In realtà con il concetto di coscienza, o di falsa coscienza (come la definisce Marx), si "travestono" i meccanismi economici che rappresentano, invece, il perno da rompere affinché si possa verificare qualsivoglia cambiamento sociale. Sono i rapporti di produzione a determinare i rapporti sociali all'interno della società, non il contrario, e nel capitalismo la libertà economica è la libertà dei borghesi non certo del proletariato. Però tali rapporti sociali si trovano all'interno di un meccanismo economico a cui entrambe le classi devono sottostare: gli stessi capitalisti diventano meri funzionari del Capitale. Se si pone la coscienza come motore di trasformazione e superamento si negano le leggi di funzionamento del capitalismo sintetizzate da Marx ed Engels nel Manifesto.
Lo stesso ragionamento vale per il concetto di volontà. Il capitalismo rimane l'economia dominante anche quando ci sono movimenti anti-formisti che cercano di rovesciare la prassi. La teoria può anticipare il movimento e intercettare le leggi effettive del divenire storico - per questo cerchiamo di dar vita ad un ambiente che non sia capitalistico, un piccolo rovesciamento della prassi - ma è il movimento oggettivo ad andare in una determinata direzione, al di là della nostra volontà individuale e della "presa di coscienza". E' lo sviluppo stesso del capitalismo a generare le determinazioni materiali per cui prendono piede movimenti anti-sistema. Ma, come scritto in "Tavole immutabili della teoria comunista del partito", il rovesciamento della prassi è proprio di un insieme sociale che viene da fuori, che si pone cioè nei fatti al di là delle categorie economiche vigenti. Pur essendo all'interno dell'insieme capitalistico, il partito (storico e formale) non fa parte del sistema e lo nega nella prassi. Tutti ricordano la definizione di militante che citiamo spesso e volentieri: è militante comunista chi si strappa di dosso le caratteristiche segnate all'anagrafe di questa società e si confonde con tutto l'arco millenario che va dall'uomo-primate all'uomo veramente sociale.
In ultima analisi lo studio della filosofia di Gramsci passa in secondo piano rispetto al fatto oggettivo che egli è stato una pedina in mano agli stalinisti e ha contribuito alla lotta contro la nostra corrente. A noi interessa di più il fatto politico che quello accademico. Ne "I fondamenti del comunismo rivoluzionario" si mostra la continuità politica tra Proudhon, Stalin e Gramsci:
"Una prima tesi pregiudiziale accomuna come antimarxisti tutti questi conati, basati sulle formule o "ricette" per svariate forme organizzativi dagli effetti miracolosi. Essa orecchia le vecchie e semisecolari banalità dei trafficanti politici e degli imbonitori, che riducevano le vicende della lotta storica ad un succedersi di figurini, come nella "moda" del vestire. Cianciavano questi saputelli: Nella grande rivoluzione francese il motore fu il club politico, e la lotta tra questi (giacobini, girondini, ecc.) fu la chiave degli eventi. Poi quella foggia passò di moda e si ebbero i partiti elettorali... poi si passò ad organismi locali, comunali, preconizzati dagli anarchici... oggi (pensiamo al 1900) si ha la ricetta modernissima: il sindacato operaio di professione, che tende a soppiantare tutto e si contrappone (Giorgio Sorel) col suo potenziale rivoluzionario a Partito e Stato. Vecchissima canzone. Oggi (1957) sentiamo vantare altra forma "autosufficiente": il consiglio di fabbrica, in diversi modi portato sul primo piano rispetto ad ogni altra forma, da "tribunisti" olandesi, gramsciani italiani, titini jugoslavi, cosiddetti trotzkisti, gruppetti di "sinistra" da batracomiomachia. Tutto questo vuoto discorrere è sepolto da una sola tesi (Marx, Engels, Lenin): "La rivoluzione non è una questione di forma di organizzazione". La questione della rivoluzione sta nell'urto delle forze storiche, nel programma sociale di arrivo che sta alla fine del lungo ciclo del modo capitalista di produzione. Inventare il fine invece di scoprirlo nelle determinanti passate e presenti, scientificamente, fu il vecchio utopismo premarxista. Uccidere il fine e mettere l'organizzazione dimenantesi al suo posto è il nuovo utopismo post-marxista (Bernstein, capo del revisioniamo socialdemocratico: il fine è nulla; il movimento è tutto)."
Si tratta di malattie croniche e "invarianti" del movimento operaio, destinate a riaffiorare nella stessa misura in cui l'influenza ideologica, se non il peso sociale, della piccola borghesia continua ad infiltrarsi e a serpeggiare nelle file del proletariato, e a sopravvivere in esse per una specie di inerzia storica che è, fra parentesi, una delle ragioni della necessità dell'esercizio dittatoriale del potere. Se è vero che il riformismo classico abbandona la via rivoluzionaria e si illude di cambiare la struttura sociale in modo riformistico (Kautsky), per lo meno i socialdemocratici storici avevano l'idea della conquista della società non con le idee ma con "fronti" di lotta. Carogne con una certa statura politica: Stalin è stato elemento di rivoluzione borghese in Asia, Gramsci è stato un elemento politico assolutamente controrivoluzionario. Infine non è mancato un riferimento allo scadente "Dialogato con Gramsci" dei "fiorentini".
