Informazioni aggiuntive

  • Resoconto teleriunione  24 marzo 2015

Fattori di rischio

Durante la teleconferenza di martedì sera, presenti 13 compagni, si è discusso di #FightFor15 e ambienti di lotta, dell'annunciato declino dello Stato Islamico, di ripresa economica e bond spazzatura.

Il movimento "Fight For 15" sta andando oltre l'aspetto puramente rivendicativo e comincia a configurarsi come una vera e propria comunità collegata in Rete. La giornata di sciopero indetta per il prossimo 15 aprile dai lavoratori dei Fast Food è incentrata su richieste di tipo salariale e sulla rivendicazione del diritto di organizzazione nei luoghi di lavoro. Allo sciopero si è accodata anche la nostrana Filcams-Cgil con una mobilitazione nel settore del turismo.

La lotta per una paga oraria di 15 dollari è stata lanciata nel 2012 da alcuni gruppi di attivisti legati al Partito Democratico e al sindacato SEIU. Poi il movimento è cresciuto (sono nati comitati di lotta come RaiseUpfor15, ShowMe15, ecc.), si è radicalizzato ed è diventato indipendente dalle forze che lo hanno promosso. Sui social network, usati massicciamente per coordinarsi e diffondere informazioni, oggi si vedono foto di mobilitazioni ed iniziative dove lavoratori dei Fast Food, di Walmart e di #BlackLivesMatter manifestano insieme.

In America accade facilmente che una struttura di lotta assuma una dimensione comunitaria; il motivo probabilmente è legato alla tradizione derivata dai primi immigrati europei che, costretti a vivere assieme, sviluppavano comunità di supporto. Anche il Venus Project, di cui abbiamo parlato spesso, si presenta come una comunità umana proiettata nel futuro. In Europa lo sviluppo di un ambiente di questo tipo trova sicuramente maggiori difficoltà, ostacolato dal leaderismo e dalla politique politicienne.

Comunque, sembra che anche in Italia stia maturando qualcosa di importante. Lo dicono i servizi segreti: aumentando la disoccupazione e contraendosi il PIL, crescono il malcontento, il disagio sociale e la disaffezione verso la politica.

"Nel quadro delineato, ha continuato a distinguersi il crescente fermento espresso dal comparto della logistica, le cui maestranze, in gran parte di origine extracomunitaria, sono considerate un ambito di potenziale consenso proprio da quei settori dell’antagonismo che guardano alle vertenze in un’ottica di classe. Parimenti, si profilano, in prospettiva, quali ambiti lavorativi a maggior rischio mobilitativo, tutti quelli ad 'alto tasso di precarizzazione', caratterizzati dall'utilizzo di manodopera asseritamente sottopagata, priva di tutele e senza adeguata rappresentanza sindacale. In termini previsionali, il protrarsi delle criticità occupazionali, correlato alla mancata soluzione delle vertenze, potrebbe originare un innalzamento del livello di protesta operaia nei contesti aziendali più colpiti dalla crisi in atto, suscettibile di estemporanee degenerazioni, anche violente. Ulteriore fattore di rischio appare connesso alle dinamiche rivendicative del cd. precariato esistenziale (precari, disoccupati, giovani, immigrati, etc.) che al problema del lavoro sommano istanze relative a bisogni primari, quali il diritto alla casa, alla salute e, più in generale, alla fruizione di beni e servizi pubblici."

I servizi insomma avvertono che anche in Italia potrebbe arrivare l'ondata di protesta che negli ultimi anni ha attraversato Stati Uniti, Brasile, Turchia e molti altri paesi, dove quello che abbiamo chiamato proletariato diffuso ha dato vita a movimenti generalizzati senza rivendicazioni particolari ma tendenti a porsi contro il sistema capitalistico nel suo insieme.

