Nella Lettera Enciclica Lumen Fidei scritta a quattro mani dai due Papi troviamo, oltre ad una forte impronta filosofica tipicamente "ratzingeriana", alcuni passaggi interessanti rispetto al rapporto tra fede e ragione. Nella dialettica indissolubile che le lega, l'impulso che fa scattare la nuova conoscenza è la fede, mentre solo in un secondo momento arriva la ragione a completare il tutto:
"È urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede [...] Da una parte, essa procede dal passato, è la luce di una memoria fondante, quella della vita di Gesù, dove si è manifestato il suo amore pienamente affidabile, capace di vincere la morte. Allo stesso tempo, però, poiché Cristo è risorto e ci attira oltre la morte, la fede è luce che viene dal futuro, che schiude davanti a noi orizzonti grandi, e ci porta al di là del nostro "io" isolato verso l'ampiezza della comunione."
Ovviamente l'importanza della fede viene qui connaturata al messaggio divino e declinata nel contesto religioso. Per i comunisti si tratta invece della capacità di anticipare conoscenze che verranno confermate successivamente dalla ragione dimostrativa, intendendo la fede come potenziale anticipato:
"È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante (abbandoniamo l'ignobile termine di "progressivo"). Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità, le sue dimostrazioni, le sue prove. Ma la novità, la nuova conquista, la nuova conoscenza non ha bisogno di prove, ha bisogno di fede! [sic] non ha bisogno di dubbio, ha bisogno di lotta! non ha bisogno di ragione, ha bisogno di forza! il suo contenuto non si chiama Arte o Scienza, si chiama Rivoluzione!" (Relazione sulla teoria della conoscenza, Firenze 1960).
Papa Francesco, rispetto ai suoi predecessori, ha un approccio particolare all'incarico pontificio, a partire dalla scelta del nome per il pontificato. E cioè quello del fondatore dei francescani, Ordine storicamente inviso a quello cui lui appartiene.
Fondata dal soldato Ignazio di Loyola, la Compagnia di Gesù nasce come elemento di battaglia in difesa della Chiesa nel periodo della Controriforma. Con il compito di conoscere e studiare la modernità, di portare all'estremo le contraddizioni interne alla Chiesa, di comprendere le tensioni sociali e, soprattutto, prevenirle, il "programma" dell'Ordine viene approvato nel 1540. Opera in Sud America dove prende le difese degli Indios contro i bianchi colonizzatori, e parallelamente organizza missioni comunistiche a più riprese sconfessate dalla Chiesa. Sempre nel Cinquecento, i gesuiti penetrano in Cina, imparano il cinese, lo insegnano agli occidentali e stabiliscono nuovi canali comunicativi. Nell'800 e nel '900 sono molto attivi in America latina:
"Dagli anni Cinquanta la Compagnia di Gesù ha affrontato una serie di mutamenti che l'hanno resa quasi irriconoscibile rispetto alla Compagnia rifondata nel 1814. Dalle posizioni intransigenti la Compagnia è passata a posizioni molto più liberali. I protagonisti di questa svolta sono stati gesuiti come l'americano John Courtney Murray, che compì delle aperture notevoli per la chiesa nei confronti dell’aborto distinguendo tra l'immoralità del gesto e la possibilità o meno di trasformare il giudizio morale in una legge dello Stato. Murray fu uno dei più importanti promotori della Dignitatis Humanae Personae: il documento, prodotto dal Concilio Vaticano II, nel quale si affermava per la priva volta da parte della Chiesa Cattolica la libertà religiosa. Ancora più importanti furono i cambiamenti portati avanti da Pedro Arrupe, Generale dell'ordine dal 1965 al 1983. Arrupe sottolineò l'importanza di realizzare la giustizia sociale e di combattere la povertà nella missione dell'ordine. In quegli anni si andò sviluppando in America Latina una delle correnti che hanno maggiormente connotato la Compagnia di Gesù nel secondo dopoguerra: la Teologia della Liberazione. Si trattò di un movimento che voleva rileggere gli insegnamenti cattolici nell’ottica dei più poveri, soggetti alle diseguaglianze sociali e all'oppressione politica. Per i critici non era altro che una versione cristiana del marxismo." (Chi sono i Gesuiti, Il Post)
Ma l'Ordine subisce anche numerose ondate repressive. Basti ricordare quando nel 1773 viene soppresso (contava 23mila membri presenti in 42 province) da papa Clemente XIV.
