddisfacente ed originale.

Per indicarla in sintesi (ben facendo comprendere che siamo contro ad ogni criterio di federalismo autonomistico, e accettiamo il termine di centralismo in quanto ha valore di sintesi e di unità contrapposto all'associarsi quasi casuale e "liberale" di forze sorte dalle più svariate iniziative Indipendenti), noi preferiamo da tempo la espressione di "centralismo organico". Quanto ad un più completo svolgimento della conclusione accennata, riteniamo che lo si avrà, meglio ancora che dallo sviluppo di questo studio di cui tracciamo qui qualche premessa iniziale, assai probabilmente in testi che potranno essere discussi nel V Congresso Comunista mondiale. Il problema è anche considerato in parte nelle tesi tattiche per il IV Congresso che sono state recentemente riprodotte da Stato Operaio.

Da "Tesi di Lione" (1926)

La soluzione, come non sta in una esasperazione a vuoto dell'autoritarismo gerarchico (a cui la investitura iniziale viene a mancare, sia nella incompletezza delle pur grandiose esperienze storiche russe, sia perché nella stessa vecchia guardia, custode delle tradizioni bolsceviche, sorgono di fatto dissensi la cui soluzione non va ritenuta a priori come la migliore), così non sta in una applicazione sistematica dei principii della democrazia formale, che nel marxismo non hanno altro posto che quello di una pratica organizzativa suscettibile di essere comoda.

I partiti comunisti devono realizzare un centralismo organico che, col massimo compatibile di consultazione della base, assicuri la spontanea eliminazione di ogni aggruppamento tendente a differenziarsi. Questo non si ottiene con prescrizioni gerarchiche formali e meccaniche, ma, come dice Lenin, colla giusta politica rivoluzionaria.

La repressione del frazionismo non è un aspetto fondamentale della evoluzione del partito, bensì lo è la prevenzione di esso.

Essendo assurdo e sterile, nonché pericolosissimo, pretendere che il partito e l'Internazionale siano misteriosamente assicurati contro ogni ricaduta o tendenza alla ricaduta nell'opportunismo, che possono dipendere da mutamenti della situazione come dal gioco dei residui delle tradizioni socialdemocratiche, nella risoluzione dei nostri problemi si deve ammettere che ogni differenziazione di opinione non riducibile a casi di coscienza o di disfattismo personale può svilupparsi in una utile funzione di preservazione del partito e del proletariato in generale da gravi pericoli.

Se questi si accentuassero, la differenziazione prenderebbe inevitabilmente ma utilmente la forma frazionistica, e questo potrebbe condurre a scissioni non per il bambinesco motivo di una mancanza di energia repressiva da parte dei dirigenti, ma solo nella dannata ipotesi del fallimento del partito e del suo asservimento ad influenze controrivoluzionarie.

Da "Dialogato coi morti" (1956)

Siccome il marxismo respinge come risolvente della «questione sociale» ogni formulazione «costituzionale» e «giuridica» premessa alla concreta corsa storica, così non avrà preferenze e non darà risposta alle questioni mal messe: deve decidere tutto un uomo, un collegio dì uomini, tutto il corpus del partito, tutto il corpus della classe? Anzitutto non decide nessuno, ma un campo di rapporti economico-produttivi comuni a grandi gruppi umani.

Si tratta non di pilotare, ma di decifrare la storia, di scoprirne le correnti, e il solo mezzo di partecipare alla dinamica di esse, è di averne un certo grado di scienza, cosa assai diversamente possibile in varie fasi storiche.