La riunione è proseguita con le notizie provenienti dal fronte di guerra. Da qualche giorno si vocifera su un presunto declino dello Stato Islamico. Può darsi, ma ci sembra troppo presto per dirlo. Secondo il sito Asia News, la città di Tikrit si è schierata con i jihadisti e alcuni analisti temono la vendetta da parte degli sciiti per il massacro di 700 soldati (per la maggior parte sciiti) compiuto lo scorso giugno dai miliziani dello Stato Islamico e da alcune tribù sunnite. Ora, se le forze armate irachene riescono ad avanzare e a togliere terreno alle truppe dell'IS, queste si sposteranno verso la Siria. L'area controllata dai governativi iracheni sembra preludere alla chiusura di un triangolo Baghdad-Tikrit-Haditha per togliersi la pericolosa enclave di Falluja. Interessante la direttrice stradale che parte dalla zona di Najaf e va verso la Giordania, dato che essa permette: 1) di congiungersi con l'unico paese che ha manifestato l'intenzione di impegnarsi con truppe di terra; 2) di chiudere il corridoio dei finti profughi dell'IS che s'infiltrano in Giordania. Queste due novità potrebbero effettivamente mettere in difficoltà l'IS, mentre i fattori a suo favore sono: 1) le difficoltà incontrate nella occupazione di Tikrit (140.000 abitanti) fanno sorgere dei dubbi sulla possibilità di riconquistare Mosul (2,8 milioni), operazione che sarebbe pianificata per maggio. 2) è a rischio l'intera Siria: la guerra civile avrebbe decimato i combattenti e i civili fuggiti all'estero sono già 3 milioni cui si aggiungono 6,5 milioni di sfollati interni praticamente alla fame. Il 50% della popolazione è senza acqua, elettricità, combustibili e stenta ad alimentarsi (dati ONU).

Nordafrica, Sahel e Medio Oriente sono in un vicolo cieco, sono alla guerra di tutti contro tutti. L'Italietta, che dopo i fatti di Tunisi si rende conto che basta un manipolo di uomini armati per far saltare delicati equilibri e mandare in crisi l'economia di un paese, comincia a far vedere i muscoli. Il premier Matteo Renzi parla di minaccia globale: "Negli ultimi mesi sono stati colpiti Parigi, Copenaghen, Bruxelles stessa. Siamo di fronte a una minaccia globale e abbiamo bisogno di concentrare l'attenzione ancor di più sul Mediterraneo." La linea di guerra sta pericolosamente, e velocemente, avvicinandosi.

L'ultimo tema affrontato nella serata è stato quello economico.

In molti annunciano l'avvio della ripresa negli Stati Uniti, in pochi però prestano la dovuta attenzione ai bond spazzatura in circolazione: con il calo del prezzo del petrolio sono tornati a deprezzarsi i junk bond che sono serviti per il finanziamento alla produzione di shale oil. Si tratta di debiti non più tracciabili diffusi nel mercato mondiale, che potrebbero causare grossi problemi all'economia. Basti ricordare quanto accaduto con lo scoppio della bolla dei mutui subprime.

Intanto prosegue il piano di quantitative easing della BCE, sono 60 i miliardi che inondano il mercato ogni mese. Un effettivo rilancio dell'economia potrebbe rivelarsi, a questo punto, pericoloso, vista la massa di capitale fittizio pronta a mettersi in moto. L'economia reale, quella che muove macchine e acciaio è nulla rispetto alla massa finanziaria che scalpita per valorizzarsi. La BCE è stata protagonista anche sul versante sociale in quanto oggetto di numerose proteste attivate dai network "antagonisti" di tutta Europa. Il movimento ha organizzato un assedio al nuovo palazzo della banca europea dando luogo ad una mobilitazione che è stata qualcosa di più della semplice somma dei gruppi che vi hanno partecipato. Qualcosa del genere potrebbe ripetersi il Primo Maggio a Milano in occasione della inaugurazione di Expo 2015.

Le alleanze, le coalizioni e i fronti politici sono passeggeri, quello che conta è il movimento sottostante che fa scendere in piazza milioni di persone in tutto il mondo contro lo status quo. Nell'epoca del capitalismo stramaturo, tutti i movimenti sociali, anche quelli apparentemente interni a questo modo di produzione (lotte fra correnti borghesi, lotte rivendicative immediate della classe proletaria, sommosse interclassiste), sono in realtà manifestazioni dello scontro in atto fra modi di produzione, tra il vecchio che si sta dissolvendo e il nuovo che sta emergendo.

Articoli correlati (da tag)

  • Il crollo dell'ordine economico mondiale

    La teleriunione di martedì sera è iniziata prendendo spunto dall'ultimo numero dell'Economist ("The new economic order", 11 maggio 2024), che dedica diversi articoli alla crisi mondiale in atto.