In Italia i gesuiti sono i più efficaci critici del Risorgimento e della sua retorica, in senso reazionario. Abilissimi contraddittori, è nelle pagine della loro rivista La civiltà cattolica, ancora oggi vigente, che scrivono intelligenti confutazioni dei principi filosofici fondanti la democrazia politica, o che mettono perfettamente in luce la contraddizione, nella guerra al "brigantaggio", tra la volontà politica di portare la libertà nel Sud e la necessità sociale, non volendo cambiare ovviamente la loro condizione economica, di stroncare sanguinosamente la ribellione contadina. Proprio per questa loro abilità di cogliere le contraddizioni degli avversari, ma questa volta in senso progressista, non è un caso che negli anni Ottanta e Novanta la cosiddetta primavera di Palermo ebbe come sua eminenza grigia un gesuita come padre Ennio Pintacuda.
Conservatori e innovatori allo stesso tempo, i gesuiti sono la risposta della Chiesa alle novità che la nascente borghesia porta con sé (protestantesimo) e portano alla massima espressione quella capacità della Chiesa Cattolica di saper prendere, caso per caso, tutte le posizioni dello spettro politico borghese. Questa capacità non va però confusa col mero trasformismo borghese. La Chiesa non usa barattare la sua dottrina, esprime invece l'abilità sincretista di assimilare gli elementi contrastanti della società per entrare in sintonia con essa e governarla.
La teleriunione è proseguita con il commento dello sciopero dei Fast Food negli Stati Uniti. Il movimento dei lavoratori dei Fast Food è arrivato, a partire dal novembre scorso, al terzo sciopero, che possiamo definire nazionale visto che le città coinvolte sono molte. La richiesta dei lavoratori è di stabilire un salario minimo di 15 dollari l'ora (#Fightfor15) rispetto alla paga base media che si aggira tra i 7 e i 9 dollari; la lotta è partita da New York e si è poi estesa ad altre città (Chicago, Detroit, Milwaukee, St. Louis, Kansas City e Flint, Michigan), allargandosi a reti di gruppi di quartiere, comunità, sacerdoti e sindacati di base. In America il terziario è diventato il settore primario dell'economia e ha assunto un'importanza strategica. Se inizialmente eravamo in pochi a seguire con attenzione questa vertenza, oggi essa suscita interesse da più parti, soprattutto per le modalità organizzative (social network, organizzazione territoriale, picchetti volanti). La battaglia di Fast Food Forward si profila lunga e dura. Le più grandi aziende americane hanno respinto l'aumento dei salari; Walmart, il più grande gruppo di distribuzione americano, si è spinto a minacciare il congelamento della realizzazione di alcuni edifici già in costruzione, dopo che il Comune di Washington DC ha approvato una legge che richiede ai grandi rivenditori di pagare ai propri lavoratori un "salario di sussistenza" di almeno 12,50$ l'ora. Ma questi lavoratori non demordono e il loro coordinamento cresce: lo sciopero generale è partito lunedì e continua poiché l'obiettivo è varare una legge che imponga un salario minimo garantito. Tale richiesta potrebbe estendersi e coinvolgere altre categorie di sfruttati e legarsi, un domani, a quella del salario ai disoccupati e della riduzione dell'orario di lavoro.
A proposito di lotte dirompenti, anche l'Italia prova a fare la sua parte: da sette giorni il porto di Napoli è bloccato dallo sciopero dei lavoratori della logistica. Causa scatenante sembra essere l'abolizione dei ticket per i pasti. Bypassando completamente i sindacati, 450 portuali hanno incrociato le braccia e, senza copertura sindacale, hanno impedito l'attività di uno dei più grandi centri italiani di smistamento merci. La notizia non ha trovato spazio sulla stampa nazionale benché la protesta coinvolga uno dei settori nevralgici del capitalismo. Lo stesso silenzio stampa è stato riservato alle vicende della Fincantieri di Porto Marghera, dove è in corso una vertenza contro l'aumento dei carichi di lavoro.