E allora chi meglio la decifra, chi meglio ne spiega la scienza, l'esigenza? Secondo. Può essere anche uno solo, meglio del comitato, del partito, della classe. E consultare «tutti i lavoratori» non fa fare più passi che consultare tutti i cittadini colla insensata «conta delle teste». Il marxismo combatte il laburismo, l'operaismo, nel senso che sa che in molti casi, nella maggior parte, la delibera sarebbe controrivoluzionaria ed opportunista. Oggi non si sa se il voto andrebbe alla padella o alla brace: Stalin o gli Anti-stalin. Difficile perfino escludere che sarebbe la seconda la fregatura maggiore. Quanto al partito, anche dopo la sua elezione da quelli che per principio negano le «pietre angolari» del suo programma, la sua meccanica storica neppure si risolve con «la base ha sempre ragione». Il partito è un'unità storica reale, non una colonia di microbi-uomo. Alla formula che dicono di Lenin di «centralismo democratico» la sinistra comunista ha sempre proposto di sostituire quella di centralismo organico. Quanto poi ai comitati, moltissimi sono i casi storici che fanno torto alla direzione collegiale: non qui dobbiamo ripetere il rapporto tra Lenin e il partito, Lenin e il comitato centrale, nell'aprile 1917 e nell'ottobre 1917.

Il migliore detector delle influenze rivoluzionarie del campo di forze storiche può, in dati rapporti sociali e produttivi, essere la massa, la folla, una consulta di uomini, un uomo solo. L'elemento discriminante è altrove.

Da "Origine e funzione della forma partito" (1961)

Dalla funzione del Partito di domani discendono le sue caratteristiche. Essendo la prefigurazione della società comunista, esso non può accettare un meccanismo, un principio di vita e di organizzazione, che sia legato alla società borghese; deve realizzare la distruzione di questa società.

Rifiuto del meccanismo democratico (Marx a Engels, 18 maggio 1859: "Il nostro mandato di rappresentanti del partito proletario noi non l'abbiamo che da noi stessi. Ma esso è controfirmato dall'odio esclusivo e generale che tutte le frazioni del vecchio mondo e dei suoi partiti ci riservano"). Nostra posizione: il centralismo organico.

Anti-individualismo: il partito realizza l'anticipazione del cervello sociale. Ogni conoscenza è mediata dal partito; ogni azione anche. Il militante non ha bisogno di "cercare la verità"; essa gli è data dal partito (la verità nel campo sociale: in tutti gli altri campi non vi si potrà pervenire se non dopo la rivoluzione). Tendenza alla realizzazione dell'Uomo sociale.

Rifiuto di ogni mercantilismo, di ogni carrierismo sotto qualunque forma. Il legame fra i compagni, la manifestazione di questo legame nei loro rapporti, devono ispirarsi al commento di Marx al libro di James Mill: Ogni attività, ogni manifestazione deve essere quella dell'affermazione della gioia umana attraverso la comunicazione con gli altri, e quindi con la società futura.

Abolizione degli antagonismi sociali legati alle classi. Nel partito non si conoscono se non militanti comunisti. Sul piano pratico, ciò corrisponde alla necessità di basare il partito sulla unità territoriale, anziché su quella di lavoro.

Il partito deve essere la soluzione di tutti gli enigmi, e deve saperlo essere. Deve presentarsi come il rifugio del proletario, il luogo in cui la sua natura umana si afferma in modo ch'egli possa mobilitare tutte le sue energie nella lotta contro il nemico di classe.

Era necessario precisare questi caratteri che soli permettono di capire la funzione del partito e di averne una visione integrale. Il partito è una forza impersonale al di sopra delle generazioni; rappresenta la specie umana, l'essere umano infine ritrovato, la coscienza della specie. Questa non può manifestarsi che in date condizioni (come l'azione del proletariato): in una situazione rivoluzionaria è possibile il rovesciamento della prassi, che è rovesciamento di ogni sviluppo attuale e passato; il Partito decide la presa del potere per la distruzione della società borghese; la preistoria umana è finita: in questo momento tutto converge, esso è il punto culminante della teoria mediante la previsione esatta del momento favorevole, e dell'azione (l'insurrezione è un'arte). I due fenomeni si sommano: è allora che la coscienza dell'azione appare, la coscienza che precede l'azione.

