Divisione e ricomposizione storica del lavoro - prima parte

Marx sulla divisione del lavoro

La differenza tra i gruppi di uomini e la prima manifestazione della divisione del lavoro ha permesso/causato il processo di differenziazione dell'uomo dal resto del regno animale. Il comunismo presente nel processo produttivo capitalistico (socializzazione dell'intera produzione mondiale) non può essere disgiunto dalle estreme conseguenze riguardanti la divisione del lavoro (e sua ricomposizione). Sono qui raccolte tutte le citazioni presenti sui tre libri del Capitale. Ovviamente non sono da pubblicare né da utilizzare tutte. Occorre qualche coraggioso che le raggruppi per tema omogeneo e che le scremi abbondantemente redigendo un testo fedele ad esse (come nel primo capitolo).

...Nell'insieme multiforme dei valori d'uso, o corpi di merci, di vario genere, si esprime un complesso di lavori utili altrettanto multiformi, altrettanto diversi per specie, genere, famiglia, sottospecie, varietà - una divisione sociale del lavoro. Essa è condizione di esistenza della produzione di merci - benché la produzione di merci non sia, inversamente, condizione di esistenza della divisione sociale del lavoro. Nell'antica comunità indiana, il lavoro è socialmente diviso senza che i prodotti divengano merci'.Ovvero, esempio più vicino a noi, in ogni fabbrica il lavoro è sistematicamente diviso, ma questa divisione non è mediata dal fatto che gli operai scambino i loro prodotti individuali. Soltanto prodotti di lauorl' privati auto omi e reciprocamentc l'ndipendenti si stanno di fronte come merci.

Si è visto, dunque, che nel valore d'uso d'ogni merce si an~ nida una certa attività produttiva conforme ad uno scopo, o un certo lavoro utile. I valori d'uso non possono fronteggiarsi come merci, se non contengono lavori utili qualitativamente diversi. In una società i cui prodotti assumono in generale la forma della merce, cioè in una società di produttori di merci, questa differenza qualitativa fra i lavori utili, svolti indipendentemente l'uno dall'altro come faccende private di produttori autonomi, si sviluppa in un sistema pluriarticolato, in una divisione sociale del lavoro.

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...Del resto, all'abito è del tutto indifferente che lo indossi il sarto o il cliente di quest'ultimo. In entrambi i casi, esso opera come valore d'uso. Analogamente, il rapporto fra l'abito e il lavoro che lo produce non varia, in sé e per se, per il fatto che la sartoria divenga una professione particolare, un anello indipendente della divisione sociale del lavoro. Dove il bisogno di vestirsi gliel'ha imposto, l'uomo ha tagliato e cucito per millenni prima che un uomo si trasformasse in sarto. Ma l'esistenza dell'abito, della tela, di ogni elemento della ricchezza materiale non Presente in natura, ha sempre richiesto la mediazione di una speciale attività, produttiva conformemente ad uno scopo, che assimilasse particolari sostanze naturali a particolari bisogni umani. In quanto creatore di valori d'uso, in quanto lavoro utile, il lavoro è dunque per l'uomo una condizione di esistenza a prescindere da ogni forma sociale.

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...Ovvero, è solo attraverso i rapporti in cui lo scambio pone i prodotti del lavoro e, per il loro tramite, i produttori, che i lavori privati si attuano veramente come articolazioni del lavoro sociale complessivo. Perciò, ai produttori, i rapporti sociali fra i loro lavori prl~ vati appaiono come quel che sono, cioè non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro lavori medesimi, ma come rapporti materí'alz' fra persone e rapporti' sociali fra cose.

Solo all'interno del loro scambio i prodotti del lavoro ricevono una oggettività di valore socialmente eguale, distinta dalla loro oggettività d'uso sensibilmente diversa. Questa scissione del prodotto del lavoro in cosa utile e cosa di valore non si compie, in pratica, prima che lo scambio abbia raggiunto un'estensione e una portata sufficienti affinché cose utili siano prodotte per lo scambio, e quindi il carattere di valore degli oggetti sia tenuto in conto già nella loro produzione. Da questo momento in poi, i lavori privati dei produttori assumono realmente un duplice carattere sociale. Da un lato, devono, come determinati lavori utili, soddisfare un bisogno sociale determinato, e così affermarsi come articolazioni del lavoro collettivo, del sistema naturale spontaneo ' della divisione sociale del lavoro; dall'altro, soddisfano i molteplici bisogni dei loro produttori solo in quanto ogni particolare lavoro privato utile è scambiabile con ogni altro genere utile di lavoro privato; e quindi gli equivale. L'eguaglianza di lavori toto coclo diversi può consistere soltanto in un'astrazione dalla loro effettiva ineguaalianza, nella loro riduzione al carattere a tutti comune di dispendio di forza lavoro umana, di lavoro astrattamente umano. Il cervello dei produttori privati rispecchia questo duplice carattere sociale del loro lavori privati soltanto nelle forme che si manifestano nel commercio pratico, nello scambio del prodotti - quindi rispecchia il carattere socialmente utile dei lavori privati nella forma che il prodotto del lavoro dev'essere utile, e utile per altri.

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... La forma naturale del lavoro, la sua particolarità - non la sua generalità, come sulla base della produzione di merci -, è qui la sua forma immediatamente sociale. La corvée è misurata mediante il tempo esattamente come il lavoro produttore di merci, ma ogni servo della gleba sa che quella che spende al servizio del padrone è una quantità data della propria forza lavoro personale. La decima da fornire al prete è più chiara che la benedizione del prete. Comunque si giudichino le maschere con cui gli uomini si presentano l'uno di fronte all'altro su questo palcoscenico, in ogni caso i rapporti sociali fra le persone nei loro lavori appaiono quindi come loro propri rapporti personali, e non travestiti da rapporti sociali fra le cose, fra i prodotti del lavoro.

Per considerare un lavoro comune, cioè immediatamente socializzato, non abbiamo bisogno di risalire alla sua forma naturale spontanea, in cui ci imbattiamo alle soglie della storia di tutti i popoli Civili. Un esempio più vicino a noi è offerto dall'industria ruralmente patriarcale di una famiglia contadina, che produce per il proprio fabbisogno grano, bestiame, filati, tela, capi di vestiario ecc. Questi diversi oggetti si presentano di fronte alla famiglia come prodotti diversi del suo lavoro domestico, ma non si rappresentano l'uno di fronte all'altro come merci. I lavori di genere differente che creano questi prodotti, aratura, allevamento, filatura, tessitura, sartoria ecc., sono nella loro forma naturale funzioni sociali, perché funzioni della famiglia, che possiede la sua propria e naturale divisione del lavoro.

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...Osservando il risultato finale di questo traffico, il tessitore di lino si trova a possedere Bibbia invece di tela; un'altra merce dello stesso valore, ma di diversa utilità, invece della sua merce originaria. Allo stesso modo egli si procura gli altri mezzi di sussistenza e produzione. Dal suo punto di vista, l'intero processo non fa che mediare lo scambio del prodotto del suo lavoro con prodotto di lavoro altrui, lo scambio di prodotti.