Siamo quindi giunti a parlare di K-omunismo: breve scritto sul Kybernetic marxism di uno studioso canadese, Nick Dyer-Witheford, autore di un libro intitolato Cyber Marx, pubblicato sul sito di Libcom, e di un opuscolo, sul blog Culturemachine, Red Planty Plaforms. La domanda di fondo a cui lo scritto tenta di dare una risposta è se è tecnicamente possibile passare ad un sistema in cui la produzione e la distribuzione avvengano senza la mediazione del denaro, ovvero se è possibile realizzare tecnicamente un sistema socialista. Il discorso parte dall'analisi dei tentativi fatti in Unione Sovietica dove matematici del calibro di Kantorovich cercarono di contribuire all'attuazione dei piani economici messi a punto dal governo russo. Nel testo non si coglie la natura capitalista della Russia stalinista, si ammette implicitamente che il fallimento di quella esperienza fosse dovuto esclusivamente a motivi tecnici, non politici. Al di là di questo grosso errore teorico di fondo, lo scritto è interessante perché coglie come, già all'interno del sistema capitalistico, si stiano sviluppando delle tecnologie che consentirebbero, una volta ottenuto il controllo dei mezzi di produzione, di passare in alcuni settori addirittura ad una fase di comunismo avanzato, dove cioè alcuni beni possano essere distribuiti senza limiti di sorta, secondo le necessità di ciascuno.
Si cita, a questo proposito, l'esempio dei software open-source, dove un bene creato dal libero lavoro associato può essere riprodotto a costo zero e distribuito a chi ne ha bisogno. Anche nel campo della produzione che impiega materie prime si sente la spinta della società futura: lo sviluppo di stampanti 3D consente a gruppi di appassionati, i cosiddetti maker, di ingegnerizzare e produrre una crescente varietà di oggetti.
Il concetto di pianificazione ha talvolta evocato anche dei timori: quelli che hanno una visione consiliarista (produzione organizzata a livello locale), angosciati da una possibile deriva totalitaria, si contrappongono a quelli invece che hanno una visione centralizzata della produzione. L'autore sembra propendere per quest'ultima visione, in quanto attraverso un sistema di feedback e cioè un sistema cibernetico, che si serva dell'enorme sviluppo delle telecomunicazioni, sarebbe possibile raccogliere tutta una serie di informazioni utili alla gestione di un unico sistema, in cui ogni individuo segnalando le proprie necessità contribuisce al suo perfezionamento. Il senso ultimo del testo è che il capitalismo stesso ha posto le basi per una società senza denaro: le capacità di calcolo raggiunte oggi sono miliardi di volte superiori a quelle dei tempi dell'URSS. Un gigante come Walmart, anche se oggi al solo fine di estorcere plusvalore, riesce a tracciare 680 milioni di prodotti per settimana.
Se togliamo il capitalismo e lasciamo la tecnica, ci ritroviamo delle discipline, come la programmazione lineare, molto interessanti. Programmazione lineare significa produzione ottimizzata. L'Unione Sovietica aveva fatto uno sforzo enorme in questa direzione, scoprendo che la mano invisibile del mercato poteva essere in via teorica sostituita dal calcolo. Le potenzialità raggiunte da questi sofisticati modelli non furono applicate nella Russia di allora ma vennero riprese in America per organizzare la mega produzione industriale a partire da quella necessaria a sostenere l'immenso sforzo bellico del secondo conflitto mondiale. Già alla fine degli anni Quaranta si intravede la possibilità di una potenza di calcolo praticamente infinita. In effetti, anche senza considerare gli inevitabili sviluppi futuri, il capitalismo ha già raggiunto la potenza di calcolo e gli strumenti di pianificazione sufficienti ad organizzare la vita della società futura.