Da "Appunti per le tesi sulle questioni di organizzazione" (1964)

Ndr: gli "Appunti" furono scritti in occasione di una crisi di partito che sfociò in una rottura. I vecchi compagni scomparsi, da noi interpellati sull'argomento molti anni fa, ricordavano benissimo l'argomento della diatriba: uno scontro fra concezione organica e concezione democratica della comunità-partito. Del resto ciò è anche ricordato in due lettere di Amadeo Bordiga a Bruno Maffi (18 nov. 1964) e a Romeo Ceglia (25 nov. 1964), entrambe sul nostro sito. Bordiga aveva più volte rifiutato di mettere in discussione la concezione del partito: "Non mi costringerete a scrivere delle tesi di organizzazione! Lo statuto del partito", sembra gridasse incazzatissimo. Invece nel volgere di nemmeno due anni dovette scriverle, anche se in forma di anti-tesi, riprendendole in ben tre quattro occasioni: "Appunti", "Considerazioni", "Tesi di Napoli" e "Tesi di Milano". Ciò non fu sufficiente ad evitare due scissioni, nel 1964 e nel 1966, proprio sulla concezione del partito. Oggi con il senno di poi dobbiamo constatare amaramente che quasi l'intero partito non era d'accordo sulla concezione di Bordiga, tratta dall'esperienza storica ma proiettata nel futuro. La quasi totalità dei militanti del vecchio partito scomparso e anche dell'odierna diaspora che ne rappresenta i resti, non ha mai assimilato la potenza della nuova concezione anticipatrice della società futura ma è rimasta alla rozza concezione russa bolscevizzante del dopo-Lenin.

1) L'espressione di "centralismo democratico", come tipo di organizzazione per i partiti comunisti, a cui la Sinistra oppose la formula di "centralismo organico", si trova anzitutto nelle tesi presentate da Zinoviev al II Congresso sul Compito del Partito Comunista nella rivoluzione proletaria e illustrate dal discorso dello stesso Zinoviev nella seconda seduta tenuta al Cremlino il 23.7.1920. La parte centrale delle tesi e del discorso trovano e trovarono pienissimo appoggio da parte della Sinistra comunista perché contengono una risoluta critica marxista di tutte quelle correnti che svalutano la funzione del Partito politico di classe e vogliono sostituirla con le più diverse forme (sindacati, consigli operai, comitati di fabbrica ecc. ecc.). Tale corrente era fortemente rappresentata al II Congresso, specie da inglesi, americani, olandesi, ed anche da sindacalisti francesi e perfino anarchici spagnoli. La Sinistra comunista italiana tenne a differenziarsi subito da queste correnti che, oltre a non comprendere le tesi sul Partito, mal digerivano anche quelle sulla centralizzazione e sulla stretta disciplina anche vigorosamente affermata allora da Zinoviev.

Quando da questi gruppi vennero consensi alla tesi della Sinistra italiana circa il parlamentarismo, il relatore di quella pregò di non votare le sue tesi coloro che non fossero sullo stretto terreno marxista, ed ecco perché di 7 voti contro la partecipazione parlamentare solo tre furono per le tesi della Sinistra italiana (Belgio, Danimarca, Svizzera, essendo consultivo il voto italiano).

2) La formula sopra citata compare al punto 14 delle tesi Zinoviev, ed è così formulata: "Il Partito Comunista deve essere basato su una centralizzazione democratica. La costituzione a mezzo di elezioni di Comitati secondari, la sottomissione obbligatoria di tutti i comitati al comitato che è loro superiore, e l'esistenza di un Centro munito di pieni poteri, di cui l'autorità non può, nell'intervallo fra i Congressi del Partito, essere contestata da nessuno; tali sono i principii essenziali della centralizzazione democratica".