Conclusa la parte su Gramsci, la discussione si è incentrata su aspetti di natura sindacale.
Ad una assemblea indetta a Torino dalla Rete28aprile (opposizione in CGIL), a cui erano presenti una quarantina di elementi tra Rsu, delegati e anche qualche funzionario, Sergio Bellavita ha illustrato la mancanza di democrazia in FIOM, il carattere burocratico della struttura, la torsione autoritaria in corso ed il bisogno di rinnovamento del sindacato (?). Dopo l'introduzione del segretario, una serie di interventi da parte di alcuni delegati ha dimostrato la totale mancanza di prospettive ed espresso il forte disagio nell'interfacciarsi con la base sindacale nei luoghi di lavoro. Da una parte è stata messa in luce l'impossibilità di continuare con gli scioperi puramente dimostrativi, dall'altra si richiamava un passato che è stato spazzato via e non può ritornare. Di qui tutta la noiosa discussione sullo smantellamento del CCNL e dello Statuto dei lavoratori.
La speranza di riunificare il mondo del lavoro, riconquistando un potere di contrattazione collettiva, sembra essere per la cosiddetta sinistra sindacale l'unica battaglia degna di essere combattuta. Per noi invece si tratta di una posizione di retroguardia perché quello dei "diritti" è un terreno di lotta imposto dall'avversario. E poi, che dire a quei milioni di giovani (e non) senza lavoro e quindi senza possibilità di contrattazione?
Unica nota positiva della serata è stato l'intervento di un delegato della FIOM in quota Rete28aprile, in cui veniva messa in discussione la parola d'ordine della "difesa del posto di lavoro" anche in critica ai contenuti della manifestazione promossa dalla CGIL il 20 ottobre a Roma ("Il lavoro prima di tutto"). Continuando con la richiesta di lavoro, il passo successivo, ha sostenuto il sindacalista, sarà quello di organizzare una manifestazione dal titolo Arbeit macht frei ("Il lavoro rende liberi"): non si tratta di lottare per avere più lavoro ma per la difesa del salario e della salute (riferimento all'ILVA di Taranto).
Tutti i delegati presenti raccontavano di non avere più nulla da dire ai lavoratori visto il ridursi degli spazi di mediazione e la progressiva cancellazione dei "diritti". Tutti esprimevano una certa preoccupazione rispetto alla sorte del sindacato. I sindacalisti di base si trovano con le spalle al muro e sono schiacciati dalla micidiale tenaglia rappresentata da datori di lavoro e burocrazia sindacale. Insomma, se da una parte la logica resistenziale fatica a morire, dall'altra si comincia a percepire che un'epoca sta finendo. Del resto, diciamo noi, occorre superare la forza d'inerzia costituita da decenni di pace sociale, chiacchiere parlamentari, mistificazione democratica e collaborazione di classe. E' necessario che siano spazzati via i residui ideologici di epoche passate, è questa cappa di piombo che pesa come un incubo sulle prospettive di cambiamento che va dissolta il prima possibile.
La teleconferenza è proseguita prendendo spunto dalle manifestazioni in corso a Budapest e Madrid. A proposito di Spagna, abbiamo notato che OWS presta molta attenzione a quanto succede nella penisola iberica ed ha pubblicato un post riguardo al tentativo del Governo Rajoy di approvare una legge che vieta di fare foto e video dei poliziotti mentre picchiano i manifestanti.
Il 14 novembre è stato indetto dalla Confederazione dei Sindacati Europei uno sciopero generale "continentale". Anche la CGIL sembra voler aderire. Nei fatti si tratta di uno sciopero puramente dimostrativo ma è importante che si verifichino dei tentativi di mobilitazione internazionale. Se la causa della miseria crescente è unica per tutti, allora anche la lotta dei lavoratori deve essere unitaria. Non a caso qualcuno a suo tempo diceva: Proletari di tutti i paesi, unitevi!
A Londra il 20 ottobre c'è stata una grande manifestazione contro l'austerità. Secondo l'Ansa circa 100 mila persone sono scese in piazza e, cosa interessante, partecipava e promuoveva la mobilitazione Occupy London. Non passa giorno che non ci siano manifestazioni in Europa e nel mondo. Martedì 23 a Torino un corteo selvaggio di "insegnanti arrabbiati" ha bloccato il traffico per qualche ora. Nel corso della giornata ci sono state altre 4 o 5 manifestazioni che hanno coinvolto, netturbini, studenti, operai, Cobas e gente comune. Il giorno prima c'è stato un presidio Notav al convegno organizzato dal Pd ad Avigliana (come c'era da aspettarsi la zona è stata completamente militarizzata). Per adesso tutte queste iniziative vanno avanti in ordine sparso e sono a difesa di singoli settori e/o categorie, ma qualora si imponesse un programma comune d'azione ne vedremmo delle belle. D'altronde, quello che succede a livello micro in una città come Torino sta succedendo a livello macro in tutta Europa con processi auto-organizzativi in corso a Madrid, Londra, Lisbona, Atene, ...
In conclusione si è brevemente accennato al surriscaldarsi di una vasta area in Medioriente. In Libano nei giorni scorsi c'è stato un grande attentato: il Generale ammazzato rappresentava il collegamento per il rifornimento di armi ai ribelli anti-Assad.