L'importanza della divisione del lavoro in tutta l'opera di Marx come definizione del comunismo in divenire - seconda parte

Questa parte è un semilavorato da ampliare e da collegare con gli assunti della prima parte. Un ulteriore collegamento è da operare con l'ultima parte sui testi di Bucharin e Preobrazenskij attraverso l'osservazione basilare che il mondo capitalistico rappresenta l'espressione massima della divisione del lavoro e nello stesso tempo il suo superamento in atto (livellamento dei saggi e delle differenze produttive fra le aree del pianeta). Il comunismo in divenire esclude la nozione di isolamento implicita nella formula del "socialismo in un paese solo".

Dizionario Marx-Engels voce divisione del lavoro:

La nozione di divisione del lavoro è al centro dell'analisi dell'economia politica di Smith. Smith pensa la divisione del lavoro come un fenomeno che manifesta una norma invariabile, in relazione necessaria con l'ampliamento del sistema degli scambi e quindi con lo sviluppo dell'economia. Questa organizzazione del lavoro, per cui ogni lavoratore è applicato a un piccolo numero di operazioni produttive, è alla base dell'aumento della produttività del lavoro per tre ragioni: poiché aumenta l'abilità del lavoratore che si specializza in poche operazioni, perché permette l'accelerazione del passaggio da un'operazione all'altra, e infine perché semplificando ogni operazione favorisce l'invenzione di strumenti che sostituiscono il lavoro. In più, l'analisi di Smith fornisce un argomento filosofico: all'origine della divisione del lavoro c'è la tendenza propria dell'uomo al commercio e allo scambio dei prodotti.

Neidel '44 Marx si appropria di questa analisi e la ripensa secondo il suo modello di critica filosofica del mondo rovesciato, in cui l'uomo subisce nel lavoro alienato una scissione di essenza. Dice Marx: "Tutta l'economia politica moderna si accorda in ciò: che divisione del lavoro e ricchezza della produzione, divisione del lavoro e accumulazione del capitale, si condizionano reciprocamente, e che soltanto la proprietà privata affrancata, affidata a se stessa, può dar origine alla divisione del lavoro la più utile e la più ampia. L'esposizione di Adam Smith è riassumibile come segue. La divisione del lavoro conferisce al lavoro un'infinita capacità di produzione" (MEF, 348349). "Divisione del lavoro e scambio sono i due fenomeni in riferimento ai quali l'economista si vanta del carattere sociale della sua scienza ed esprime ad un tempo, inconsapevole, la contraddizione della sua scienza: la fondazione della società sull'asociale interesse particolare" (ivi, 348).

Nella lettura antropologica di Marx, la nozione che l'economia politica vanta a titolo di scientificità della propria analisi, è anch'essa investita dall'estraniazione che l'essenza dell'uomo, il lavoro, subisce in regime borghese. Divisione del lavoro e scambio, sviluppo della ricchezza sociale e impoverimento del lavoratore, sono modi di esistenza della proprietà privata. "La divisione del lavoro è un mezzo comodo, utile, un'abile applicazione delle forze umane alla ricchezza sociale, ma essa scema la capacità di ogni uomo individualmente preso" (ivi, 348).

Nell'Ideologia tedesca la divisione del lavoro ricompare nella tradizione smithiana, cioè come modo dell'espansione della produttività.e della ricchezza sociale: "Il grado di sviluppo delle forze produttive di una nazione è indicato nella maniera più chiara dal grado di sviluppo a cui è giunta la divisione del lavoro. Ogni nuova forza produttiva, che non sia un'estensione puramente quantitativa delle forze produttive già note (per esempio di dissodamento di terreni), porta come conseguenza un nuovo sviluppo nella divisione del lavoro" (IT, 18). Marx e Engels ne ripensano il concetto entro il modello di analisi che è la "concezione materialistica della storia". Storia è storia dei modi di produrre la vita materiale, storia della successione di unità socioeconomiche caratterizzate dal tipo di rapporti sociali che si instaurano tra gli uomini impegnati nella produzione materiale della propria sussistenza. L'economia, l'attività che produce la vita immediata attraverso la struttura espansiva delle forze produttive, è lo spazio sociale fondante, il luogo in cui si determinano le relazioni sociali; in altre parole, c'è un rapporto di causalità tra sviluppo della produzione e sviluppo dei rapporti di classe che ne segnano il quadro sociale. In questo modello, le forme di divisione del lavoro hanno il peso teorico di essere il luogo in cui si definiscono le forme di proprietà, e quindi le forme storiche di dominio di una classe sull'altra.

