L'autorità centrale prima dello Stato classista

Cari compagni,

nell’articolo su Caral si diceva che qui "il ‘potere’ era rappresentato non tanto da una classe quanto dall'autorità del piano centrale di produzione, i cui strumenti usufruivano semplicemente di un luogo specifico per svolgere la loro attività, come nei templi egizi coevi". Questo implicherebbe un’assenza dello Stato inteso come strumento del dominio di una classe sull’altra. Ma questo ci impedisce di parlare di Stato in ogni contesto comunistico?

Engels, nell’Antidühring, afferma che ad un certo momento della storia la società si divide in classi, "e lo Stato, al quale raggruppamenti naturali di comunità dello stesso ceppo erano giunti in un primo tempo solo al fine di tutelare i loro interessi comuni (in Oriente, per esempio, l’irrigazione), e per proteggersi dall’esterno, da ora in poi assume, nella stessa misura, il fine di mantenere con la forza le condizioni di vita e di dominio della classe dominante contro la classe dominata". Dunque lo Stato nasceprima delle classi, non come strumento di dominio, ma ponendosi come fine la tutela dei comuni interessi economici e militari.

Più oltre Engels parla dei compiti che questi raggruppamenti primitivi affidavano a dei singoli che dovevano svolgerli nell’interesse della società. "Siffatti incarichi […] sono ovviamente dotati di una certa autonomia di poteri e costituiscono i primi rudimenti del potere dello Stato. A poco a poco le forze produttive si accrescono, la maggior densitàcrea interessi comuni in un luogo, contrastanti in un altro, tra le singole comunità il cui raggruppamento in complessi maggiori provoca a sua volta una nuova divisione del lavoro e la creazione di organi per la salvaguardia degli interessi comuni e la difesa contro gli interessi contrastanti. Questi organi che già come rappresentanti degli interessi comuni di tutto il gruppo hanno di fronte ad ogni singola comunità una posizione particolare e, in certe circostanze, perfino antagonistica, si rendono ben presto ancor più indipendenti, in parte per quella ereditarietà delle funzioni ufficiali che si presenta quasi ovviamente in un mondo in cui tutto procede in modo spontaneo, in parte per la loro indispensabilità crescente con l’aumento del numero dei conflitti con altri gruppi". Motore di quell’auto-organizzazione che abbiamo trovato essere alla base della nascita, ancora in ambito comunistico, di strutture sociali complesse, è dunque, per Engels, l’aumento della densità demografica nel tempo. Le comunità primitive interagiscono in maniera via via crescente, tanto da determinarsi uno di quei passaggi di fase che sappiamo essere tipici dei processi auto-organizzativi. Dunque nascita di tali società complesse e nascita dello Stato vanno di pari passo.

È lo Stato a generare le classi, non il contrario, così come sarà lo Stato a distruggerle. La separazione del lavoratore dalle condizioni oggettive della produzione, la terra in primis, si compie mediante l’appropriazione da parte dello Stato (e quindi fisicamente da parte degli individui che rivestono quegli incarichi tesi alla "salvaguardia degli interessi comuni e [al]la difesa contro gli interessi contrastanti" che abbiamo visto sorgere spontaneamente a causa dell’incremento demografico) delle primitive terre comuni, quelle stesse terre alla base degli interessi comuni che lo Stato doveva difendere contro quelli contrastanti. In altre parole il "rendersi indipendente della funzione sociale di fronte alla società […ha] potuto accrescersi col tempo sino ad arrivare al dominio della società, […] l’organo servitore, presentandosi l’occasione favorevole, a poco a poco si […è] trasformato nel signore, […] le singole persone che esercitavano il dominio si […sono] riunite in una classe dominante", per usare ancora le parole di Engels.

