La nostra corrente già negli anni Cinquanta indicava il territorio statunitense come il cuore del capitalismo e nella Seconda Guerra mondiale auspicava la vittoria tedesca sui paesi anglosassoni di vecchia accumulazione. Oggi il sistema capitalistico ha centro a Washington e di lì controlla l'economia mondiale. Risulta difficile immaginare uno sbocco rivoluzionario senza lo sfaldarsi dall'interno del mostro statale americano:
"La rivoluzione non potrà passare che da una lotta civile nell'interno degli Stati Uniti, che una vittoria nella guerra mondiale prorogherebbe di un tempo misurabile a mezzi secoli." (Raddrizzare le gambe ai cani)
E difatti la "proroga" c'è stata. Gli Stati Uniti sono l'ultimo anello della catena imperialistica e appare compiuto il tragitto verso un mercato unico mondiale di produzione e di scambio. E' una situazione assai critica perché di fronte ad un mercato globale si riproducono a scala altrettanto globale tutte le contraddizioni del sistema. E in questa dimensione agli Usa tocca fare il poliziotto globale, dove la loro proiezione di potenza fa il giro del mondo. D'altronde, c'è un motivo basilare per cui seguiamo Occupy Wall Street: più di quello che il movimento dice di sé stesso, ci interessa quello che è spinto a fare nel ventre della balena.
Se guardiamo il rapporto tra USA e Cina, notiamo che il flusso di capitali ha invertito la direzione storica. Fino ad ora il capitale si è spostato dalla potenza in declino verso il paese emergente, oggi si verifica il contrario e cioè che è proprio quest'ultimo a finanziare la potenza in collasso. Anche da un punto di vista militare non c'è competizione possibile fra Cina e USA, le due economie - bisogna ribadirlo - sono complementari: i cinesi, invece di svincolarsi dal legame economico con gli americani, continuano a pagarne il debito affinché gli stessi comprino le loro merci.
Il lavoro sul collasso degli stati pubblicato sull'ultimo numero della rivista trova ulteriori conferme in quanto accade in Egitto e Tunisia, dove assistiamo allo sfaldamento dell'infrastruttura statale. Dopo l'articolo di Caracciolo su "La Repubblica", questa volta tocca a "Le Monde" registrare la presenza della lotta di classe in Egitto ("Egitto: rivoluzione e lotte sociali"). Si tratta di preoccupazioni interessate della classe dominante, soprattutto quando anche il Dragone vede crescere in maniera esponenziale il ritmo delle rivolte urbane e degli scioperi. Se in superficie il mostro statale cinese sembra sano e intatto, in profondità la "vecchia talpa" scava.
La relazione sulla guerra, sempre in programma per la prossima riunione di marzo, prenderà le mosse dall'analisi del ruolo della moderna industria nella "guerra guerreggiata" e cioè dal rapporto tra velocità d'esecuzione degli ordini, massa delle truppe in movimento, enorme logistica e supporto alla stessa. Gli apparati di guerra si sono evoluti ed ingigantiti a tal punto che non esiste più la possibilità, dati i costi e l'impianto logistico necessario, di sostenere guerre mondiali sullo stile degli ultimi due conflitti imperialistici. Molto più probabile, invece, un insieme di guerre per procura (proxy war), interventi mirati a difendere particolari interessi.
E a proposito di interessi particolari, le manovre militari dei francesi in Africa non riguardano più solo il Mali ma tutta la fascia subsahariana, dove vi sono importanti giacimenti di petrolio e uranio e una profonda penetrazione cinese che sta sovvertendo i già precari equilibri imperialistici. Da questo punto di vista l'intervento francese risulta essere non più in un paese circoscritto ma in una area ben più vasta, in linea con la politiguerra mondiale.
La terza relazione programmata, intitolata "Dall'oggetto al processo", verte sui nessi che legano operaio parziale a operaio globale, merce discreta e merce continua. Nasce in continuità con la relazione, presentata a Pesaro alla scorsa riunione redazionale, sulla "Terza cultura" e da cui viene il riferimento al libro di Brockman sulla cyber elite. "Digerati. Dialoghi con gli artefici della nuova frontiera elettronica" viene in aiuto per dimostrare gli effetti della smaterializzazione delle merci sulla società. Il futuro prossimo del capitalismo non riguarderà più tanto la produzione di merci discrete ma l'accesso o meno a flussi di informazione e consumo. Secondo il guru Jeremy Rifkin ("L'era dell'accesso"), fra un po' di anni "è probabile che un numero sempre maggiore di imprese e di consumatori percepirà l'idea stessa di proprietà come un limite, qualcosa di obsoleto, fuori moda. In parole semplici, la proprietà è un'istituzione che si adatta con ritmi troppo lenti alla velocità travolgente della cultura del nanosecondo. Essa si fonda sull'idea che il possesso di un bene materiale per un prolungato periodo di tempo rappresenti, in sé, un valore; che 'avere', 'possedere', 'accumulare' siano concetti positivi. Oggi, però, la rapidità dell'innovazione tecnologica e il ritmo stordente dell'attività economica mettono in discussione la nozione di possesso. In un mondo di produzioni personalizzate, di continue innovazioni e aggiornamenti costanti, di prodotti con un ciclo di vita sempre più breve, tutto invecchia molto in fretta: in un'economia la cui unica costante è il cambiamento, avere, possedere, accumulare ha sempre meno senso."