Queste tesi non entrano in maggiori dettagli e, per quanto riguarda il concetto di subordinazione della periferia al Centro, la Sinistra non aveva motivo di non accettarle. Il dubbio sorse sulla maniera di designazione dei Comitati dalla periferia al Centro e sull'impiego del meccanismo elettorale per conta dei voti, a cui fanno evidente riferimento l'aggettivo democratico opposto al sostantivo centralismo, oltre che il breve accenno che segue subito dopo.

12) Quando la Sinistra comunista sviluppò maggiormente la sua critica alle deviazioni della III Internazionale sui problemi della tattica, fece anche una critica dei criteri di organizzazione, e il seguito dei fatti storici ha dimostrato che quelle deviazioni hanno fatalmente condotto all'abbandono di posizioni-base programmatiche e teoriche.

Questa tesi della Sinistra comunista fu ben compendiata nella richiesta che si parlasse non più di centralismo democratico, ma di centralismo organico. Chiaro sviluppo di questa tesi, fatto fin dagli anni 1922-1926, che dunque non compare soltanto oggi, è che bisogna finirla con l'impiego, resosi storicamente nel passato inevitabile nel senso meccanico, delle decisioni per votazioni elettorali e per conta degli aderenti ad una od altra opinione.

Questa critica teorica parte dall'aver considerato troppo scolorita la tesi centrale di Zinoviev: "Il partito è una frazione della classe operaia". Questa tesi è evidentemente insoddisfacente e non sarebbe giusto pensare che lo è soltanto per esigenze di stretto dottrinarismo, e che era ammissibile nello stesso senso in cui Carlo Marx si permetteva, ghignando dentro sé stesso senza farsi scoprire, di parlare di morale e di giustizia. Infatti la nostra critica fu sviluppata fin da quegli anni e non può essere giudicata come pruderie teoretica, perché disponiamo di una serie formidabile di fatti reali posteriori che hanno sciaguratamente confermato la diffidenza e il sospetto di allora.

Osservammo a Zinoviev che la sua formula (messa a base di tesi storicamente giuste e importantissime) era troppo timida e reticente perché soltanto quantitativa, laddove le tesi classiche del Manifesto e della I Internazionale sono già decisamente qualitative.

Come abbiamo dimostrato, era già contenuto insostituibile della dottrina comunista, nel Manifesto e negli Statuti della I Internazionale che, quando si introduce la forma partito, nasce una nuova presentazione della classe proletaria, in quanto allora il proletariato si presenta e agisce come classe lottante contro le altre quando riesce a costituirsi in partito politico. Fermandosi alla distinzione puramente quantitativa, quasi che il partito fosse il contenuto di un cerchio tracciato entro un più vasto campo della classe proletaria, si poteva forse evitare di choquer elementi sindacalisti che venivano verso di noi, buoni rivoluzionari sebbene ancora cattivi marxisti, ma si contribuiva poco alla chiarificazione appunto di quella dottrina rivoluzionaria a cui li volevamo condurre. La nostra formula centralismo organico voleva appunto dire che non solo il partito è un particolare organo della classe, ma per di più è solo quando esso esiste che la classe agisce come organismo storico e non solo come una sezione statistica che ogni borghese è pronto a riconoscere. Marx, nella ricostruzione storicamente fondamentale e irrevocabile di Lenin, non solo dice di non aver scoperto le classi, ma nemmeno la lotta fra le classi, e indica come connotato inconfondibile della sua originale teoria la dittatura del proletariato: questo vuole appunto dire che solo a mezzo del partito comunista il proletariato potrà pervenire alla sua dittatura. Le due nozioni, dunque, di partito e di classe non si contrappongono numericamente perché il partito è piccolo e la classe è grande, ma storicamente e organicamente; perché solo quando nel campo della classe si è formato l'organo energetico che è il partito la classe diventa tale e si avvia ad assolvere il compito che le assegna la nostra dottrina della storia.

