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Editoriale: Non potete fermarvi
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Transizione di fase. Prove generali di guerra
Rassegna: Presa d'atto
Il capitalismo è morto
Recensione: Dallo sciopero, alla rivolta, alla Comune
Guerra civile negli USA, ma non quella vera
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21/22
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Durante la teleconferenza di martedì sera, a cui hanno partecipato 12 compagni, abbiamo discusso dell'articolo di Jeremy Rifkin, The Rise of Anti-Capitalism (L'ascesa dell'anti-capitalismo), pubblicato sul New York Times lo scorso 15 marzo.
Dello scrittore americano, nonché sociologo, attivista ambientale, professore universitario, no global, economista e filosofo, abbiamo scritto sul numero 8 della rivista in una recensione a tre suoi libri: Entropia, La fine del lavoro e L'era dell'accesso. Nel primo testo, del 1980, Rifkin dimostra come ogni economia non sia altro che un sistema di produzione e riproduzione soggiacente al secondo principio della termodinamica e perciò irreversibilmente dissipativo di energia (in termini capitalistici, dissipativo del valore che produce). A questo si aggiunge la tendenza storica del capitalismo, descritta ne La fine del lavoro una quindicina di anni più tardi, a sostituire il lavoro dell'uomo con quello della macchina, determinando un enorme esubero di manodopera.
Voi avete detto [il lettore si riferisce a una conferenza, ma l'abbiamo anche scritto. N.d.R.] che l'aumento della composizione organica del capitale, è collegata alla caduta tendenziale del saggio di profitto e alla formazione di una sovrappopolazione relativa permanente. Sono d'accordo, ma avete tracciato a mio avviso addirittura una nuova teoria della popolazione partendo dal fatto che non si tratterebbe del marxiano "esercito industriale di riserva" bensì di strati sociali ormai superflui, da mantenere in quanto esclusi per sempre dal ciclo produttivo. Questo proverebbe la difficoltà della continuazione del processo di valorizzazione a scala mondiale, e avete citato intere aree geografiche "abbandonate" o sfruttate brutalmente senza attenzione ai risvolti sociali, come l'Africa, l'America Latina, gran parte dell'Asia e persino aree all'interno del capitalismo sviluppato.
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Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.
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