Anche in Europa e dintorni non si spengono i focolai di rivolta. In Bulgaria, proseguono da ormai 40 giorni le manifestazioni di piazza per ottenere le dimissioni del governo in carica; il movimento, che in realtà non si è mai arrestato dalla prima ondata di proteste nel febbraio scorso, si sta estendendo ad altre città. Sembra che l'innesco sia dovuto all'aumento delle tariffe di luce e gas. In Egitto si susseguono manifestazioni pro e contro Morsi, che vedono il fronteggiarsi delle rispettive parti, e ci sono quasi quotidianamente duri scontri con morti e feriti. Anche in Turchia le mobilitazioni e le proteste continuano senza sosta. A tal proposito si è fatto un paragone tra Occupy Gezi e il movimento No Tav. In Val di Susa il livello dello scontro si sta alzando. Le manifestazioni dei valligiani coinvolgono sempre alcune migliaia di persone e ultimamente gli scontri tra manifestanti e polizia sono caratterizzati dal corpo a corpo nei boschi con fitto lancio di lacrimogeni, simili a quelli lanciati sulla folla in Brasile e Turchia. Finchè rimane un unico cantiere da sorvegliare e difendere, le forze dell'ordine riescono a gestire la situazione, ma se si dovessero aprire altri siti lo Stato dovrà militarizzare completamente il territorio. Allo stesso tempo se la lotta rimane focalizzata sull'alta velocità, non andrà da nessuna parte, soprattutto perchè già si intravedono tutti gli ingredienti affinché possa emergere qualcos'altro in grado di trascendere sul piano politico generale. Occupy Val di Susa? Già da tempo il movimento è uscito dai confini della Valle coinvolgendo gruppi sparsi di militanti in Italia e all'estero; nel contesto internazionale è inevitabile che questa lotta locale tenda a saldarsi con quella globale che sta scuotendo il mondo. Il locale diventa "glocale" e, parafrasando Marx, a Susa come a New York ciò che sembra un mezzo può diventare lo scopo. Da una lettera dei manifestanti di Piazza Taksim al movimento No Tav:
"Mentre i nostri compagni ad Ankara, Antakia, Adana, Izmir vengono attaccati in queste ore ancora una volta da quei poteri forti che noi di Istanbul abbiamo lasciato al di là delle barricate appena una settimana fa, noi in questa piazza che ora è nostra stiamo imparando a restare uniti e ad avere fiducia nella lotta che ci ha fatti incontrare. Non sappiamo quanto riusciremo a restare qui, non sappiamo ancora che ne sarà della nostra resistenza dopo questi pochi giorni. Ma abbiamo imparato a lottare insieme. E che da qui si può soltanto imparare ancora di più. E siamo sicuri che in questo vi siamo fratelli, nonostante la nostra distanza geografica. La vostra resistenza è la nostra resistenza e questo è soltanto l'inizio – la lotta continua!"
Nelle richieste dei manifestanti di ormai decine di paesi e centinaia di città in tutto il mondo, c'è un' invarianza di fondo: da una parte la casualità del detonatore delle proteste, dall'altra la causalità delle esplosioni sociali, tutte legate alla sofferenza di vivere in una società sempre più infame.
Nella seconda parte della teleriunione abbiamo discusso dell'attività sindacale. Il sito Chicago86 è uno strumento utile per diffondere una linea politica di intervento nelle lotte immediate alternativa a quella di gruppetti e sindacati. Questo progetto ha un taglio decisamente antiformista, è diverso dai siti della galassia della sinistra movimentista e rifugge l'omologazione imperante in ambito sindacale. Nato con la premessa di uscire dal localismo e di universalizzare il contenuto della lotta di classe, il sito non propone la formazione dell'ennesimo sindacatino fotocopia, bensì di mettere in campo un approccio completamente diverso all'attuale piagnisteo riformista intriso di recriminazioni sui diritti e le garanzie. Anni e anni di "concertazione" hanno fatto tabula rasa dei principii più elementari tra i quali il mutuo appoggio tra sfruttati. Chicago86 parte dai fondamenti della lotta di classe, dalle esperienze storiche del proletariato e dalle lezioni che il movimento operaio ha tratto dalle sconfitte. Viviamo in una società globalizzata, le esperienze locali vanno necessariamente collocate in una prospettiva internazionale. Negli Stati Uniti, ad esempio, sta emergendo con forza la necessità della mutua assistenza tra lavoratori e, dalla ristorazione veloce alla grande distribuzione, stanno nascendo piattaforme di lotta aperte, senza leader, collegate attraverso Internet e pronte ad allargarsi ad altri paesi.