13) La sostituzione dell'aggettivo organico a quello democratico non è motivata solo dalla maggiore esattezza di una immagine di tipo biologico rispetto alla sbiadita immagine di natura aritmetica, ma anche dalla esigenza solida e di lotta politica di liberarsi dalla nozione di democrazia, abbattendo la quale avevamo potuto con Lenin riedificare l'Internazionale rivoluzionaria. Le immortali tesi di Lenin al I Congresso sono intitolate: Democrazia borghese e dittatura proletaria. Nella teoria, l'antagonismo dei due termini persiste se, invece che di democrazia borghese, parliamo della leninista democrazia in generale, in quanto Lenin è quello che ha dimostrato come ogni inchino dinnanzi a questo ignobile feticcio segna una vittoria dell'opportunismo e della controrivoluzione. Tutto il testo delle tesi, che sarebbe superfluo citare, tutto il testo di Stato e rivoluzione, conducono a questo risultato. Se è vero che alcune volte Lenin adopera i termini di democrazia proletaria, ciò è al solo scopo di dimostrare che tale astratto punto di arrivo (in sostanza irreale, perché il proletariato con le classi annienta sé stesso) coincide con il pieno sviluppo della dittatura del proletariato e della piena esigenza di una società comunista. Nello stesso spirito, il Manifesto ai fini di travolgente vigore polemico disse che la rivoluzione proletaria, fatta dalla immensa maggioranza nell'interesse della immensa maggioranza, è la vittoria totale della democrazia.

Da "Considerazioni" (1965)

Dato che il carattere di degenerazione del complesso sociale si concentra nella falsificazione e nella distruzione della teoria e della sana dottrina, è chiaro che il piccolo partito di oggi ha un carattere preminente di restaurazione dei principi di valore dottrinale, e purtroppo manca dello sfondo favorevole in cui Lenin la compì dopo il disastro della prima guerra. Tuttavia, non per questo possiamo calare una barriera fra teoria e azione pratica; poiché oltre un certo limite distruggeremmo noi stessi e tutte le nostre basi di principio. Rivendichiamo dunque tutte le forme di attività proprie dei momenti favorevoli nella misura in cui i rapporti reali di forze lo consentono.

9. - Tutto ciò andrebbe svolto molto più lungamente, ma si può pervenire ad una conclusione circa la struttura organizzativa del partito in un trapasso tanto difficile. Sarebbe errore fatale riguardarlo come divisibile in due gruppi: uno dedito allo studio e l'altro all'azione, perché questa distinzione è mortale non solo per il corpo del partito, ma anche in riguardo a un singolo militante. Il senso dell'unitarismo e del centralismo organico è che il partito sviluppa in sé gli organi atti a varie funzioni, che noi chiamiamo propaganda, proselitismo, organizzazione proletaria, lavoro sindacale ecc. fino, domani, all'organizzazione armata, ma che nulla si deve concludere dal numero dei compagni che si pensa addetti a tali funzioni, perché in principio nessun compagno deve essere estraneo a nessuna di esse.

È un incidente storico che in questa fase possano sembrare troppi i compagni dediti alla teoria e alla storia del movimento, e pochi quelli già pronti all'azione. Soprattutto insensata sarebbe la ricerca del numero dei dediti all'una e all'altra manifestazione di energia. Tutti sappiamo che, quando la situazione si radicalizzerà, elementi innumeri si schiereranno con noi, in una via immediata, istintiva e senza il menomo corso di studio che possa scimmiottare qualificazioni scolastiche.

