L'azione del commercio fra antichi imperi sulla scomparsa finale del comunismo primitivo

Cari compagni,

nelle mie ultime lettere ipotizzavo, partendo da Engels, una possibile nascita dello Stato ancora in fase comunistica, nel periodo in cui la complessità delle società comunistiche rese necessario il sorgere di un centro direzionale del processo di produzione e distribuzione, finché i rappresentanti fisici di questo centro, che nel frattempo avevano reso la loro carica ereditaria, assursero a classe dominante, trasformando il centro pre-classista nello Stato inteso come strumento di oppressione di classe, il quale non sarebbe dunque sorto ex nihilo, ma da antiche strutture comunistiche.

Inoltre notavo come l’assurgere a classe da parte dell’antico gruppo direzionale (e la parallela trasformazione in Stato dell’antico centro amministrativo) si compiva non per la volontà degli uomini che lo componevano, ma per il classico superamento della massa critica, rappresentata dagli interessi comuni da difendere da quelli contrastanti. Dicevo infatti che le classi nascono nel momento in cui il centro direzionale monopolizza alcuni settori economici che avrebbero distrutto gli antichi rapporti comunistici delle campagne sui quali il potere di questo novello Stato riposava (e riposerà, proprio a causa del monopolio, sino all’arrivo degli europei: "a base del dispotismo orientale, dove la proprietà sembra inesistente, si trova la proprietà tribale o collettiva, generalmente prodotta da una combinazione di agricoltura e manifattura nell’ambito di piccole comunità che in tal modo divengono autosufficienti e racchiudono in sé tutte le premesse della riproduzione e sopraproduzione", dice Marx, e la sopravvivenza di queste piccole comunità è garantita solo dal monopolio dello Stato sul commercio, che le avrebbe distrutte, come in effetti successe all’arrivo degli inglesi in India, ad esempio).

L’impedire, da parte degli antichi imperi "asiatici", l’azione corrosiva del commercio nelle campagne, fu alla base di quella che Polanyi chiamava la loro "talassofobia". Si trattava di impedire alle campagne dell’interno il contatto con la costa, dove si svolgeva il commercio. I prodotti venivano raccolti dall’amministrazione centrale e destinate a ben precisi porti disseminati lungo le coste, luoghi neutrali dove avveniva lo scambio mercantile con gli altri stati. Se le campagne fossero state toccate dalla merce le primitive comuni agricole si sarebbero dissolte, sfasciando questo immobile dispotismo. Queste modalità di scambio in porti franchi neutri, ovviamente, potevano aver luogo solo nelle zone del globo in cui si trovavano più imperi che commerciavano fra loro (perché all’interno di un impero non avvenivano scambi mercantili, e tutti i traffici erano regolati comunisticamente, come a Caral i rapporti città agricola – villaggi di pescatori sulla costa). L’unica zona al mondo in cui troviamo più di un grande stato proprietario nei confronti dell’esterno e quindi uno scambio mercantile di una certa dimensione (perché, come attesta la citazione di Thurnwald che proponevo nella mia ultima lettera, lo scambio fra tribù primitive avveniva piuttosto per mezzo di razzie, e allo stesso modo dovevano comportarsi i grandi stati nei confronti delle piccole tribù limitrofe) è il Mediterraneo orientale. E qui possiamo seguire la nascita e l’evolversi di questi porti franchi deputati allo scambio mercantile.

Esiste a questo proposito un bel saggio di Robert B. Revere in Traffici e mercati negli antichi imperi (curato da Polanyi). Il saggio si intitola La terra di nessuno sulla costa: i porti franchi nel Mediterraneo orientale. Vi sono raccolti molti dati che attestano appunto quanta paura avessero i dispotismi "asiatici" della distruzione delle antiche comunità, base del loro potere, attraverso l’azione corrosiva dello scambio mercantile, che avveniva principalmente lungo le coste, le quali rimanevano così terra di nessuno, terre cui nessun impero ambiva.

Si parte dalla Mesopotamia. Le spedizioni militari degli imperi mesopotamici verso la costa erano non tanto finalizzate alla conquista di porti strategici per il commercio, quanto piuttosto alla "ricerca di approvvigionamenti, spesso simili a un bottino, destinati a fornire materiali per la costruzione di templi, come per esempio grandi pietre o legni pregiati, o l’estrazione di oro nei torrenti di montagna". Questo atteggiamento lascia trasparire come la costa fosse lasciata a piccole tribù, con le quali, come detto, il commercio si basava principalmente su razzie. "Sembra dunque che gli antichi imperi mesopotamici non abbiano mai esercitato uno stabile controllo sulle coste né che abbiano mai avuto intenzione di esercitarlo".