Dunque, il processo di scambio della merce si compie nella seguente metamorfosi: Merce - Denaro - Merce M-D-M. Quanto al suo contenuto materiale, il movimento M - M, scambio di merce con merce, è ricambio organico del lavoro sociale, nel cui risultato il processo medesimo si estingue. M -D: prima metamorfosi della merce, o vendita. Il passaggio del valore dal corpo di questa nel corpo dell'oro costituisce, come l'ho chiamato altrove, il salto mortale 2 della merce. _t vero che, se esso non riesce, chi ci rimette non è la merce stessa, ma il suo possessore. La divisione sociale del lavoro rende tanto unilaterale il suo lavoro, quanto multilaterali i suoi bisogni. Appunto perciò il suo prodotto gli serve soltanto come valore di scambl'o. Ma solo nel denaro esso riceve forma equivalente generale socialmente valida; e il denaro è in tasca ad altri. Per cavarnelo, la merce dev'essere prima di tutto valore d'uso per il possessore di denaro, quindi il lavoro speso in essa dev'essere speso in forma socialmente utile; ossia, dar buona prova di sé come articolazione della divisione socí'ale del lavoro. Ma la divisione del lavoro è un organismo di produzione naturale spontaneo, i cui fili sono stati e continuano ad essere tessuti dietro le spalle del produttori di merci. Forse la merce è il prodotto di un nuovo modo di lavoro che pretende di soddisfare un bisogno insorto di recente, o vuole suscitarne di propria iniziativa uno ancor non nato. Forse, ancor ieri funzione fra le molte funzioni di un solo e medesimo produttore di merci, oggi un particolare atto lavorativo si svincola da questo nesso, si rende autonomo, e appunto perciò invia al mercato, come merce indipendente, il suo prodotto parziale. Le circostanze possono essere o non essere mature per questo processo di separazione. Oggi il prodotto soddisfa un bisogno sociale; domani, un genere analogo di prodotti può scacciarlo in tutto o in parte dal suo posto. Se anche un lavoro come quello del nostro tessitore è membro ufficialmente riconosciuto della divisione sociale del lavoro, non per questo è garantito il valore d'uso esattamente delle sue venti braccia di tela. Se il bisogno sociale di tela - ed esso ha, come tutto il resto, la sua misura - è già soddisfatto da tessitori rivali, il pro~ dotto del nostro amico diventa sovrabbondante, superfluo, quindi inutile. A caval donato non si guarda in bocca; ma egli non varca le soolie del mercato per fare regali. Comunque, poniamo che il valore d'uso del suo prodotto dia buona prova di sé, e quindi che dalla merce si ricavi denaro. Ci si chiede: quanto? Si dirà che la risposta è già anticipata nel prezzo della merce, esponente della sua grandezza di valore. Prescindendo da eventuali e meramente soggettivi errori di calcolo del possessore di merci, errori che vengono subito corretti oggettivamente sul mercato, egli deve aver speso nel suo prodotto solo la media socialmente necessaria di tempo di lavoro; il prezzo della merce offerta e quindi soltanto il nome monetario della quantità di lavoro so~ ciale in essa oggettivato. Ma supponiamo che, senza il permesso e all'insaputa del nostro tessitore, le condizioni di produzione della tessitura di tela sancite dagli anni siano entrate in fermento: allora ciò che ieri, senza possibilità di dubbio, era tempo di lavoro socialmente necessario per produrre i braccio di tela, oggi non lo è più, come si affretta a dimostrare con zelo il possessore di denaro mediante le quotazioni dei prezzi di differenti rivali del nostro amico. Per mala sorte di quest'ultimo, c'è più di un tessitore al mondo. Posto infine che ogni pezza di tela sul mercato contenga soltanto il tempo di lavoro socialmente necessario, il totale generale di queste pezze può tuttavia contenere tempo di lavoro speso in eccedenza. Se lo stomaco del mercato non è in grado di assorbire la quantità complessiva di tela al prezzo normale di 2 scellini il braccio, ciò dimostra che una parte eccessiva del tempo di lavoro sociale totale è stata spesa in forma di tessitura: l'effetto è lo stesso che se ogni singolo tessitore avesse impiegato nel suo prodotto individuale più del tempo di lavoro socialmente necessario. Qui vige il detto: acciuffàti insieme, impiccàti insieme. Tutta la tela sul mercato vale come un unico articolo di commercio; ogni pezza, solo come sua parte aliquota. E in realtà, il valore di ogni braccio individuale è anche soltanto la materializzazione della stessa quantità socialmente determinata di lavoro umano di egual genere '.

Come si vede, la merce ama il denaro; ma the course of true Iove never does rtin smooth '. L'articolazione quanti'tativa dell'organismo sociale di produzione, che rappresenta le sue membra disl'ecta ' nel sistema della divisione del lavoro, non è meno spontaneamente casuale che la sua articolazione quall'tativa. Perciò i nostri possessori di merci scoprono che la stessa divisione del lavoro che li rende produttori privati' autonomi, rende indipendenti da essi /'I processo di produzione sociale e i loro rapporti nel suo ambito; che l'indipendenza reciproca delle persone si completa in un sistema di dipendenza materiale onnilaterale delle stesse.

La divisione del lavoro trasforma il prodotto del lavoro in merce, e quindi rende necessaria la sua trasformazione in denaro. Nello stesso tempo, essa rende casuale che questa transustanziazione abbia luogo. Qui, tuttavia, bisogna considerare il fenomeno nella sua purezza, e dunque presupporne lo svolgersi normale. Del resto, se esso avviene comunque, e quindi la merce non è inesitabile, la sua metamorfosi si verifica sempre, per quanto in tale cambiamento di forma si possa registrare una perdita o un'aggiunta anormali di sostanza, di grandezza di valore.

A un possessore di merci, l'oro sostituisce la sua merce; all'altro, la merce sostituisce il suo oro. Il fenomeno tangibile è il mutamento di posto o di mano fra merce ed oro, fra 20 braccia di tela e 2 sterline, cioè il loro scambio. Ma con che cosa si scambia la merce? Con la sua propria forma valore generale. E con che cosa l'oro? Con una forma particolare del suo valore d'uso. Perché l'oro si presenta, di fronte alla tela, come denaro? Perché il prezzo di 2 sterline della tela, il suo nome monetario, la riferisce già all'oro come denaro. La merce si spoglia della sua forma originaria alienandosi, cioè nell'atto in cui il suo valore d'uso attira realmente a sé l'oro che, nel suo prezzo, era soltantoideale. La realizzazione del prezzo, cioè della forma valore soltanto ideale della merce, è perciò nello stesso tempo, e inversamente, realizzazione del valore d'uso soltanto ideale del denaro; la metamorfosi della merce in denaro è, insieme, metamorfosi del denaro in merce. Il processo it ico è un processo bipolare; dal polo del possessore di merci, vendita; dal polo opposto, quello del possessore di denaro, compera. Ovvero, vendita è compera; M - D è contemporaneamente D - M.

Fino a questo punto non conosciamo nessun rapporto economico fra uomini che non sia rapporto fra possessori di merci - un rapporto in cui essi si appropriano il prodotto del lavoro altrui unicamente alienando il prodotto del proprio lavoro.

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Abbiamo considerato prima la genesi della manifattura, poi i suoi elementi semplici, cioè l'operaio parziale e il suo strumento, infine il suo meccanismo complessivo. Tocchiamo ora brevemente il rapporto fra la divisione manifatturiera del lavoro e la divisione sociale del lavoro, che forma la base generale di ogni produzione di merci.

Se si tien d'occhio soltanto il lavoro in quanto tale, si può designare la ripartizione della produzione sociale nei suoi grandi generi - agricoltura, industria ecc. -, come divisione del lavoro i . n generale, la ripartizione di questi generi di produzione in specie e sottospecie come divisione del lavoro in particolare, e la divisione del lavoro all'interno di un'oflìcina come divisione del lavoro in dettaglio.