Da "Tesi di Napoli" (1965)

La prima verità che l'uomo potrà conquistare è la nozione della futura società comunista. Questo edifizio non chiede nessun materiale alla infame società presente, capitalista, democratica o cristianuccia, e non considera patrimonio umano su cui fondare, la pretesa scienza positiva costruita dalla rivoluzione borghese, che per noi è una scienza di classe da distruggere e rimpiazzare pezzo per pezzo, non diversamente dalle religioni e dalle scolastiche delle precedenti forme di produzione. Nel campo della teoria delle trasformazioni economiche che dal capitalismo, la cui struttura ben conosciamo mentre è del tutto ignota agli economisti ufficiali, portano al comunismo, facciamo egualmente a meno degli apporti della scienza borghese, e la stessa disistima abbiamo della sua tecnica o tecnologia che si decanta soprattutto dai rimbambiti traditori opportunisti come avviata a grandi conquiste. In modo totalmente rivoluzionario abbiamo edificata la scienza della vita della società e del suo sbocco futuro. Quando questa opera della mente umana sarà perfetta, e non potrà esserlo se non dopo la uccisione del capitalismo, della sua civiltà, delle sue scuole, della sua scienza, e della sua tecnologia da ladroni, l'uomo potrà per la prima volta scrivere anche la scienza e la storia della natura fisica e conoscere dei grandi problemi della vita dell'universo, da quella che scienziati riconciliati col dogma seguitano a chiamare col nome di creazione ai suoi decorsi a tutte le scale infinite ed infinitesime, nell'indecifrabile finora avvenire futuro.

13. - Questi ed altri problemi sono campo di azione del partito che noi fisicamente teniamo in vita, non indegno di inserirsi sulla linea stessa del grande partito storico. Ma questi concetti di alta teoria non sono espedienti per risolvere piccole beghe e piccole umane incertezze, che dureranno purtroppo quanto durerà nelle nostre file la presenza di individui circondati e dominati dall'ambiente barbaro della civiltà capitalistica. Quindi tali sviluppi non possono essere adoperati a spiegare come gradatamente si afferma il modo di vivere del partito libero dall'opportunismo, che è contenuto nel centralismo organico e non può sorgere da una "rivelazione".
Come patrimonio della Sinistra si potrà ritrovare in tutte le polemiche condotte contro la degenerazione del Centro di Mosca questa evidente tesi marxista. Il partito è al tempo stesso un fattore ed un prodotto dello svolgimento storico delle situazioni, e non potrà mai essere considerato come un elemento estraneo ed astratto che possa dominare l'ambiente circostante, senza ricadere in un nuovo e più flebile utopismo.

Che nel partito si possa tendere a dare vita ad un ambiente ferocemente antiborghese, che anticipi largamente i caratteri della società comunista, è una antica enunciazione, ad esempio dei giovani comunisti italiani fin dal 1912.

Ma questa degna aspirazione non potrà essere ridotta a considerare il partito ideale come un falansterio circondato da invalicabili mura.

Nella concezione del centralismo organico la garanzia della selezione dei suoi componenti è quella che sempre proclamammo contro i centristi di Mosca. Il partito persevera nello scolpire i lineamenti della sua dottrina, della sua azione e della sua tattica con una unicità di metodo al di sopra dello spazio e del tempo. Tutti coloro che dinanzi a queste delineazioni si trovano a disagio hanno a loro disposizione la ovvia via di abbandonare le file del partito.

Da "Tesi di Milano" (1966)

Nel partito rivoluzionario, in pieno sviluppo verso la vittoria, le ubbidienze sono spontanee e totali ma non cieche e forzate, e la disciplina centrale, come illustrato nelle tesi e nella documentazione che le appoggia, vale un'armonia perfetta delle funzioni e della azione della base e del centro, né può essere sostituita da esercitazioni burocratiche di un volontarismo antimarxista.

L'importanza di questo punto nella giusta comprensione del centralismo organico si rileva dal tremendo ricordo delle confessioni cui furono ridotti grandi capi rivoluzionari, poi uccisi nelle purghe di Stalin, e delle inutili autocritiche cui furono piegati sotto il ricatto di essere espulsi dal partito ed infamati come venduti ai suoi nemici; infamie ed assurdità mai sanate dal metodo non meno bigotto e non meno borghese delle "riabilitazioni". L'abuso progressivo di tali metodi non fa che segnare la sciagurata strada del trionfo dell'ultima ondata dell'opportunismo.