Come base teorica per sviluppare il tema della relazione si prende spunto dal capitolo VI inedito del Capitale. Questi "appunti" molto complessi e densi di contenuti sono stati analizzati a suo tempo da "il programma comunista" e gli articoli sono stati in parte raccolti in un quaderno di "n+1" dal titolo "Scienza economica marxista come programma rivoluzionario". Ogni società nuova, per imporsi, non può far altro che utilizzare categorie di quella vecchia portandole a conseguenze estreme. La società futura è impossibile quindi senza le categorie del presente, ma nello stesso tempo dà/darà luogo a categorie di natura opposta rispetto a quelle che appartengono a "n", "n-1", ecc., cioè al capitalismo e a tutte le società precedenti. Nell'intervento verranno approfonditi i concetti di sottomissione formale e reale del lavoro al Capitale per cui il moderno sistema di fabbrica esce dalle mura aziendali e si fa società. Si tratterà perciò di un'indagine sul passato, sul presente e soprattutto sul futuro per dimostrare che sono ultra mature le basi materiali per fare il salto in un'altra forma sociale.
Le imminenti votazioni forniscono interessanti squarci sulla situazione politica italiana. Hanno fatto notizia le piazze stracolme per Grillo; a Milano alcuni compagni ne hanno seguito un comizio e segnalano la presenza di molti giovani entusiasti. Tra le variopinte proposte del comico genovese spiccano quelle riguardanti la riduzione dell'orario di lavoro e il reddito di cittadinanza. Beppe Grillo è bravissimo e coinvolgente nel fustigare i politici e gli sprechi di questa società rimanendone però sempre al suo interno.
A prescindere dalle proposte dei professionisti della politique politicienne, sarà interessante vedere cosa accadrà ad elezioni concluse visto che già adesso i "mercati" prospettano una situazione di ingovernabilità. Probabilmente toccherà a Napolitano sbrogliare la matassa. In questi giorni il Presidente della Repubblica, il cui mandato scade a maggio, è stato negli Usa per appositi colloqui con Obama. A questo punto può risultare giusta l'ipotesi circa la ripetizioni di un "golpetto": la necessità di mettere un po' di ordine in casa spingerà in qualche modo alla riproposizione di un governo tecnico. Questa è la tendenza di fondo:
"Se il fascismo – giusta le nostre Tesi – è il modo di essere ultimo della sovrastruttura capitalistica, e se la tendenza storica è quella di andare oltre al fascismo, questo fatto deve pur esprimersi in qualche forma. Che cosa infatti può esserci dopo il fascismo?" (Il piccolo golpe d'autunno)
Le classi dominanti non possono permettersi di continuare con il solito teatrino della politica e saranno costrette, data la situazione economica catastrofica, ad adottare misure politiche energiche. Per evitare l'implosione del sistema dovranno adottare misure economiche che negheranno quelle precedenti e anticiperanno quelle future, proprie di un periodo di transizione:
"Nessun governo tradizionale è capace di tanto, e di sicuro nemmeno un governo provvisorio. Ora è inutile mettersi a fare profezie, ma è certo che se il capitale vuole sopravvivere ancora un po', deve comunque piantarla con la sua esplosione esclusivamente fittizia. Deve darsi una drastica autoriduzione e darsi un assetto sovrastrutturale tecnico, spazzando via gli orpelli del politicantismo parassitario. La riuscita anche solo parziale è dubbia, ma l'italietta come al solito prova a fare qualche esperimento di laboratorio, lasciando ad altri il compito di fare qualcosa di più serio." (Il piccolo golpe d'autunno)
Il Capitale ha bisogno di un governo unico mondiale e la necessità di avere delle forme istituzionali che favoriscano la "pianificazione" legata alle esigenze della valorizzazione. Gli organismi internazionali (FMI e BM) rappresentano un passaggio verso il governo mondiale che però, non può darsi nel modo di produzione vigente. L'operatività di tali organismi sovranazionali rappresenta l'inizio di un periodo di transizione dove questi convivono con l'apparato ben più solido e sperimentato dello stato nazionale. In questo contesto, il prossimo governo italiano dovrà rispettare le direttive dei mercati, che già adesso si fanno sentire minacciosi, obbedire alle imposizioni della finanza internazionale e aumentare la produttività del lavoro. La differenza con gli anni Venti è presto spiegata: allora il capitalismo aveva decisi margini di sviluppo, oggi la situazione è compromessa e priva di sbocchi di natura riformistica. Questa non è una crisi congiunturale.