Segue l’Egitto. "Fin dal tempo della sua unificazione l’Egitto comprese il delta del Nilo. Una netta distinzione deve comunque essere fatta tra la fascia costiera del delta, l’unica rilevante per il nostro argomento, e i territori interni. H.R.Hall ha osservato che, nell’epoca più antica, gli abitanti della fascia costiera erano considerati degli stranieri. Quelle zone paludose erano considerate come qualcosa di separato dall’Egitto vero e proprio (H.R.Hall, The Ancient History of the Near East, London 1913, pp. 97 sgg.). Gli invasori hyksos furono in grado di consolidare il loro potere nel delta, fondare la loro capitale Avaris, e, approfittando della protezione delle paludi, lanciare il loro attacco verso il sud". Ancora una volta, dunque, le coste sono lasciate a popolazioni barbariche. "Dopo aver scacciato gli Hyksos, gli Egizi entrarono in Asia satellizzando sulla scia delle loro conquiste, le città fenicie. […] Si può supporre che gli Egizi fossero interessati a queste città in quanto esse fornivano depositi per rifornimenti militari al loro impero in espansione e proteggevano i loro fianchi quando marciavano verso l’interno (Breasted, in CAH, II, p. 78). Le loro imprese militari erano sempre orientate verso l’interno e non verso la costa". Anche le imprese marinare assomigliavano alle spedizioni mesopotamiche. "Come le puntate verso occidente dei popoli mesopotamici così anche per gli Egizi tali spedizioni miravano a procurare specifici materiali come legni aromatici e animali esotici, come nel caso della spedizione di Hapshepsutut a Punt".

Infine gli Ittiti, forza dominante nell’Asia Minore del II millennio. La loro unica direttrice di espansione oltre che verso la costa era per loro l’Eufrate superiore, verso sud-est. "Questa fu in effetti la linea di espansione seguita dagli Ittiti. Essa ci fornisce un caso limite del rapporto tra la costa e il continente nell’antichità. Consci della loro posizione peninsulare gli Ittiti sembrano aver dato al loro insediamento un consapevole orientamento continentale". I testi ittiti ci attestano come la costa fosse vista come sede di popolazioni straniere, con le quali era meglio non avere a che fare. Inoltre, "secondo Goetze, vi fu per circa due millenni una stabile frontiera culturale e politica in Asia Minore a ovest del fiume Halys che separava l’Anatolia vera e propria dalle culture egee e, più tardi, greche dell’Occidente (A.Goetze, Klein Asien, 1936, p.168: ‘L’antica linea di confine che separava l’Oriente dall’Occiedente rimase intatta durante tutto il periodo Ittita, ossia per quasi tutto il II millennio.’). […] La singolare frontiera culturale che Goetze rintracciò nell’Asia Minore occidentale e che correva dietro la costa e parallela ad essa si estendeva, in realtà, anche se in misura meno marcata, lungo tutto il Mediterraneo orientale e il Mar Nero".

Il commercio internazionale che si svolgeva fra questi imperi era dunque confinato all’interno di città costiere, dal contado limitato, che rappresentavano dei centri neutrali dove le merci provenienti dai vari stati potevano essere scambiate. In queste città, proprio per la loro natura mercantile, vigeva la proprietà privata, che dissolveva le antiche solidarietà di clan, fatto temuto dai dispotismi, che devolvevano a questi centri il compito di "contenitori" di mercato.

È interessante notare come l’antica forma sociale (il dispotismo asiatico) dovesse, per evitare la sua fine, sviluppare aree esterne al suo dominio. In particolare le città mercantili, che la ricerca dei metalli (uno dei principali prodotti scambiati), spinse sempre più verso occidente, dove nacquero e crebbero le colonie fenicie e greche e le città etrusche. La tradizione urbana dell’Italia ne condizionerà tutto lo sviluppo successivo, e ancora una volta la vecchia forma sociale non permetterà lo sviluppo completo della successiva. In particolare le città italiane, grembo del capitalismo, ne impediranno uno sviluppo completo, che piuttosto si ebbe nell’Europa settentrionale, dove invece le città erano semplici addensamenti della campagna, qualitativamente identiche ad essa, e che proprio per questo non posero alcun problema nello sviluppo del mercato nazionale. Questo non dovrebbe metterci in guardia a proposito della formulata "la Rivoluzione va da Occidente ad Oriente e non da Oriente ad Occidente"? Cos’è l’Occidente: la vecchia Europa, culla del capitalismo industriale? Essa si trova oggi nella situazione degli antichi imperi vicino-orientali: per difendere le proprie strutture deve scaricare il potenziale rivoluzionario in altre aree. Non è possibile che sia proprio in queste altre aree che la potenzialità si trasformi in atto, come successe con l’emergere della proprietà privata nei "collettori di mercato" urbani del Mediterraneo e con la rivoluzione industriale nell’Europa settentrionale?

Rivista n°55, luglio 2024

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