La vita sociale è originariamente appropriazione della natura, che avviene secondo relazioni che riproducono differenze naturali in un ambito di organicità e di unità in cui non sono prodotti conflitti tra gruppi sociali; non è più naturale invece la divisione del lavoro che produce conflittualità e scissione nel genere umano: "Si sviluppa così la divisione del lavoro, che in origine era niente altro che la divisione del lavoro nell'atto sessuale, e poi la divisione del lavoro che si produce spontaneamente o "naturalmente" in virtù della disposizione naturale (per esempio la forza fisica), del bisogno, del caso, ecc. La divisione del lavoro diventa una divisione reale solo dal momento in cui interviene una divisione fra il lavoro manuale e il lavoro mentale" (IT, 30). "Con la divisione del lavoro si dà la possibilità, anzi la realtà, che l'attività spirituale e l'attività materiale, il godimento e il lavoro, la produzione e il consumo tocchino a individui diversi" (ivi, 31). La divisione del lavoro è il modo in cui si manifesta la situazione della proprietà privata, che divide gli uomini in modi di esistenza opposti. "La divisione del lavoro... che a sua volta è fondata sulla divisione naturale del lavoro nella famiglia e sulla separazione della società in singole famiglie opposte l'una all'altra, implica in pari tempo anche la ripartizione, e precisamente la ripartizione ineguale, sia per quantità che per qualità, del lavoro e dei suoi prodotti, e quindi la proprietà, che ha già il suo germe, la sua prima forma, nella famiglia, dove la donna e i figli sono schiavi dell'uomo. La schiavitù nella famiglia, che certamente è ancora molto rudimentale e allo stato latente, è la prima proprietà, che del resto in questa fase corrisponde già perfettamente alla definizione degli economisti moderni, secondo cui essa consiste nel disporre di forza-lavoro altrui. Del resto divisione del lavoro e proprietà privata sono espressioni identiche: con la prima si esprime in riferimento all'attività esattamente ciò che con l'altra si esprime in riferimento al prodotto dell'attività" (ivi).

Marx e Engels rappresentano nella storia - successione dei modi di produzione - la relazione tra divisione del lavoro e forme di proprietà. Dopo la forma di proprietà tribale, dove la divisione del lavoro, poco sviluppata, è quella interna allo sviluppo e alla modificazione del gruppo familiare, nella fase della "proprietà della comunità antica e dello stato", la divisione del lavoro si sviluppa nel conflitto tra la proprietà privata dei cittadini (che diventa grande proprietà immobiliare nel mondo romano) e la situazione degli schiavi e dei produttori nullatenenti. Nel mondo feudale, l'opposizione è tra proprietà fondiaria e lavoro servile, e poi tra corporazione dei maestri, e garzoni e apprendisti. Nella divisione del lavoro si riflette dunque l'invariante che è il conflitto tra gruppi sociali, finché nel capitalismo, sulla scena della storia mondiale, lo sviluppo delle forze produttive si manifesta nella contraddizione fondamentale coi rapporti di produzione: "La grande industria universalizzò la concorrenza... stabilì i mezzi di comunicazione e il mercato mondiale moderno, sottomise a sé il commercio, trasformò ogni capitale in capitale industriale e generò così la circolazione rapida (perfezionamento del sistema finanziario) e la centralizzazione dei capitali. Con la concorrenza universale essa costrinse tutti gli individui alla tensione estrema delle loro energie... Essa produsse per la prima volta la storia mondiale, in quanto fece dipendere dal mondo intero ogni nazione civilizzata, e in essa ciascun individuo, per la soddisfazione dei suoi bisogni, e in quanto annullò l'allora esistente carattere esclusivo delle singole nazioni. Sussunse le scienze naturali sotto il capitale e tolse alla divisione del lavoro l'ultima parvenza del suo carattere naturale" (IT, 59). Con l'universalizzazione della relazione economica e del rapporto di classe, questo modello di storia produce il momento hegeliano in cui la divisione-scissione si capovolge nella riappropriazione di essenza da parte del soggetto storico proletariato.

