Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  29 gennaio 2013

Finanza "bluff" e primavera araba

La riunione pubblica di n+1 "Non è una crisi congiunturale", che si è svolta a Parigi lo scorso 25 gennaio e che ha visto l'inaspettata presenza di una quarantina di persone, ha seguito un percorso espositivo suddiviso in tre fasi: una parte metodologica, una centrale di approfondimento ed infine una dedicata alle previsioni per il futuro. Il pubblico presente ha mostrato interesse ed attenzione per tutta la durata della conferenza.

Al termine della relazione alcuni intervenuti hanno criticato il lavoro di n+1 sia perché non sarebbe abbastanza incentrato su temi fondamentali, quali la rivoluzione e il partito, sia per "evidenti" tendenze all'ecologismo e al comunitarismo. Decisamente più stimolante invece l'interessamento di un giovane, estraneo agli ambienti terzinternazionalisti, che ha proposto uno studio di approfondimento delle tabelle sulla mineralizzazione. Tra gli intervenuti anche i rappresentanti di un gruppo di ferrovieri (Assemblea Generale interpo "Gare de l'Est et Île de France") i quali hanno espresso un giudizio positivo sulla relazione e sul lavoro presentato. L'esperienza parigina è stata molto positiva e proficua per il lavoro.

Sempre a proposito di crisi strutturale del capitalismo, la recente vicenda dei conti truccati alla banca Monte Paschi di Siena è un'ulteriore verifica di quanto andiamo dicendo da anni, poiché dimostra l'andazzo autoreferenziale e autonomizzato del capitale finanziario. L'alto rendimento di uno strumento finanziario è di tipo paradossale: può essere dovuto ad un solido retroterra produttivo (i classici "fondamentali") oppure basarsi su di un piedistallo talmente fragile che il rischio corso dev'essere pagato con criteri da strozzini. Anni fa, notando che i titoli ad alto rischio si vendevano bene, qualcuno inventò i cosiddetti junk bonds, i titoli spazzatura. Il rischio era compensato dal rendimento, almeno finché al tavolo del poker non si fu costretti ad andare a "vedere", scoprendo il bluff. Era l'epoca pionieristica. Da allora gli strumenti si sono affinati e non compaiono più con il loro vero volto, ma sono impacchettati in altri strumenti dal contenuto variegato. Negli USA sono state stanziate decine e decine di miliardi di dollari al mese, tutti i mesi, per ripianare lo scoperto delle banche in titoli tossici. Quando le banche vengono salvate in questo modo sono oggettivamente nazionalizzate, anche se non è ammesso ufficialmente. Della serie: costi pubblici, profitti privati.

Tutte le banche hanno fatto operazioni dello stesso genere di quelle effettuate da MPS, ma alcune sono state scoperte ed altre no. Probabilmente il fatto che a Siena vengano a galla solo adesso determinati "traffici", rientra nei giochi politici legati alla prossima tornata elettorale: si colpisce il PD (che ha un ruolo importante nel controllo della Fondazione MPS) in modo da avvantaggiare il listone montiano.

La crisi continua a mordere anche in Egitto dove proseguono situazioni di forte tensione sociale. A tal proposito gli alti vertici dell'esercito hanno dichiarato che c'è il forte rischio di "collasso dello Stato"; il clima instabile, anche di guerriglia, sta facendo scricchiolare l'impalcatura istituzionale. Di fronte a questa situazione gli organismi preposti al mantenimento dell'ordine non possono che rispondere con un abbondante uso della forza: nelle ultime manifestazioni ci sono state parecchie vittime e a Port Said, Suez e Ismailiya è stato proclamato il coprifuoco. Inoltre la Camera del Parlamento ha dato ai militari la possibilità di arrestare i civili conferendogli lo stesso potere delle forze di polizia.

Come scritto nel volantino "L'Egitto in rivolta al centro di un ampio marasma sociale", gli scontri non potevano certo concludersi con la semplice caduta di Mubarak dati i motivi materiali che hanno fatto scatenare la sommossa. Gli scioperi non sono mai terminati dalla caduta del "faraone".

Quanto accade in Egitto è solo un aspetto di un più vasto ribollire sociale. In un articolo dell'"Economist" sul Mali, viene fatto un parallelo con la situazione dell'Afghanistan dove le truppe occidentali sono impantanate da un decennio. Se la guerra civile in corso in Siria si estende a tutta l'area, la situazione risulterà molto vicina ad uno scenario di tipo catastrofico.