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La divisione del lavoro all'interno della società e la corrispondente limitazione degli individui a particolari sfere professionali si sviluppano, come la divisione del lavoro all'interno della manifattura, da punti di partenza antitetici. Nell'arnbito di una sola famiglia, e di qui nell'ambito di una stessa tribù, una divisione naturale e spontanea del lavoro si origina dalle differenze di sesso e di età, quindi su base puramente fisiologica, e allarga il proprio materiale via via che la comunità si estende, la popolazione aumenta e, soprattutto, le diverse tribù entrano in conflitto, e l'una soggioga l'altra. D'altra parte, come si è già osservato, lo scambio di prodotti ha inizio nei punti in cui diverse famiglie, tribù, comunità, vengono in contatto, perché, ai primi albori della civiltà, non persone private, ma famiglie, tribù ecc. si affrontano come entità indipendenti. Comunità diverse trovano nel loro ambiente naturale mezzi di produzione e mezzi di sussistenza diversi. Diversi sono quindi i loro modi di vivere e produrre; diversi i loro prodotti. P- questa diversità naturale che, nel contatto fra le comunità, genera lo scambio dei rispettivi prodotti e perciò la graduale trasformazione di tali prodotti in merci. Lo scambio non crea la differenza delle sfere di produzione, ma mette in rapporto reciproco le sfere di produzione già differenziate, e le trasforma in rami, più o meno dipendenti l'uno dall'altro, di una produzione sociale complessiva. Qui la divisione sociale del lavoro nasce dallo scambio tra sfere di produzione originariamente diverse, ma reciprocamente indipendenti. Là dove il punto di partenza è costituito dalla divisione fisiologica del lavoro, gli organi particolari di un tutto immediatamente compatto ed omogeneo si separano l'uno dall'altro, si scompongono - processo di scomposizione al quale lo scambio di merci con comunità straniere dà il principale impulso -, e si autonomizzano fino al punto in cui il legame connettivo fra i diversi lavori è mediato dallo scambio dei prodotti come merci'. Nell'un caso, si ha disautonomizzazione di ciò che prima era autonomo; nell'altro, autonomizzazione di ciò che autonomo non era.

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...La base di ogni divisione del lavoro sviluppata e mediata dallo scambio di merci, è la separazione fra città e campagna. Si può dire che l'intera storia economica della società si riassuma nel movimento di questo antagonismo, sul quale tuttavia qui non ci tratterremo oltre.

Come, per la divisione del lavoro all'interno della manifattura, la premessa materiale è costituita da un certo numero di operai occupati contemporaneamente, cosi per la divisione del lavoro all'interno della società la premessa materiale è data dalla grandezza della popolazione e dalla sua densità, che qui prende il posto dell'agglomerazione nella stessa officina. Questa densità è però qualcosa di relativo. Un paese relativamente poco popolato con mezzi di comunicazione progrediti possiede una popolazione più densa che un paese più popoloso con mezzi di comunicazione antiquati; è cosi che gli Stati settentrionali dell'Unione americana presentano una densità maggiore dell'India.

Poiché la produzione e la circolazione delle merci sono il presupposto generale del modo di produzione capitalistico, la divisione manifatturiera del lavoro esige una divisione del lavoro in seno alla società già maturata fino a un certo grado di sviluppo. Inversamente, la divisione manifatturiera del lavoro sviluppa e moltiplica per riflesso la divisione sociale del lavoro. Con la differenziazione degli strumenti di lavoro, si differenziano sempre più i mestieri che producono tali strumenti a. Se la conduzione di tipo manifatturiero si impadronisce di un mestiere che fino allora formava con altri un tutto unico come mestiere principale o secondario, ed era esercitato dallo stesso produttore, ecco verificarsi subito separazione e autonomizzazione reciproca. Se si impadronisce di un particolare stadio di produzione di una merce, ecco i suoi diversi stadi di produzione trasformarsi in diversi mestieri indipendenti. Si è già accennato che, dove il manufatto è un insieme solo meccanicamente combinato di prodotti parziali, i lavori parziali possono a loro volta rendersi indipendenti come mestieri a sé. Per attuare in modo più completo la divisione del lavoro all'interno di una manifattura, il medesimo ramo di produzione, a seconda della diversità della materia prima e delle forme che la stessa materia prima può ricevere, viene ripartito in manifatture diverse e, in parte, del tutto nuove. Cosi, già nella prima metà del secolo XVIII, nella sola Francia si tessevano oltre ioo tipi diversi di seterie, e, per esempio, ad Avignone era legge che " ogni apprendista deve dedicarsi sempre e soltanto a un unico tipo di fabbricazione e non imparare a produrre nello stesso tempo più generi di manufatti ". La divisione terri'Iorz'ale del lavoro, che confina particolari rami della produzione in particolari distretti di un dato paese, riceve nuovo impulso dalla conduzione di tipo manifatturiero, che sfrutta tutte le particolarità ambientali '. Ricco materiale per la divisione del lavoro all'interno della società forniscono poi al periodo manifatturiero l'ampliamento del mercato mondiale e il sistema coloniale, che appartengono alla cerchia specifica delle sue condizioni generali di esistenza. Non è qui il luogo di mostrare con maggior copia di particolari come essa si impadronisca, oltre che della sfera economica, di ogni altra sfera della società, e getti dovunque le basi di quello sviluppo delle specializzazioni e di quella parcellizzazione dell'uomo, che già strappavano ad A. Ferguson, il maestro di A. Smith, il grido: " Noi creiamo una nazione di iloti, e non ci sono uomini liberi in mezzo a noi"

Tuttavia, malgrado le numerose analogie e i legami reciproci fra la divisione del lavoro all'interno della società e la sua divisione all'interno di un'officina, esse si distinguono non solo per grado, ma per essenza. L'analogia sembra indiscutibile soprattutto là dove un vincolo interno corre fra diverse branche di attività, intrecciando l'una all'altra. L'allevatore di bestiame, per esempio, produce pelli, il conciatore trasforma le pelli in cuoio, il calzolaio trasforma il cuoio in scarpe. Qui, ognuno genera un prodotto graduato, e la forma ultima e finita costituisce il prodotto combinato dei loro particolari lavori. Si aggiungano poi i molteplici iami lavorativi che forniscono i mezzi di produzione all'allevatore, al conciatore e al calzolaio. Ora ci si può immaginare, con A. Smith, che questa divisione sociale del lavoro si distingua da quella manifatturiera solo soggettivamente, cioè per l'osservatore che nel secondo caso abbraccia con un solo sguardo i molteplici lavori parziali radunati nello spazio, mentre nel primo la loro dispersione su vaste superfici e il grande numero di operai addetti ad ogni particolare ramo oscurano il nesso che li unisce '. Ma che cosa crea un nesso fra i lavori indipendenti dell'allevatore, del conciatore e del calzolaio? L'esistenza dei loro prodotti rispettivi come merci'. Che cosa invece caratterizza la divisione manifatturiera del lavoro? Il fatto che l'operaio parziale non produce nessuna mcrce"; che solo il prodotto comune degli operai parziali si trasforma in merce.

La divisione del lavoro all'interno della società è mediata dalla compravendita dei prodotti di diverse branche lavorative; il legame fra i lavori parziali nella manifattura è mediato dalla vendita di diverse forze lavoro allo stesso capitalista, che le impiega come forza lavoro combinata. La divisione manifatturiera del lavoro presuppone laconcentrazione dei mezzi di produzione nelle mani di un capitalista; la divisione sociale del lavoro implica la disseminazione dei mezzi di produzione fra molti produttori di merci reciprocamente indipendenti.