8. - Per la necessità stessa della sua azione organica, e per riuscire ad avere una funzione collettiva che superi e dimentichi ogni personalismo ed ogni individualismo, il partito deve distribuire i suoi membri fra le varie funzioni ed attività che formano la sua vita. L'avvicendarsi dei compagni in tali mansioni è un fatto naturale che non può essere guidato con regole analoghe a quelle delle carriere delle burocrazie borghesi. Nel partito non vi sono concorsi nei quali si lotti per raggiungere posizioni più o meno brillanti o più in vista, ma si deve tendere a raggiungere organicamente quello che non è uno scimmiottamento della borghese divisione del lavoro, ma è un naturale adeguamento del complesso ed articolato organo-partito alla sua funzione.
Ben sappiamo che la dialettica storica conduce ogni organismo di lotta a perfezionare i suoi mezzi di offesa impiegando le tecniche in possesso del nemico. Da questo si deduce che nella fase del combattimento armato i comunisti avranno un inquadramento militare con precisi schemi di gerarchie a percorsi unitari che assicureranno il migliore successo dell'azione comune.
Questa verità non deve essere inutilmente scimmiottata in ogni attività anche non combattente del partito. Le vie di trasmissione delle operazioni devono essere univoche, ma questa lezione della burocrazia borghese non ci deve fare dimenticare per quali vie si corrompe e degenera, anche quando viene adottata nelle file di associazioni operaie. La organicità del partito non esige affatto che ogni compagno veda la personificazione della forma partito in un altro compagno specificamente designato a trasmettere disposizioni che vengono dall'alto. Questa trasmissione tra le molecole che compongono l'organo partito ha sempre contemporaneamente la doppia direzione; e la dinamica di ogni unità si integra nella dinamica storica del tutto. Abusare dei formalismi di organizzazione senza una ragione vitale è stato e sarà sempre un difetto ed un pericolo sospetto e stupido.

Da "Complex.Lab" (2007)

"Rete" (network) è una parola sempre più popolare nel mondo della ricerca scientifica ed accademica. La prola è spesso usata per indicare "partnership", collaborazione, alleanza ma anche comunità, gruppo ecc. Può essere usata per descrivere le relazioni che esistono tra gruppi di individui o agenti, e le risorse a cui l'appartenenza a questi gruppi facilita l'accesso. Queste relazioni possono essere investigati in modo empirico. Le reti rappresentano anche un componente importante della letteratura sul capitale sociale. L'analisi delle reti sociali è sempre più popolare nell'epidemiologia di malattie quali l'HIV.

... Teoria che risale al 1700 con i primi studi di Eulero quando pone i fondamenti della descrizione matematica delle reti: la teoria dei grafi. Uno dei primi modelli di reti proposto risale agli anni '60 ed è la rete aleatoria o “democratica” descritta da Erdös & Rényi. Questo tipo di rete descrive una sistema costituito da un numero fissato di nodi che hanno un valore medio di collegamenti, o grado, ben preciso. In questi tipi di reti i vari nodi sono indistinguibili gli uni dagli altri, in quanto hanno praticamente tutti lo stesso grado, da qui il termine reti “democratiche”.Le reti democratiche hanno il pregio di essere semplici nella costruzione, ma non sono adatte a descrivere le reti reali.

Ogni fenomeno reale complesso rapportabile alla teori delle reti ha una struttura e una dinamica che sono la negazione del meccanismo democratico (quindi del principio democratico) Ndr.