E' naturale tendenza dei lavoratori collegare le lotte, fare fronte unico dal basso, e la parola d'ordine unificante non può che essere quella del salario ai disoccupati e della drastica riduzione della giornata lavorativa. Occorre pensare ad un'organizzazione territoriale che abbracci tutti i lavoratori indipendentemente dal tipo di contratto o dalla tessera sindacale.
La discussione ha dato l'occasione di ribadire l'importanza dell'ambiente, prima ancora della teoria. A livello della spinta fisiologica elementare l'esistenza di un ambiente rivoluzionario è l'unica condizione affinché si realizzi il marxiano rovesciamento della prassi, ovvero l'emergere di una comunità umana in contrapposizione alla non-comunità alienata del Capitale:
"No, perdìo, la via della propaganda non è la teoria, ma il sentimento, in quanto questo è il riflesso spontaneo dei bisogni materiali nel sistema nervoso degli uomini. Occorre, se vogliamo vincere le riluttanze egoistiche dell'operaio, fargli vedere le condizioni di tutti i suoi simili, portarlo in un ambiente che gli parli della "classe" e del suo avvenire. Sotto l'influenza di tale ambiente egli non correrà rischio di diventare un rinnegato. E che non sia questa un'opera di cultura lo prova il caso degli intellettuali che "rinnegano" con grande facilità, malgrado la solidità teorica delle loro idee, a cui certo non potrebbero mai giungere gli operai... [Nell'intellettuale] la convinzione vera, in generale, si forma poi, a contatto dell'ambiente operaio, per il confronto con quello che si è lasciato. L'opinione politica non è un atteggiamento di pensiero, ripetiamolo a costo di essere lapidati da idealisti, culturisti, maniaci della 'Filosofia' o della 'Scienza'".
La rivoluzione lavora da sempre e la lotta di classe nel capitalismo è permanente. Partito e azione di classe, 1921: 1) le rivoluzioni e i partiti non si "fanno", si dirigono; 2) i compiti attuali del partito si deducono da quelli che avrà nella società futura. Primo, dunque: la rivoluzione c'è, ha un suo decorso, non la si può "fare". Certo, al suo culmine vi potrà essere una qualche forma di insurrezione. Secondo: il partito si forma nel corso della rivoluzione e tende in via naturale ad attingere le sue funzioni dalla società capitalistica (l'ideologia dominante è quella della classe dominante), per cui è necessaria una direzione che possa spezzare questo vincolo e introdurre funzioni attinte dalla società futura. In entrambi i casi vi è un problema vitale di direzione. Il testo citato precisa che le conoscenze necessarie non possono essere tratte dalla somma di quelle ereditate ma occorre un salto di paradigma, come si direbbe adesso. I comunisti non inventano teorie, devono prendersi carico di un lavoro che altri hanno fatto e cercare di portarlo a termine senza snaturarlo; e si aspettano risultati quantitativi da quelli qualitativi che sapranno raggiungere, dal lavoro ben fatto. Il contrario sarebbe assurdo, sarebbe come mettere il carro davanti ai buoi. Insomma, il lavoro che ruota intorno alla rivista n+1 ha già affrontato nel recente passato l'approccio contingentato per questioni: sindacali, nazionali, ecc. Oggi questo metodo non-universale di concepire i fatti sociali è fuori dal mondo, e da evitare poiché dannoso.