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...Grazie alla separazione del rami della produzione sociale, essi dicono, le merci sono fatte meglio; i diversi impulsi e talenti degli uomini si scelgono corrispondenti sfere d'azione '; senza limitazione, non si può eseguire nulla di notevole in nessun campoc: dunque, la divisione del lavoro migliora il prodotto come anche il produttore. Se, occasionalmente, gli scrittori classici citano l'aumento della massa dei prodotti, lo fanno solo in rapporto alla maggiore abbondanza di valori d'uso; non una sillaba essi dedicano al valore di scambio, alla riduzione di prezzo delle merci.

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...Platone fa derivare la divisione del lavoro in seno alla comunità dalla molteplicità dei bisogni e dalla unilateralità delle attitudini degli individui. Il punto essenziale, per lui, è che l'operaio deve regolarsi secondo il lavoro, non il lavoro secondo l'operaio, come sarebbe inevitabile se questi esercitasse molte arti nello stesso tempo, e quindi l'una o l'altra come attività sussidiaria. " E proprio perché l'opera, io credo, non sta lì ad aspettare il comodo di chi la compie, e l'autore non deve lasciare in tronco la sua opera, come se fosse un passatempo soltanto. - Per forza -. Ma più e meglio e con maggior voglia si opera quand'uno naturalmente si dedichi ad una sola cosa e a tempo opportuno, senza Occuparsi delle altre" (De Republica, Il [trad. it., Utet, Torino, 1970, p. 2701). Analogamente in Tucidide, ibid, cap. I42: " La marineria, come anche qualche altra attività, appartiene a un'arte, e noti è possibile occuparsene a tempo libero, quando capita; anzi, non si può avere un'altra occupazione secondaria oltre a quella " [ trad. it. cit., P- 5 I7] - Se l'opera deve aspettare l'operaio, dice Platone, spesso il punto critico della produzione sarà lasciato passare e l'opera ne soffrirà irrimediabilmente, " gpyoj xutpòv 8L6?,,j,rat ". La stessa idea platonica riafflora nella protesta dei candeggiatori inglesi contro la clausola della legge sulle fabbriche che fissa una data ora dei pasti per tutti gli operai. La loro industria, essi dicono, non può regolarsi secondo gli operai, perché " delle diverse operazioni del lavaggio, della manganatura, del candeggio, della tintura ecc., nessuna può essere interrotta a un certo punto senza pericolo di guasti... L'imposizione della stessa ora dei pasti per tutti gli operai può, in date occasioni, mettere in pericolo beni preziosi, per il fatto che il processo lavorativo non viene portato a termine ". Le platonisme o@ va-t-11 se nicher! [Dove va ad annidarsi, il platonismo!]).

Senofonte narra che in Persia le " vivande della mensa regia " offerte in dono dal sovrano erano non soltanto tenute in alta stima, ma molto più squisite degli altri cibi. " E che la cosa sia così, non c'è davvero da meravigliarsi: a quel modo, infatti, che anche i prodotti delle altre arti sono, nelle grandi città, più egregiamente lavorati, così anche i cibi sono, alla corte, preparati con molto maggior squisitezza. Giacch--' nelle città piccole lo stesso artigiano fabbrica letto, porta, aratro, mensa; spesso questo stesso edifica pure la casa; ed è contento se in tal modo trova pur clienti bastanti a dargli il vitto; però è impossibile che un artefice che fa di tutto faccia ogni cosa bene. Nelle grandi città, invece, per esserci molti a richiedere ogni singolo prodotto, basta a ciascuno una sola arte a procurargli da vivere, spesso anche neppure una tutta intiera; ma uno fa solo scarpe da uomo, l'altro solo da donna: in qualche luogo c'è chi vive solo cucendo calzari, e chi solo ritagliandoli, chi taglia solo tomaie [secondo altri traduttori, " abiti "] e chi infine non lavora nessuna di queste parti, ma solo le unisce insieme. Colui quindi che attende sempre solo ad un lavoro di breve durata, è forza che sappia anche compirlo perfettamente. Ora questa stessa cosa avviene anche in ciò che riguarda il VittO " (XEN., Cyrop., libro Vlll, cap. 2, [Ciropedia, Signorellil, Milano, i936, libro Vlll, PP. 33-341). Qui si considera soltanto la buona qualità del valore d'uso che si deve ottenere, benché Senofonte sappia già che il grado di divisione del lavoro dipende dall'ampiezza del mercato.

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...La Repubblica di Platone, in quanto erige la divisione del lavoro a principio formativo dello Stato, non è che l'idealizzazione ameni .ese del si.stema egi .zi.ano delle caste,cosi come, d'altronde, l'Egitto è preso a modello di paese industriale da altri suoi contemporanei, per esempio Isocrate a, e questo significato conserva ancora per i Greci dell'epoca imperiale romana.

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Busiride... avendo suddiviso " (i suoi sudditi) " in classi... ordinò che le medesime persone si occupassero sempre delle medesime attività, sapendo che quelli che mutano genere di lavoro, neppure in uno raggiungono la precisione, invece quelli che continuamente si dedicano alla stessa attività, compiono il proprio lavoro alla perfezione. Pertanto, anche riguardo alle arti troveremo che gli Egiziani sono superiori a quelli che si occupano delle medesime attività, più di quanto gli altri artigiani siano superiori agli inesperti; e che riguardo all'ordinamento con il quale conservano il potere regale e le altre istituzioni politiche, si comportano cosi bene che quei filosofi che vogliono trattare tale argomento e che godono grandissima fama, prescelgono l'ordinamento egiziano " (ISOCRATE, Busiris, [Busz'ride, in Orazl'oni', Utet, Torino, i965, PP. 355~356 1).

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...Durante il periodo manifatturiero in senso proprio, cioè il periodo in cui la manifattura è la forma dominante del modo di produzione capitalistico, la piena estrinsecazione delle sue tendenze specifiche urta contro multiformi ostacoli. Sebbene, come si è visto, accanto all'ordinamento gerarchico degli operai essa generi una differenziazione semplice fra operai abili e operai non abili, il numero di questi ultimi resta di molto limitato dalla influenza soverchiante dei primi.

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...Da un lato il macchinismo provoca un aumento diretto delle materie prime - la cotton gin per esempi . o, ha accresciuto la produzione di cotone - dall'altro il minor prezzo del prodotto meccanico e il rivoluzionamento dei mezzi di comunicazione e trasporto costituiscono nuove armi per la conquista di mercati stranieri. Mandando in rovina la loro produzione di tipo artigianale, il sistema meccanico trasforma questi mercati in campi di produzione delle sue materie prime, come per esempio l'India è stata costretta a produrre cotone, lana, canapa, juta, indaco ecc. per l'Inghilterra '. La costante " messa in soprannumero " degli operai nei paesi della grande industria stimola un'artificiale emigrazione e colonizzazione di paesi stranieri e la trasformazione di questi in terreni di coltura di materie prime per la metropoli, come l'Australia è stata convertita in un vivaio di lane c. Si genera una nuova divisione internazionale del lavoro corrispondente alle sedi principali dell'industria meccanizzata, per cui una parte del pianeta si trasforma in campo di produzione prevalentemente agricola per l'altra parte quale campo di produzione prevalentemente industriale. Questa rivoluzione si collega a trasformazioni radicali nell'agricoltura, di cui non è ancora il luogo di discutere.