Nella Miseria della filosofia l'analisi della divisione del lavoro pensata secondo i moduli della "concezione materialistica della storia" si arricchisce della distinzione, ribadita successivamente nel Capitale, tra divisione del lavoro su scala sociale e a livello delle singole unità produttive, quale si stabilisce nel modo di produzione capitalistico. Nella generalità delle situazioni precapitalistiche, la divisione sociale del lavoro si pone come un diretto prolungamento della divisione generata dalle forme della produzione materiale: un unico complesso di regole presiede all'articolazione di entrambi i livelli. "Sotto il regime patriarcale, sotto il regime delle caste, sotto il regime feudale e corporativo, vi era divisione del lavoro nella società intera secondo regole fisse... Nate in origine dalle condizioni della produzione materiale, esse sono state elevate a leggi molto più tardi. Così queste diverse forme di divisione del lavoro divennero altrettante basi di organizzazione sociale" (MEF, 193). Nel modello capitalistico, al contrario, la divisione tecnica del lavoro è specifica del luogo della produzione - la fabbrica - e trova nel "principio d'autorità" del capitalista il suo elemento fondante, e nella macchina la sua espressione più compiuta. Su scala sociale, invece, la divisione del lavoro è l'esito non preordinato degli effetti della struttura concorrenziale capitalistica: "Mentre all'interno della fabbrica moderna la divisione del lavoro è minuziosamente regolata dall'autorità dell'imprenditore, la società moderna non ha altra regola, altra autorità, per distribuire il lavoro, che la libera concorrenza" (ivi).

Forme economiche precapitalistiche, l'analisi della divisione del lavoro funziona entro lo stesso quadro teorico, secondo cui la storicità dei modi di produzione è leggibile come successione di forme di proprietà. La periodizzazione però è pensata secondo una contrapposizione tra forme di produzione in cui il lavoratore ha accesso diretto ai mezzi di produzione e all'oggetto di lavoro, vale a dire le società comunitarie, in cui si riproduce una situazione naturale di produzione di valori d'uso; e modi di produzione in cui le forme di divisione sociale del lavoro sono le forme secondo cui avvengono la disgregazione della società comunitaria e il passaggio ai sistemi classisti con le loro strutture di sfruttamento (degli schiavi, dei servi, dei liberi lavoratori).

In questo testo, l'analisi della divisione del lavoro nel quadro teorico del modo di produzione avviene nell'ambito di due modelli: da una parte le modalità tecniche di sviluppo delle forze produttive, dall'altra il passaggio dalla condizione naturale alla condizione universale di oggettivazione e estraniazione. La divisione del lavoro può essere ripensata in un contesto teorico nuovo solo facendo emergere dalla problematico dei modi di produzione il tema della specificità della forma capitalistica di produzione. La divisione del lavoro allora non è più un'invariante secondo cui accade in forme diverse l'economico, ma è una differenza che è data insieme al concetto della combinazione produttiva capitalistica. P- nel Capitale che cambia il quadro teorico di organizzazione del discorso. In primo luogo, lo sviluppo delle forze produttive non va isolato come evoluzione che realizza in assoluto l'economico (così avviene nel concetto degli storici di "rivoluzione industriale", ad esempio), e messo in corrispondenza, o in rapporto di causalità, con forme sociali di sfruttamento e antagonismi di classe. La regola di riproduzione della struttura produttiva capitalistica non è la continuità generica di un processo in espansione, ma è dettata dalla logica della produzione di plusvalore, e quindi della riproduzione allargata o accumulazione. La produttività del lavoro sociale non cresce in assoluto, ma entro i limiti imposti ad ogni capitale dalla valorizzazione, cioè dalla ricerca del massimo profitto. Per l'organizzazione tecnica del lavoro passa dunque la lotta di classe.