Esiste una raccolta di saggi di Pierre Clastres (Feltrinelli 1977) intitolata La società contro lo Stato, titolo preso dall’omonimo saggio finale. Si tratta di "ricerche di antropologia politica", così recita il sottotitolo, condotte nella Foresta Amazzonica. Alla fine del saggio conclusivo si afferma: "La storia dei popoli, che hanno una storia, è, si dice, la storia della lotta delle classi. La storia dei popoli senza storia è, si dirà con almeno altrettanta verità, la storia della loro lotta contro lo Stato". L’autore mette in evidenza quelli che chiama i "due assiomi" che "sembrano guidare l’evoluzione della civiltà occidentale fin dalle sue origini: il primo stabilisce che la vera società si sviluppa all’ombra protettrice dello Stato; il secondo enuncia un imperativo categorico: bisogna lavorare". Ma il lavorare oltre le esigenze energetiche dell’animale uomo è frutto delle classi, nelle cui società il bilancio in termini di valore è ciò che conta, non quello energetico. Si fanno molti esempi di come le società primitive fossero "pigre". Per rimanere all’area americana si prendano i Tupì-Guaranì, tribù di agricoltori ma che si dedicavano anche alla caccia, alla pesca e alla raccolta. L’agricoltura era itinerante, con spostamenti ogni quattro-sei anni. La divisione del lavoro era basata sulla divisione sessuale: agli uomini i lavori più duri ma anche meno frequenti, alle donne il resto. Infatti "il grosso del lavoro, effettuato dagli uomini, consisteva nel dissodare, con l’ascia di pietra e il fuoco, la superficie necessaria. Questo compito, che veniva eseguito al termine della stagione delle piogge, occupava gli uomini per uno o due mesi. Quasi tutto il resto del processo agricolo –piantare, sarchiare, raccogliere- era a carico delle donne, conforme alla divisione sessuale del lavoro. Ne risulta dunque questa amena conclusione: gli uomini, cioè la metà della popolazione, lavoravano circa due mesi ogni quattro anni!".

Fine della produzione è l’uomo, non la creazione di valore. Marx dice nelle Forme che precedono la produzione capitalistica che nelle comunità primitive "gli individui non si comportano come lavoratori, ma come proprietari -e membri di una collettività che nello stesso tempo lavorano. Lo scopo di questo lavoro non è la creazione di valore -sebbene i singoli possano eseguire un lavoro supplementare per scambiarsi prodotti estranei, cioè sopraprodotti- ma il mantenimento così del singolo proprietario e della sua famiglia, come della collettività presa nell’insieme. La posizione dell’individuo come lavoratore, in tale nudità, è dunque essa stessa un prodotto storico".

Quando gli uomini smettono di comportarsi come proprietari, passando da produttori di fonti energetiche atte alla produzione e riproduzione della loro vita e di quella della loro famiglia a produttori di valore? Quando, cioè, alienano il loro lavoro per fini che non riguardano più la loro vita ma solo l’accrescimento di un’entità anonima come quella rappresentata dal valore? Semplicemente quando il "rendersi indipendente della funzione sociale di fronte alla società […ha] potuto accrescersi […] sino ad arrivare al dominio della società, […] l’organo servitore, presentandosi l’occasione favorevole, a poco a poco si […è] trasformato nel signore, […] le singole persone che esercitavano il dominio si […sono] riunite in una classe dominante". Dunque bisogna risalire più a monte, alla possibilità di accrescimento del "rendersi indipendente della funzione sociale di fronte alla società". Essa si ha con l’infittirsi delle interazioni fra i vari raggruppamenti di comunità primitive, dovuto all’aumento della densità demografica.

L’agricoltura più antica è itinerante, visto che dopo un po’ d’anni il suolo diventa inutilizzabile, soprattutto a causa del suo impoverimento. Ma se la terra dovesse cominciare a scarseggiare -o per un aumento assoluto della densità demografica o per un aumento relativo della stessa (lo stesso suolo, ormai troppo impoveritosi, non riesce più a sfamare lo stesso numero di persone di prima)- la comunità sarebbe costretta, volente o nolente, a elaborare nuove tecniche agricole o più semplicemente a migrare verso terreni più fertili. In entrambi i casi vi è esigenza di un rafforzamento dell’autorità centrale, che sempre più si rende indipendente dalla società, generando così lo Stato e le classi. L’irrigazione è l’esigenza fondamentale delle popolazioni che si sono spostate, dai monti iranici dove l’agricoltura nacque, 8000-7000 anni fa, nelle grandi valli fluviali circondate da deserti del vicino-medio Oriente. La costruzione di terrazzamenti per la risicoltura è altrettanto fondamentale nell’estremo Oriente, nel settore sud-orientale del continente eurasiatico, dove si spostarono i cinesi che avevano "inventato" l’agricoltura nella media valle del Fiume Giallo, dove coltivavano miglio e soia (la fornitrice di proteine dei cinesi). Terrazzamenti furono costruiti anche in America per la coltivazione del mais. Famosi sono i chinampas costruiti dagli aztechi, per mezzo dei quali si rendevano coltivabili le paludi che si formavano ai margini dei laghi delle valli dell’altipiano messicano (che si configuravano come bacini idrografici chiusi, tanto da rendere alta la salinità di tali laghi). I fiumi che scendevano dalle Ande portavano con se ben poco limo, tanto da rendere necessario il trasporto del guano, gli escrementi degli uccelli marini, come concime (e molto probabilmente era anche questo uno dei beni che Caral riceveva dai villaggi di pescatori della costa). La huerta spagnola deve la sua fertilità alle opere d’irrigazione degli arabi. Tutte queste opere necessitano di un’autorità centrale per un vasto raggruppamento di comunità, autorità che si rende poi via via più indipendente dalla società configurandosi così infine come classe dominante e alienante il lavoro della classe dominata e alienata.