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...Una volta generalizzatasi la produzione mediante lavoro salariato, la forma generale della produzione non può che essere la produzione di merci; e questa, in quanto si sia Generalizzata, presuppone a sua volta una crescente divisione del lavoro sociale, cioè una sempre maggiore specializzazione del prodotto fabbricato come merce da un dato capitalista, una sempre più accentuata scissione di processi di produzione complementari in processi di produzione autonomizzati. Ne segue che, nella stessa misura in cui si sviluppa D-L, si sviluppa anche D-P@; cioè nella stessa misura la produzione dei mezzi di produzione si scinde da quella della merce di cui essi sono i mezzi di produzione, e questi stanno di fronte ad ogni produttore di merci come merci ch'egli non produce ma compra in vista del suo determinato processo di produzione. Essi provengono da rami di produzione completamente distinti dal suo, esercitati in maniera indipendente, e passano nel suo ramo di produzione come merci; quindi, egli deve acquistarli. Le condizioni oggettive della produzione di n-lerci gli si contrappongorio sempre più come prodotti di altri produttori di merci, come merci. E, nella stessa rr,@isura, il capitalista deve presentarsi come capitalista monetario; ovvero, si estende la scala su cui il suo capitale deve funzionare come capitale denaro.

D'altra parte, le stesse circostanze che generano la condizione fondamentale della produzione capitalistica - l'esistenza di una classe di lavoratori salariati - spingoiìo al trapasso di ogni produzione di merci in produzione capitalistica di merci. Via via che questa si sviluppa, esercita effetti disgreganti e dissolventi su ogni forma di produzione anteriore, che, avendo soprattutto di mira i bisogni personali immediati, non trasforma in merce che l'eccedenza del prodotto.

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...La natura della funzione non cambia né per l'estensione che essa prende per il fatto di concentrarsi nelle mani del produttore capitalistico di merci e di apparire come funzione non di numerosi piccoli produttori di merci, ma di un capitalista, come funzione all'interno di un processo di produzione su scala di una certa grandezza, né per il suo distacco dalle funzioni produttive di cui formava un accessorio e per il suo autonomizzarsi come funzione di agenti particolari, adibiti esclusivamente ad essa.

La divisione del lavoro, l'autonomizzarsi di una funzione, non li rende creatori di prodotto e di valore, se non sono tali in sé, quindi prima d'essersi autonomizzati. Il capitalista che investe ex novo il suo capitale, deve investirne una parte nell'acquisto di un contabile, ecc., e in mezzi di contabilità. Se il suo capitale è già in funzione, se è già impegnato nel suo costante processo di riproduzione, egli dovrà, mediante conversione in denaro, ritrasformare costantemente una parte del prodotto merce in contabile, commesso e simili.

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...L'esecuzione su vasta scala di opere a periodo di lavoro notevolmente lungo appartiene integralmente in proprio alla produzione capitalistica solo allorquando la concentrazione del capitale è già molto avanzata e, d'altra parte, lo sviluppo del sistema del credito offre al capitalista il comodo espediente di anticipare, e quindi anche rischiare, capitale non proprio, ma altrui. Si capisce da sé, tuttavia, che l'appartenenza o meno del capitale anticipato nella produzione a chi lo impiega, non influisce in alcun modo sulla velocità di rotazione e sul tempo di rotazione. Le circostanze che, come la cooperazione, la divisione del lavoro, l'impiego di macchine, aumentano il prodotto della singola giornata lavorativa, abbreviano nello stesso tempo i periodi di lavoro per atti di produzione formanti un tutto unico.

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...Ciò che qui torna a beneficio del capitalista rappresenta a sua volta un guadagno che è il prodotto del lavoro sociale, anche se non del lavoro degli operai da lui stesso direttamente sfruttati. Quello sviluppo della forza produttiva si riconduce sempre, in ultima analisi, al carattere sociale del lavoro messo in azione; alla divisione del lavoro entro la società; allo sviluppo del lavoro intellettuale, soprattutto delle scienze naturali. Ciò che il capitalista utilizza, qui, sono i vantaggi dell'intero sistema della divisione sociale del lavoro. t grazie allo sviluppo della produttività del lavoro nel suo reparto esterno, il reparto dal quale egli riceve i mezzi di produzione, che qui il valore del capitale costante impiegato dal capitalista subisce relativamente un ribasso; quindi aumenta il saggio di profitto.

Il saggio di profitto cresce inoltre grazie all'economia non nel lavoro che produce il capitale costante, ma nell'impiego di quest'ultimo. La concentrazione degli operai e la loro cooperazione su grande scala permettono, da un lato, di risparmiare in capitale costante. I medesimi edifici, impianti di riscaldamento e illuminazione, etc., costano relativamente di meno per un livello di produzione elevato che per uno modesto. Lo stesso dicasi delle macchine motrici e delle macchine operatrici. Pur crescendo in assoluto, il loro valore decresce relativamente, cioè in rapporto al progressivo estendersi della produzione e alla gran~ dezza o del capitale costante, o della massa di forza lavoro posta in moto. L'economia realizzata da un capitale nel proprio ramo di produzione consiste anzitutto,e direttamente in economia di lavoro, cioè in riduzione del lavoro pagato del propri operai; l'economia citata più sopra, invece, consiste nel perseguire l'ap~ propriazione maggiore possibile di lavoro altrui non retribuito nel modo il più possibile economico, cioè, sulla scala di produzione data, al costo più basso possibile. Nella misura in cui questa economia non si basa sul già citato sfruttamento della produttività del lavoro sociale impiegato nella produzione del capitale costante, ma sul risparmio nell'impiego dello stesso capitale costante, essa scaturisce direttamente dalla cooperazione e dalla forma sociale del lavoro entro il ramo di produzione dato, oppure dalla produzione di macchine, etc., su una scala tale per cui il loro valore non cresce nello stesso grado del loro valore d'uso.

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...Se la società vuole che dati bisogni vengano soddisfatti e che a tal fine si producano determinati articoli, deve pagarli. In realtà, poiché in regime di produzione di merci si presuppone che esista divisione del lavoro, la società compra quegli articoli destinando alla loro produzione una parte del proprio tempo di lavoro disponibile; li compra, dunque, con una determinata quantità del tempo di lavoro del quale quella data società può disporre. La parte della società alla quale, per effetto della divisione del lavoro, tocca di dedicare il proprio lavoro alla produzione di quei dati articoli, deve ricevere dal lavoro sociale un equivalente rappresentato negli articoli che ne soddisfano i bisogni. Ma fra la quantità complessiva di lavoro sociale usata per produrre un articolo sociale, cioè fra l'aliquota della forza lavoro complessiva che la società destina alla produzione di quell'articolo, quindi fra il volume che tale produzione occupa nella produzione totale, da una parte, e la misura in cui la società richiede che venga soddisfatto il bisogno appagato da quell'articolo, dall'altra, non esiste un legame necessario; esiste solo un legame accidentale. Sebbene ogni articolo singolo, ovvero ogni determinata quantità di un genere di merci, possa contenere soltanto il lavoro sociale richiesto per la sua produzione e, visto sotto questo profilo, il valore di mercato di tutto quel genere di merci rappresenti soltanto lavoro necessario, se la merce determinata è stata prodotta in una misura eccedente il fabbisogno sociale del iúomento una parte del tempo di lavoro sociale risulterà sprecata e la massa di merci prodotte rappresenterà sul mercato una quantità di lavoro sociale assa' minore di quella in essa realmente contenuta. (Solo sottoponendo la produzione al proprio effettivo, predeterminante controllo, la società crea il legame fra il volume del tempo di lavoro sociale impiegato nella produzione di determinati articoli e il volume del bisogno sociale che si tratta di soddisfare con questi articoli). Ne segue che queste merci devono essere vendute al disotto del proprio valore di mercato, e può accadere addirittura che una parte di esse risulti invendibile. - Dicasi l'opposto se il volume del lavoro sociale dedicato alla produzione di un dato genere di merci è troppo piccolo per il volume del particolare bisogno sociale che esso deve soddisfare.