Nell'area subsahariana, l'Egitto è il paese più strutturato con uno Stato adatto più di altri a risolvere problemi, anche se sembra vicino al collasso. E' molto armato, industrializzato e con un proletariato urbano forte e combattivo. Ed è l'unico paese dell'area con un secolo di storia antecedente il colonialismo e con un governo borghese rivoluzionario, che con Mehmet Alì ha conquistato la terra santa minacciando seriamente l'impero Ottomano. Per il governo egiziano equiparare il terrorismo agli scioperi diventa problematico. I proletari egiziani sono indomiti, non si fermano nemmeno davanti alle leggi speciali e quello che sta succedendo in queste ultime settimane lo dimostra.

Riguardo alle proteste egiziane, da qualche giorno in piazza sono presenti gruppi di giovani coperti da passamontagna o da maschere antigas (qualche volta indossano anche quella di Guy Fawkes). Il Fatto Quotidiano riporta che i black block "sono stati definiti dal procuratore generale del Cairo un'organizzazione terroristica, resta però il mistero. Non è chiaro, infatti, quale sia la loro organizzazione e quante persone ne facciano parte. Vestono completamente di nero e portano il passamontagna, sono in prima linea negli scontri con la polizia e nelle loro numerose pagine e account sui social media rivendicano attacchi alle sedi di governo e agli uffici del partito dei Fratelli Musulmani". A differenza dei proletari di Israele che faticano a rompere con il clima terroristico promosso dalla propria borghesia, i proletari egiziani si ribellano allo Stato e scendono in piazza.

Un altro paese importante, appena toccato dalla Primavera araba, è l'Algeria che ha avuto una rivoluzione borghese anti-francese sanguinosa e ha un forte proletariato concentrato in aree urbane, proprio come in Egitto. In Mali invece non è ancora chiaro quello che sta succedendo e mentre i francesi avanzano via terra, i tuareg si sono staccati dal resto della guerriglia e hanno occupato una città del nord. Una mossa che rappresenta una boccata d'ossigeno per gli ex colonialisti perché l'alleanza tra tuareg ed islamici sarebbe un vero problema. Sparare un missile ad un tuareg mimetizzato tra le dune è poco razionale e molto dispendioso ed è impossibile combattere nel deserto con l'aviazione a causa dell'assenza di obiettivi concentrati da distruggere. Bisognerebbe mandare fantaccini via terra ma a quel punto i tuareg, grandi combattenti che dotati di armi e tecnologie moderne potrebbero diventare molto pericolosi, rappresenterebbero una minaccia consistente visto che conoscono meglio il territorio.

Nel Bahrein, paese messo da parte dai media, ci sono scioperi continui e violente repressioni poliziesche; le rivolte sono dovute alla mancanza di cibo, alla miseria crescente ed alla questione della rendita.

Evidentemente potenti determinazioni materiali spingono gli uomini a rompere con questa società e muoversi in un'altra direzione. Ripetiamolo: l'effetto politico-sociale di un'ondata che ha coinvolto Algeria, Tunisia, Egitto, Libia, Giordania, Yemen, Libano, Bahrein... non è quello di un terremoto, come hanno scritto i giornali, ma quello dell'energia che si accumula prima di un terremoto. E chi diffonde strane teorie dietrologiche, che stanno circolando sul Web, sui manovratori delle rivolte sembra ritenga non ci sia materia sociale esplosiva a sufficienza in questo mondo.

In conclusione, si è discusso della possibilità di organizzare un calendario di riunioni da tenere nelle sedi di Roma e Torino, da pubblicizzare attraverso la newsletter o altri strumenti. La proposta rientra anche nel progetto di dar vita ad un sito in cui raccogliere e rendere pubblico il materiale semilavorato.

Articoli correlati (da tag)

  • Imperialismo europeo?

    La teleriunione di martedì sera è iniziata dalla notizia riguardante la cosiddetta questione curda.

    Abdullah Öcalan, storico leader della guerriglia curda, imprigionato nelle carceri turche dal 1999, ha chiesto al PKK l'abbandono della lotta armata. Proprio in questi giorni gli USA hanno annunciato il loro ritiro dalla Siria, dove è presente un contingente americano di circa 2mila soldati impegnati contro l'ISIS e a sostegno delle SDF (Siryan Democratic Force). La mossa di Öcalan è un segno dei tempi, è il portato di un repentino cambiamento degli equilibri mondiali, ma resta da vedere la capacità delle forze curde, divise geograficamente e politicamente, di darsi un indirizzo, se non unitario, almeno non confliggente.