Esistono moti di reazione? Certo, ma come la reazione capitalistica lavora per il comunismo, così la reazione della società contro lo Stato lavora alla fin fine proprio per ciò che tenta di scongiurare. Torniamo a Clastres e ai suoi Tupì-Guaranì. Qui la crescita demografica determina ad un dato momento l’emergenza di un potere politico: "ad un’estremità della società, se così si può dire, la crescita demografica e, all’altra, il lento emergere del potere politico". Ma contro la parola dei capi, rappresentante l’emergere dello Stato, si pone quella dei profeti, tesa a salvare la società dallo Stato: "da una parte i capi, dall’altra, e contro di loro, i profeti: tale è, tracciato secondo le sue linee essenziali, il quadro della società tupì-guaranì alla fine del XV secolo. […Ma] l’atto insurrezionale dei profeti contro i capi conferiva ai primi, in virtù di un curioso rovesciamento della situazione, un potere infinitamente maggiore di quanto non detenessero i secondi. Allora bisogna forse correggere l’idea della parola come opposto della violenza. […] Nel discorso dei profeti si trova forse in germe il discorso del potere".

Anche Andrea Carandini, nella Nascita di Roma pubblicata nel 1997 da Einaudi, tratteggia un quadro simile per le città italiche. Essa fu un estremo tentativo a considerare l’individuo come proprietario e non come lavoratore. "Oscure sono le motivazioni sociali delle trasformazioni proto-urbane in Italia. Per la Grecia dell’VIII secolo si è pensato a servi che avrebbero ottenuto la libertà, la terra e la cittadinanza attraverso una sorta di rivoluzione sociale. Non sappiamo se un fenomeno analogo sia ipotizzabile per l’Etruria e per il Lazio. Che l’esperimento proto-urbano possa aver rappresentato un progresso per banditi, sbandati e contadini poveri è verosimile. Anche in seguito saranno i gruppi familiari meno avvantaggiati a sostenere la proprietà privata della terra, come insegna la storia di Roma". Anche nell’area tirrenica era dunque emerso un embrionale potere politico nel corso dell’Età del Bronzo, che si traduceva poi in un dominio economico di classe, con l’accaparramento da parte dei capi delle terre migliori. "Una prima redistribuzione imperfetta (all’inizio anche solo dal punto di vista qualitativo) da parte del gruppo dei capi pre-urbani –perfettamente compatibile nel quadro del Chiefdom complesso- sembrerebbe pertanto il presupposto e il movente che ha portato alla creazione dei proto-stati, degli Early States. […] Se la condizione sociale nel Bronzo finale fosse stata egualitaria, ‘tribale’ (in senso antropologico), come è stato ipotizzato, verrebbe a cadere l’unico plausibile movente per un mutamento così radicale, inesplicabile in termini di continuità. Le fondazioni dei centri proto-urbani sono probabilmente dei colpi di proto-stato". Colpi di proto-stato, si potrebbe aggiungere, contro lo Stato ma che necessariamente portano a questo. E probabilmente i capitani di questo rivolgimento lo sapevano. "Agli inizi il nuovo assetto dovette sembrare vantaggioso soprattutto per le famiglie comuni, ma esso dovette rivelarsi presto vantaggioso soprattutto per le gentes [nel senso di famigli gentilizie], che per lavorare le terre periferiche cominciavano a riavvalersi di famiglie comuni".

Furono proprio reazioni di questo genere, assenti in Oriente poiché qui la classe dominante seppe mantenere l’originaria funzione sociale, a determinare l’espansione romana alla ricerca di schiavi, visto che i romani poveri non vedevano nessun vantaggio nella proprietà statale (ager publicus), che non lavoravano e che dovette essere affidata al lavoro degli schiavi, che presto fagocitò le libere fattorie delle famiglie comuni.

Tanti saluti a tutti e a presto.

Rivista n°55, luglio 2024

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