Nel capitalismo, crescita di produttività è espansione di ciò che è produttivo di plusvalore. La divisione del lavoro sviluppa produttività e intensità del lavoro in funzione della produzione di plusvalore. In quanto forma economica, la divisione del lavoro non è tanto causa dello sfruttamento, quanto piuttosto ne è l'effetto. Marx ricostruisce come una storia interna alla lotta di classe la storia dello sviluppo della divisione sociotecnica del lavoro: parcellizzazione delle operazioni e intensificazione dei ritmi di lavoro, e insieme dequalificazione dei lavoratori, approfondimento della separazione tra lavoro manuale e intellettuale, disoccupazione degli operai indotta dalla meccanizzazione. La storia della divisione del lavoro è anche storia della trasformazione storica della classe operaia, con le sue fratture sociali e tecniche.

Marx analizza gli aspetti sociali e tecnici della divisione del lavoro nelle fasi della manifattura e della grande industria. Che la divisione del lavoro non determini la regola di riproduzione del sociale, ma ne sia un elemento di realizzazione, lo si vede già nell'analisi della produzione di merci in generale, che si realizza necessariamente in un sistema di divisione del lavoro, benché la divisione dellavoro possa essere integrata in organizzazioni socioeconomiche non mercantili: "In una società i cui prodotti assumono in generale la forma della merce, cioè in una società di produttori di merci, ... [la] differenza qualitativa dei lavori utili che vengono compiuti l'uno indipendentemente dall'altro come affari privati di produttori autonomi, si sviluppa in un sistema pluriarticolato, in una divisione sociale del lavoro" (C, 1, 74). "Essa è condizione d'esistenza della produzione delle merci, benché la produzione delle merci non sia inversamente condizione d'esistenza della divisione sociale del lavoro. Nell'antica comunità indiana il lavoro è diviso socialmente senza che i prodotti diventino merci" (ivi).

Nelle forme di organizzazione sociotecnica del lavoro si vede come lo sviluppo delle forze produttive sia dominato dalle forme che assumono i rapporti sociali di produzione. L'organizzazione manifatturiera non è altro che un modo di rivoluzionare le condizioni tecniche e sociali del processo lavorativo per produrre plusvalore relativo. I progressi della divisione del lavoro fanno parte dei mutamenti dei mezzi e dei metodi di lavoro per diminuire il valore della forza-lavoro aumentandone la produttività. La manifattura disgrega e riorganizza il lavoro artigianale, secondo due processi: "Da un lato, parte dalla combinazione di mestieri di tipo differente, autonomi, i quali vengono ridotti a dipendenza e unilateralità fino al punto da costituire ormai soltanto operazioni parziali reciprocamente integrantisi del processo di produzione d'una sola e medesima merce. D'altro lato la manifattura parte dalla cooperazione di artigiani dello stesso tipo, disgrega uno stesso mestiere individuale nelle sue differenti operazioni particolari, e le isola e le rende indipendenti fino al punto che ciascuna di esse diviene funzione esclusiva d'un operaio particolare. Quindi la manifattura, da una parte introduce o sviluppa ulteriormente la divisione del lavoro in un processo di produzione; dall'altra parte combina mestieri prima separati" (C, 1, 381). La divisione del lavoro si attua nel senso che "ogni operaio viene appropriato esclusivamente ad una funzione parziale, e la sua forza-lavoro viene trasformata nell'organo di tale funzione parziale" (ivi).