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...In paesi di diverso grado di sviluppo della produzione capitalistica, quindi di composizione organica del capitale differente, il saggio di plusvalore (uno dei fattori che determinano il saggio di profitto) può essere più alto nel paese in cui la gior~ nata lavorativa normale è più breve, che in quello in cui essa è più lunga. Primo: se la giornata lavorativa inglese di 10 ore, a causa della sua più elevata intensità, è eguale ad una giornata lavorativa austriaca d' e, a pari divisione della giornata I I4 or i lavorativa, 5 ore di pluslavoro là possono rappresentare sul mercato mondiale un valore superiore, che 7 ore qui. Ma, secondo, là può costituire pluslavoro una parte della giornata lavorativa più grande che qui.

La legge del saggio decrescente di profitto, in cui si esprime lo stesso o perfino un crescente saggio di plusvalore, significa in altre parole che, presa una quantità determinata, quale che essa sia, del capitale sociale medio, per es. un capitale di ioo, una parte sempre maggiore di esso si rappresenta in mezzi di lavoro ed una sempre minore in lavoro vivo. Poiché dunque la massa complessiva del lavoro vivo applicato al mezzi di pro~ duzione decresce in rapporto al valore di questi stessi mezzi di produzione, anche il lavoro non retribuito e la parte di valore in cui esso si rappresenta decrescono relativamente al valore del capitale totale anticipato. Ovvero: una aliquota sempre minore del capitale totale sborsato si converte in lavoro vivo, quindi questo capitale totale succhia, proporzionalmente alla sua grandezza, sempre meno pluslavoro, per quanto possa crescere nello stesso tempo il rapporto fra la parte non retribuita del lavoro impiegato e quella retribuita. La diminuzione proporzionale del capitale variabile e l'aumento proporzionale del capitale costante, benché entrambe le parti crescano in assoluto, non è, come si è detto, che un'altra espressione dell'aumentata produttività del lavoro.

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...Il fatto che il capitale merce compia la sua definitiva conversione in denaro sul mercato, dunque la sua prima metamorfosi, la funzione che gli compete in quanto capitale merce, nelle mani di un agente diverso dal suo produttore, e che questa funzione del capitale merce sia mediata dall'operazione del commerciante, dai suoi atti di compravendita, cosicché questa operazione si configura come attività specifica, distinta dalle altre funzioni del capitale industriale e, quindi, autonomizzata. t- una forma particolare della divisione sociale del lavoro, per cui una parte della funzione che altrimenti deve svolgersi in una fase particolare del processo di riproduzione del capitale, qui della circolazione, appare come funzione esclusiva di un agente specifico della circolazione, distinto dal produttore.

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...Vendute che abbia al commerciante per 3.000 Lst. le sue 30.ooo braccia di tela, con il denaro ricavato il produttore compra i mezzi di produzione necessari, e il suo capitale rientra nel processo di produzione; il suo processo di produzione continua, prosegue ininterrotto. Per lui, la conversione della sua merce in denaro è un fatto compiuto. Ma, come si è visto, per la tela la conversione è ancora di là da venire. Essa non è ancora definitivamente riconvertita in denaro, non è ancora entrata come valore d'uso o nel consumo produttivo o nel consumo individuale. Il commerciante in telerie rappresenta ora sul mercato lo stesso capitale merce che vi rappresentava in origine il produttore di telerie. Per costui il processo della metamorfosi è abbreviato, ma solo per proseguire in mano al commerciante.

Se il produttore di tela dovesse aspettare che la sua tela cessi veramente d'essere merce, passi nelle mani del compratore ultimo, cioè del consumatore produttivo o individuale, il suo processo di riproduzione sarebbe interrotto. Oppure, per non interromperlo, egli dovrebbe limitare le sue operazioni, convertire in filato, carbone, lavoro, etc., insomma negli elementi del capitale produttivo, una parte minore della sua tela e trattenerne una maggiore come riserva monetaria, affinché, mentre una parte del suo capitale si trova come merce sul mercato, un'altra possa continuare il processo di produzione, in modo che, quando questa accede al mercato come merce, quella rifluisca in forma denaro. L'inserimento del commerciante non elimina questa ripartizione del suo capitale. Ma, in sua assenza, la parte del capitale di circolazione esistente sotto forma di riserva monetaria dovrebbe essere sempre maggiore della parte occupata sotto forma di capitale produttivo, e la scala della riproduzione essere corrispondentemente limitata. Invece il produttore può ora impiegare costantemente una parte maggiore del suo capitale nel vero e proprio processo di produzione, e una minore come riserva monetaria.

In compenso, però, un'altra parte del capitale sociale, nella forma del capitale commerciale, si trova costantemente entro la sfera di circolazione, è sempre utilizzata soltanto per acquistare e vendere merci. Sembra quindi che si sia verificato soltanto un cambiamento nelle persone che detengono questo capitale.

Se il commerciante, invece di comprare tela per 3.ooo Lst. nell'intento di rivenderla, impiegasse in modo produttivo queste stesse 3-Ooo Lst., il capitale produttivo della società ne risulterebbe accresciuto. Ma allora il produttore di telerie dovrebbe immobilizzare come riserva monetaria una parte maaaiore del suo capitale, e altrettanto dovrebbe fare il commerciante ora trasformato in capitalista industriale. D'altra parte, se il commerciante resta commerciante, il produttore risparmia tempo nel vendere e può dedicarlo alla sorveglianza del processo di produzione, mentre il commerciante deve consacrare tutto il suo tempo alla vendita.

Se il capitale commerciale non supera le sue necessarie proporzioni, si deve ammettere che:

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1) in seguito alla divisione del lavoro, il capitale che si occupa esclusivamente di coni rare e vendere (ed esso comprende, oltre al denaro per l'acquisto di merci, il denaro da spendere nel lavoro necessario per l'esercizio dell'impresa commerciale, nel capitale costante del commerciante, magazzini, trasporto etc.) è minore di quel che sarebbe se il capitalista industriale dovesse accollarsi tutta la parte commerciale della sua impresa;

2) poiché il commerciante si occupa esclusivamente di questa attività, non solo per il produttore la sua merce si converte più rapidamente in denaro, ma lo stesso capitale merce compie prima la sua metamorfosi di quanto non avverrebbe in mano al produttore;

3) se si considera il capitale commerciale complessivo in rapporto al capitale industriale, una rotazione del capitale commerciale può rappresentare non solo le rotazioni di molti capitali in una sfera di produzione, ma le rotazioni di tutta una serie di capitali in diverse sfere di produzione. Si ha il primo caso se, per es., dopo aver comprato con le sue 3.ooo Lst. il prodotto d't un fabbricante in telerie, e averlo rivenduto prima che il medesimo produttore getti di nuovo sul mercato la medesima quantità di merci, il commerciante in telerie acquista il prodotto di un altro o di più produttori di tela e lo rivende, mediando in tal modo le rotazioni di diversi capitali nella stessa sfera di produzione. Si avrebbe il secondo se il commerciante, per es., dopo aver venduto la tela, acquista della seta; dunque media la rotazione di un capitale in un'altra sfera di produzione.