... Una rete sociale è una mappa delle relazioni che intercorrono tra gli individui che la rappresentano e nella quale vengono evidenziate le modalità con cui queste relazioni si manifestano, dal rapporto casuale a quello stretto e familiare. Il termine fu coniato per la prima volta nel 1954 da J. A. Barnes. L'analisi delle reti sociali (a volte denominata anche come teoria delle reti) è emersa come una tecnica della moderna sociologia, antropologia, psicologia sociale e studio delle organizzazioni così come argomento di dotte speculazioni teoriche e studi scientifici. Ricerche in campi accademici tra loro diversi hanno dimostrato che le reti sociali operano a vari livelli, a partire da gruppi elementari come la famiglia fino a gruppi complessi come una nazione e che giocano un ruolo critico nel determinare in che modo alcuni problemi possono essere risolti, le organizzazzioni possono essere governate e in che modo e a quale livello i singoli individui possono avere successo nel raggiungimento dei loro obiettivi personali.
(per approfondimenti ulteriori Wikipedia)

... L'analisi dinamica delle reti sociali (DNA - Dynamic Netowrk Analysis ) varia rispetto alla amalisi delle reti o SNA (Social Network Analsys ) per la sua capacità di analizzare e gestire reti complesse con molti nodi e molti link dinamici caratterizzati da un elevato tasso di incertezza. In modo simile alla meccanica quantistica, la DNA può essere vista come una teoria nella quale le relazioni analizzate sono di tipo probabilistico, la misurazione di un nodo finisce con il modificare le sue proprietà, un movimento in una zona della rete si propaga attraverso l'intero sistema ecc. A differenza di quanto avviene nella meccanica quantistica, l'oggetto dell'analisi è dotato di capacità di apprendimento. Studi e ricerche in questo ambito si focalizzano oggi su modelli e sistemi multi-agente, automi in grado di apprendere, approcci meta-matrice per la rappresentazione grafica della topologia della rete.

... Un concetto ed una ipotesi avanzata da Mark Granovetter negli anni 60 per sostenere l'idea che i legami ( relazioni ) deboli siano più importanti delle amicizie forti e radicate. Secondo Granovetter ( La forza dei legami deboli ) la struttura della rete sociale che circonda ogni individuo ( nel libro denominato "Ego" ) è piuttosto generica. La società è strutturata in cluster altamente connessi, o cerchie molto ristrette di amici dove tutti conoscono tutti. Pochi legami con l'esterno mettono in contatto questi gruppi con il mondo. Questi legami svolgono una funzione critica nella comunicazione con l'esterno. Nella ricerca di nuove opportunità di lavoro ad esempio può essere utile uscire fuori dalla cerchia di amicizie note per affidarsi a legami deboli in grado di aprire la comunicazione verso altri cluster o gruppi di individui.

... Descrive il livello e la qualità della relazione dei nodi o attori della rete. Viene valutata secondo tre valori: 1) Distanza tra due attori della rete ( o nodi in un grafo ) calcolata sommando il numero il numero di linee distinte che esistono lungo il percorso più breve che li separa. Definisce il 'grado di separazione' 2) Raggiungibilità per misurare se attori della rete sono collegati, direttamente o indirettamente, a tutti gli altri attori che compongono la rete. Attori che non hanno collegamenti sono chiamati isolati. 3) densità della rete è il numero totale di collegamenti diviso il numero totale di collegamenti possibili. La desnsità è la misura più elementare per analizzare una rete ed è usata anche nella epidemiologia sociale.

... La misura della centralità serve a identificare gli attori della rete più attivi o visibili, quegli attori cioè che sono pesantemente coinvolti in relazioni con altri attori della rete. La Centralità indica un tipo di 'importanza' degli attori in rete, il loro ruolo chiave.

... Riflettendo sulla struttura ottimale di Internet Paul Baran nel 1964 suggerì l'esistenza di tre architetture possibili per una rete come internet: centralizzat, decentralizzata e distribuita. Baran ritenne la prima e la seconda come architetture vulnerabili agli attacchi e suggerì che Internet dovesse essere progettata con un'architettura distribuita, a maglie.

Continuare con la teoria dei sistemi dinamici e complessi, con le analogie verso il mondo biologico (fenomeni autocatalitici), con l'ecologia (nel senso di Bateson) dei gruppi umani, ecc. ecc.

Rivista n°55, luglio 2024

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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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