L'aumento della produttività dipende dall'effetto di intensifìcazione del lavoro dovuto al risparmio di tempo, alla crescita di abilità dell'operaio parziale, che esegue sempre la stessa operazione semplice, alla differenziazione e specializzazione degli strumenti di lavoro. La divisione manifatturiera del lavoro è creazione del modo di produzione capitalistico, che fa coesistere nella società l'anarchia della divisione del lavoro nei suoi effetti sociali (i produttori e i mezzi di produzione sono distribuiti tra le diverse branche sociali di lavoro dalla concorrenza e da una pressione di interessi non omogenei col volume e la differenziazione dei bisogni sociali), e il dispotismo della divisione del lavoro nelle manifatture, dove il controllo dell'organizzazione del lavoro comporta la "subordinazione incondizionata dell'operaio parziale al capitale" (C, 1, 399). Nella divisione sociotecnica del lavoro, la lotta di classe è presente soprattutto nella forma della divisione tra lavoro manuale e intellettuale, tra forza-lavoro dequalificata e sovraqualificata, fratture queste che hanno un ruolo centrale nella riproduzione delle condizioni dello sfruttamento, essenzialmente un ruolo di diminuzione del valore della forza-lavoro e quindi di accrescimento relativo del plusvalore prodotto. La manifattura genera la separazione tra operai abili e operai senza abilità, tra l'operaio che è un semplice "accessorio dell'officina del capitalista" (ivi, 404), e le potenze intellettuali di cui il capitale si appropria come strumento di sottomissione: una separazione che assicura al capitale l'uso e il controllo incontrastato dei mezzi di produzione.

L'organizzazione del lavoro sociale è una nuova forza produttiva del lavoro, un metodo che produce plusvalore relativo producendo nuove condizioni di dominio del capitale sul lavoro. "Questa contrapposizione delle potenze intellettuali del processo di produzione agli operai, come proprietà non loro e come potere che li domina, è un prodotto della divisione del lavoro di tipo manifatturiero. Questo processo di scissione comincia nella cooperazione semplice, dove il capitalista rappresenta l'unità e la volontà del corpo lavorativo sociale di fronte ai singoli operai; si sviluppa nella manifattura, che mutila l'operaio facendone un operaio parziale; si completa nella grande industria che separa la scienza, facendone una potenza produttiva indipendente, dal lavoro e la costringe a entrare a servizio del capitale" (ivi, 405). Col passaggio alla grande industria, si compie "la scissione fra le potenze mentali del processo di produzione e il lavoro manuale, la trasformazione di quelle in poteri del capitale sul lavoro" (C, 1, 467). La grande industria col sistema di macchine sostituisce alla divisione del lavoro di tipo manifatturiero una distribuzione puramente tecnica degli operai tra le macchine, in cui i lavori sono eguagliati e livellati al massimo grado. Poiché l'organizzazione del lavoro avviene a livello automatico, l'operaio ha solo la funzione di servire la macchina, una funzione in cui tutti sono intercambiabili. Ciò produce una grande mobilità di forza-lavoro, anche fra branche di produzione diverse. E in ciò si vede bene come la divisione del lavoro nella grande industria investa con i suoi meccanismi la forma sociale della riproduzione della forza-lavoro, non semplicemente perché le macchine rendono superfluo l'operaio, ma perché sviluppano una concorrenza tra le forze-lavoro rese simili e intercambiabili nelle loro funzioni appiattite, che non è altro che un processo di adeguamento dell'esercito di riserva alle esigenze del capitale - e quindi ancora una forma di sviluppo delle forze produttive dominata dalla logica dell'accumulazione.

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