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...Corrispondere con io coni~ mercianti al minuto costa io volte- di più in corrispondenza, carta, affrancatura, che corrispondere con uno all'ingrosso. La limitata divisione del lavoro nell'azienda commerciale, in cui uno tiene la contabilità, l'altro la cassa, un altro ancora sbriga la corrispondenza, questo compra, quello vende, quell'altro viaggia, etc., risparmia tempo di lavoro in quantità enormi, cosicché il numero dei lavoratori impiegati nel commercio all'ingrosso non sta in alcun rapporto con la grandezza relativa dell'impresa. E questo perché, nel commercio assai più che nell'industria, la stessa funzione, espletata in grande o in piccolo, costa un eguale tempo di lavoro. Perciò, anche, storicamente la concentrazione si manifesta prima nell'azienda cotnmerciale che nell'offìci.na industriale. Consideriamo inoltre le spese in capitale costante. Cento piccoli empori e cento piccoli magazzini costano infinitamente di più che un grande emporio e un grande magazzino, etc.

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...Il medesimo capitale commerciale, se ripartito fra molti piccoli commercianti, a causa di questa polverizzazione richiederebbe un numero molto maggiore di operai per mediare le sue funzioni; per far ruotare lo stesso capitale merce sarebbe inoltre necessario un capitale commerciale più grande.

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...Il vero e proprio lavoratore del commercio appartiene alla categoria meglio retribuita del salariati, a coloro il cui lavoro è lavoro qualificato, superiore alla media. Ma, nel proce~ dere del modo di produzione capitalistico, il salario ha la tendenza a diminuire, anche in rapporto al lavoro medio. E ciò in parte a causa della divisione del lavoro entro l'ufficio (bisogna quindi produrre uno sviluppo soltanto unilaterale della capacità di lavoro, e le spese di questa produzione in parte non costano nulla al capitalista, mentre l'abilità del lavoratore si sviluppa con la stessa funzione, e tanto più rapidamente, quanto più, con la divisione del lavoro, esso diventa unilaterale); in secondo luogo perché con il progresso della scienza e dell'istruzione popolare, la formazione professionale, la conoscenza del commercio e delle lingue etc., vengono riprodotte tanto più rapidamente, con tanto maggior facilità, su scala tanto più generale, e tanto pili a buon mercato, quanto più il modo di produzione capitalistico orienta in senso pratico i metodi di insegnamento, e cosi via. La generalizzazione dell'istruzione popolare permette di reclutare questo genere di lavoratori da classi che prima ne erano escluse, che erano abituate a un genere di vita inferiore. In tal modo essa accresce l'afflusso e perciò la concorrenza. Ne segue che, svllup~ pandosi la produzione capitalistica, con poche eccezioni la forza lavoro di questa gente si svaluta; il loro salario cala, mentre la loro capacità di lavoro cresce. Il capitalista aumenta il numero di questi lavoratori, se c'è da realizzare più valore e profitto. L'aumento di questo lavoro è sempre effetto, mai causa dell'aumento del plusvalore.

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...Come risulta da quanto finora svolto, nulla può essere più assurdo che considerare il capitale commerciale, sia nella forma del capitale per il commercio di merci, sia in quella del capitale per il commercio di denaro, come un genere particolare di capitale industriale, un po' come l'industria mineraria, l'aoricoltura, l'allevamento del bestiame, la manifattura, l'industria del trasporti etc. costituiscono delle diramazioni causate dalla divisione sociale del lavoro, e quindi delle sfere d'investimento particolari, del capitale industriale. Già la semplice osservazione che ogni capitale industriale, mentre si trova nella fase circolatoria del suo processo di riproduzione, assolve come capitale merce e capitale denaro esattamente le stesse funzioni che appaiono come funzioni esclusive del capitale commerciale nelle sue due forme, dovrebbe rendere impossibile questa grossolana concezione. Inversamente, nel capitale per il commercio di merci e nel capitale per il commercio di denaro le differenze fra il capitale industriale come produttivo e lo stesso capitale nella sfera di circolazione sono autonomizzate, in quanto le forme e funzioni determinate qui assunte temporancamente dal capitale appaiono come forme e funzioni indipendenti di una parte separata del capitale, e vi sono esclusivamente relegate. Forma modificata del capitale industriale, e differenze materiali, derivanti dalla natura dei singoli rami di industria, fra capitali produttivi in diversi investimenti di produzione, sono cose toto coelo diverse.

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La divisione del lavoro ha per effetto che queste operazioni tecniche, determinate dal funzionamento del capitale, vengano eseguite come funzioni esclusive, per l'intera classe capitalistica, da una categoria di agenti o di capitalisti, ovvero che si concentrino nelle loro mani. V'è qui, come per il capitale commerciale, divisione del lavoro in due sensi: nasce un particolare ramo d'affari che, operando al fini del meccanismo monetario dell'intera classe, viene concentrato si esercita su larga scala; all'interno di questo particolare ramo d'affari si ha poi di nuovo divisione del lavoro, sia mediante scissione in più rami reciprocamente indipendenti, sia mediante sviluppo dell'azienda nell'ambito di questi rami (grandi uffici, numerosi contabili e cassieri, divisione del lavoro spinta all'estremo). Gli esborsi, gli incassi, i saldi, la tenuta di conti correnti, la custodia del denaro, etc., separati dagli atti che rendono indispensabili queste operazioni tecniche, fanno del capitale anticipato per queste funzioni un capitale per il commercio di denaro.

Le diverse operazioni dal cui autonomizzarsi in attività particolari si origina il commercio di denaro nascono dalle diverse determinazioni del denaro stesso e dalle sue funzioni, al cui adempimento deve quindi soggiacere anche il capitale nella forma di capitale denaro.

Ho già avuto occasione a di mostrare come l'istituto del denaro, con tutto ciò che vi si collega, abbia la sua prima origine nello scambio di prodotti fra comunità diverse.

E' perciò dagli scambi internazionali che si svolge dapprima il commercio di denaro, il traffico con la merce denaro. Non appena esistono diverse monete locali, i commercianti che procedono ad acquisti su mercati stranieri si trovano o a dover convertire le monete del loro paese nelle monete locali, e viceversa, o a dover scambiare differenti monete con argento od oro puro, non coniato, come denaro mondiale. Di qui le operazioni cambiarie, che vanno considerate come una delle basi naturali del moderno commercio del denaro.

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Lo sviluppo del commercio e del capitale commerciale stimola dovunque l'orientamento della produzione verso il valore di scambio, ne aumenta il volume, la rende più varia e cosmopolita, trasforma il denaro in denaro mondiale. Perciò il commercio agisce dovunque come fattore più o meno dissolvente sulle organizzazioni della produzione che trova già costituite, e che, in tutte le loro forme diverse, sono essenzialmente orientate verso il valore d'uso. Ma fino a che punto esso provochi la disgregazione dei vecchi modi di produzione dipende, in primo luogo, dalla loro stabilità e articolazione interna. E dove sfoci questo processo di disgregazione, cioè quale nuovo modo di produzione subentri al vecchio, dipende non dal commercio, ma dal carattere del vecchio modo di produzione stesso. Nel mondo antico, l'azione del commercio e lo sviluppo del capitale commerciale sfociano sempre nell'economia schiavistica; a seconda del punto di partenza, anche solo nella metamorfosi di un sistema schiavistico patriarcale, orientato verso la produzione di mezzi di sussistenza immediati, in un sistema schiavistico orientato verso la produzione di plusvalore. Nel mondo moderno, invece, mettono sempre capo al modo di produzione capitalistico. Ne segue che a determinare questi stessi risultati furono circostanze non riducibili al solo sviluppo del capitale commerciale.