    Il subbuglio sociale negli Stati Uniti ha conseguenze sul resto del mondo. L'annuncio di nuovi dazi doganali da parte dell'amministrazione Trump e, più in generale, il ritorno del protezionismo si scontrano con un mondo che, invece, avrebbe bisogno di un governo unico mondiale per gestire l'attuale sviluppo delle forze produttive. Il rischio è che collassi tutto, e che l'utilizzo dell'arma dei dazi inneschi situazioni incontrollabili: gli ingredienti ci sono tutti, il mercato è piccolo, gli attori sono troppi e ad azione segue reazione. La Cina ha infatti annunciato aumenti del 10-15% dei dazi su diversi prodotti agricoli e alimentari americani.

  • Quale futuro per il capitalismo?

    Durante la teleriunione di martedì sera abbiamo ripreso l'articolo "Il grande collasso", pubblicato sulla rivista n. 41 (2017), utilizzandolo come chiave di lettura per inquadrare quanto accade nello scenario mondiale.

    Il fenomeno della disgregazione degli Stati si manifesta in diversi forme: dai casi più evidenti di collasso delle amministrazioni politiche (Libia, Siria, Somalia, Sudan, Haiti, ecc.) fino a quelli meno visibili di disfunzione dei servizi pubblici. In un breve video presente su YouTube, intitolato "Il problema dell'Italia è lo Stato che non funziona", Lucio Caracciolo, direttore di Limes, afferma che il problema è l'incapacità non tanto del governo-guidatore, quanto dello Stato-macchina.

    Nel secondo dopoguerra, in Italia, lo stato ha realizzato piani di edilizia popolare, ampiamente criticati dalla Sinistra. La corrente a cui facciamo riferimento ha scritto numerosi articoli sulla questione abitativa; tra questi, "Il problema edilizio in Italia" (1950) analizza come la Democrazia Cristiana di Fanfani, in combutta con socialisti e "comunisti", abbia continuato, in versione democratica, la politica d'intervento nell'economia nazionale iniziata con il fascismo. Il capitalismo costruiva alloggi popolari, ma anche grandi impianti industriali, per dare lavoro a masse di operai che affluivano dal sud Italia. Era l'epoca dell'occupazione di massa, a tutti era garantita una vita di sfruttamento. Ora, quel modello non funziona più e gli stati devono fare i conti con la crescita della miseria e della disoccupazione. Le metropoli globali sono bombe ad orologeria: alcune sono abitate da 15 o 20 milioni di persone e, senza un adeguato rifornimento di cibo ed energia, rischiano il collasso.

  • L'Imperialismo al tempo del collasso degli Stati

    La teleriunione di martedì sera è iniziata riprendendo i temi trattati in chiusura di quella scorsa, ovvero la struttura imperialistica mondiale alla luce della crisi degli stati. Nell'articolo "Super-imperialismo?" (2001), scrivevamo:

    "Non può, nel mondo delle borghesie nazionali, esistere un organismo borghese sovranazionale che abbia capacità politica esecutiva, potenza militare sufficiente, indipendenza e funzionamento democratico. Può solo esistere una forza che sia di segno maggiore a tutte le altre e si incarichi dell'ordine. In questo caso gli Stati Uniti. Logicamente essi fanno i propri interessi, ma è anche vero che in generale sono gli interessi del capitalismo e quindi delle nazioni capitalistiche subordinate."

    Gli Stati Uniti difendono i propri interessi specifici, che si estendono su scala globale, come la protezione dei punti strategici per il transito delle merci. L'imperialismo delle portaerei è basato sulla proiezione di potenza ed il controllo degli oceani ma, come affermava il geografo inglese Halford Mackinder (Heartland), resta fondamentale controllare quanto accade sulla terraferma.

    Haiti, situata a breve distanza dale coste statunitensi, è da tempo in mano a bande e milizie, gli Americani non riescono a ristabilire una parvenza di ordine. In Birmania, dove la Cina ha forti interessi, Pechino potrebbe inviare, per la prima volta, proprie truppe. Nel Mar Rosso, anche a causa dei continui attacchi condotti dagli Houthi, il traffico è diminuito dell'80%.

Rivista n°56, dicembre 2024

copertina n° 56

Editoriale: I limiti dell'… inviluppo / Articoli: Il gemello digitale - L'intelligenza al tempo dei Big Data - Donald Trump e il governo del mondo / Rassegna: Il grande malato d'Europa - Il vertice di Kazan - Difendono l'economia, preparano la guerra / Recensione: Ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo / Doppia direzione: Il lavoro da svolgere oggi - Modo di produzione asiatico? - Un rinnovato interesse per la storia della Sinistra Comunista - Isolazionismo americano post-elettorale?

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email