E' nella natura della cosa che, non appena l'industria cittadina in quanto tale si separa dall'agricola, i suoi prodotti siano fin dal principio merci e che la loro vendita abbisogni, quindi, della mediazione del commercio. In questi limiti, il fatto che il commercio si appoggi allo sviluppo delle città e che, d'altra parte, questo ultimo sia condizionato dal commercio, si capisce da sé. Ma fino a che punto lo sviluppo industriale proceda con ciò di pari passo, dipende da altre circostanze. L'antica Roma sviluppa il capitale commerciale, già nella tarda epoca repubblicana, a un punto al quale nell'antichità esso non si era mai spinto, senza che vi sia alcun progresso industriale, mentre a Corinto e in altre città greche dell'Europa e dell'Asia Minore un forte sviluppo dei mestieri accompagna la fioritura del commercio. D'altro lato, in antitesi diretta allo sviluppo delle città ed alle sue condizioni, spesso lo spirito mercantile e lo sviluppo del capitale commerciale sono propri di popoli non sedentari, nomadi.

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Questa produttività naturale spontanea del lavoro agricolo (compreso il semplice lavoro di raccolta, caccia, pesca, allevamento del bestiame) è la base di ogni pluslavoro, così come ogni lavoro è rivolto prima di tutto e originariamente all'appropriazione e produzione del cibo. (L'animale dà nello stesso tempo le pelli per scaldarsi nei climi freddi; inoltre, abitazioni cavernicole, ecc.).

La stessa confusione tra plusprodotto e rendita fondiaria si trova espressa in altro modo negli scritti del signor Dove. In origine, lavoro agricolo e lavoro industriale non sono separati; il secondo si collega al primo. Il pluslavoro e il plusprodotto della tribù che coltiva la terra, della comunità domestica o famiglia, abbracciano sia il lavoro agricolo che il lavoro industriale. I due vanno di pari passo. Caccia, pesca, coltivazione del suolo, sono impossibili senza strumenti adatti. La tessitura, la filatura, ecc. vengono dapprima praticate come lavori agricoli accessori.

Abbiamo mostrato in precedenza che, come il lavoro del singolo operaio si suddivide in lavoro necessario e pluslavoro, così si può suddividere il lavoro complessivo della classe operaia in modo che la parte che produce l'insieme dei mezzi di sussistenza per la classe lavoratrice (inclusi i mezzi di produzione a tale scopo richiesti), esegua il lavoro necessario per l'intera società: il lavoro compiuto da tutta la parte restante della classe operaia può considerarsi pluslavoro. Ma il lavoro necessario non comprende soltanto il lavoro agricolo, bensi anche il lavoro che produce tutti gli altri prodotti i quali entrano necessariamente nel consumo medio del lavoratore. Inoltre, dal punto di vista della società, gli uni compiono unicamente lavoro necessario, perché gli altri compiono unicamente pluslavoro, e viceversa. Non è, questa, che divisione del lavoro fra essi. Non diversamente stanno le cose per quanto riguarda la divisione del lavoro fra operai agricoli e operai industriali in genere. Al carattere puramente industriale del lavoro da un lato, corrisponde il carattere puramente agricolo del lavoro dall'altro. Questo lavoro puramente agricolo non è affatto naturale e spontaneo, ma e esso stesso un prodotto, e un prodotto assai moderno, per nulla conseguito dappertutto, dell'evoluzione sociale, e corrisponde ad uno stadio ben determinato della produzione. Come una parte del lavoro agricolo si materializza in prodotti che o servono soltanto al lusso, o costituiscono materie prime per certe industrie, ma non entrano affatto nell'alimentazione, non parliamo poi nell'alimentazione delle masse, cosi, d'altro lato, una parte del lavoro industriale si materializza in prodotti che servono da mezzi di consumo necessari sia ai lavoratori agricoli, sia a quelli non agricoli. E' un errore concepire questo lavoro industriale - dal punto di vista della società - come pluslavoro. Esso è in parte lavoro necessario tanto quanto la frazione ne~ cessaria del lavoro agricolo. t anche soltanto forma autonomizzata di una parte del lavoro industriale un tempo legato in modo naturale e spontaneo al lavoro agricolo, necessario conipletamento reciproco del lavoro puramente agricolo da esso ora separato. (Da un punto di vista puramente materiale' per es- 500 tessitori meccanici producono in misura molto superiore plustessuti, cioè più tessuti di quanti non ne siano richiesti per. il loro abbigliamento)-

Nel considerare le forme fenomeniche della rendita fondiaria, cioè del canone di affitto che si paga per l'uso del suolo, a scopi sia produttivi che di consumo, sotto il titolo di rendita fondiaria, bisogna infine tener presente che il prezzo di cose che in sé e per sé non hanno alcun valore, che cioè non sono il prodotto del lavoro (per es. la terra), o che, quanto meno, non possono essere riprodotte mediante lavoro (per es. le antichità, le opere d'arte di determinati maestri, ecc.), può essere stabilito da combinazioni in alto grado fortuite. Per vendere una cosa, non occorre se non che essa sia monopolizzabile ed alienabile.

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La fertilità della natura costituisce qui un confine, un punto di partenza, una base. A sua volta, lo sviluppo della forza produttiva sociale ne costituisce l'altra. A un'analisi più approfondita, poiché la produzione delle derrate alimentari è in assoluto la condizione prima della vita e di ogni produzione in generale, risulta che il lavoro impiegato in questa produzione, dunque il lavoro agricolo nel senso economico più vasto, dev'essere abbastanza produttivo perché non tutto il tempo di lavoro disponibile sia assorbito dalla produzione di derrate alimentari per i produttori immediati; dunque, perché sia possibile pluslavoro agricolo e, di conseguenza, plusprodotto agricolo. Precisando ulteriormente, occorre che il lavoro agricolo totale - lavoro necessario e pluslavoro - di una parte della società sia sufficiente a produrre le derrate alimentari necessarie per l'intera società, dunque anche per i lavoratori non agricoli; che perciò sia possibile tanto la grande divisione del lavoro fra agricoltori e industriali, quanto quella fra agricoltori che producono alimenti e agricoltori che producono materie prime. Sebbene il lavoro dei produttori immediati di alimenti per se stessi si suddivida in lavoro necessario e pluslavoro, in rapporto alla società esso rappresenta solo il lavoro necessario richiesto per la produzione di derrate alimentari. Ciò vale, del resto, esattamente per ogni divisione del lavoro all'interno della società nel suo complesso, a differenza della divisione del lavoro all'interno della singola officina. E' il lavoro richiesto per produrre determinati articoli - per soddisfare il particolare bisogno che ha la società di particolari beni. Se questa divisione è proporzionale, i prodotti dei diversi gruppi si vendono ai loro valori (nel corso ulteriore dello sviluppo, al loro prezzi di produzione), oppure a prezzi che, determinati da leggi generali, sono modificazioni di questi valori e prezzi di produzione. E' così, in realtà, che la legge del valore si afferma in rapporto non alle singole merci o ai singoli articoli, ma ai prodotti complessivi di volta in volta ottenuti nelle particolari sfere sociali di produzione autonomizzate dalla divisione del lavoro, per cui non solo per ogni singola merce si impiega soltanto il tempo di lavoro necessario, ma del lavoro sociale totale si impiega nei diversi gruppi soltanto la necessaria quantità proporzionale.

Rivista n°55, luglio 2024

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Editoriale: Non potete fermarvi

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Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

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