    Secondo il settimanale inglese, a prima vista il capitalismo sembra resiliente, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina, del conflitto in Medioriente, degli attacchi degli Houthi alle navi commerciali nel Mar Rosso; in realtà, esso è diventato estremamente fragile. Esiste, infatti, un numero preoccupante di fattori che potrebbero innescare la discesa del sistema verso il caos, portando la forza a prendere il sopravvento e la guerra ad essere, ancora una volta, la risposta delle grandi potenze per regolare i conflitti. E anche se non si arrivasse mai ad uno scontro bellico mondiale, il crollo dell'ordine internazionale potrebbe essere improvviso e irreversibile ("The liberal international order is slowly coming apart").

    Il fatto che un periodico come l'Economist, rappresentante del capitalismo liberale, arrivi a parlare di un ordine economico prossimo al collasso è da annoverare tra quelle che la Sinistra definisce "capitolazioni ideologiche della borghesia di fronte al marxismo". L'infrastruttura politica a guida americana che faceva funzionare le relazioni tra gli stati è andata in frantumi. Organismi nati per risolvere le controversie mondiali, ad esempio il WTO, non riescono a promuovere il commercio internazionale, che negli ultimi anni ha registrato una frenata, e a far ripartire un ciclo virtuoso di accumulazione. Secondo il settimanale inglese, i sussidi e gli aiuti all'economia nazionale, e i dazi e le sanzioni agli stati concorrenti, anche a causa della guerra (secondo il gruppo di ricerca Global Sanctions Database, i governi di tutto il mondo stanno imponendo sanzioni con una frequenza quattro volte superiore a quella degli anni '90), rappresentano una minaccia all'economia di mercato rendendo più difficile la ripresa globale. Negli ultimi anni hanno smesso di crescere gli investimenti transfrontalieri, anche in conseguenza alle misure protettive adottate dagli stati; si sono sviluppate forme di pagamento che bypassano i circuiti standard; si sta combattendo una guerra che non produce ufficialmente vittime, ma che è alla base dello sconvolgimento in corso: la guerra per detronizzare il dollaro.

  • La guerra è dissipazione di energia

    La teleriunione di martedì sera è iniziata discutendo dell'evoluzione degli attuali scenari di guerra.

    Gli Stati, anche quelli importanti come USA e Federazione Russa, faticano a tenere il passo nella produzione di munizioni necessaria per il conflitto in corso in Ucraina. Il Fatto Quotidiano riporta alcuni dati significativi: nel giugno 2022 i Russi sparavano 60 mila colpi al giorno, a gennaio del 2024 ne sparavano 10-12 mila contro i 2 mila dell'esercito avversario. Senza l'aiuto dell'Occidente l'Ucraina sarebbe già collassata, ma ora l'America ha delle difficoltà: "Gli Usa, il principale fornitore di proiettili di artiglieria dell'Ucraina, producono 28mila munizioni da 155 mm al mese con piani di aumento della produzione a 100mila entro il 2026." La fabbricazione di tali quantità di munizioni comporta uno sforzo nell'approvvigionamento di materie prime, e infatti c'è una corsa all'accaparramento di scorte di alluminio e titanio. Già l'anno scorso l'Alto rappresentante UE per la politica estera, Josep Borrell, affermava: "In Europa mancano le materie prime per produrre le munizioni da mandare all'Ucraina".

  • Capitale destinato ad essere cancellato

    La teleriunione di martedì sera è iniziata con un focus sulla situazione economico-finanziaria mondiale.

    Abbiamo già avuto modo di scrivere delle conseguenze di una massa enorme di capitale finanziario (il valore nozionale dei derivati è di 2,2 milioni di miliardi di dollari) completamente slegata dal Prodotto Interno Lordo mondiale (circa 80 mila miliardi annui). Quando Lenin scrisse L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo, il capitale finanziario serviva a concentrare investimenti per l'industria, che a sua volta pompava plusvalore. Oggigiorno, questo capitale non ha la possibilità di valorizzarsi nella sfera della produzione, perciò è destinato a rimanere capitale fittizio e quindi, dice Marx, ad essere cancellato.

    Nell'articolo "Accumulazione e serie storica" abbiamo sottileneato che è in corso un processo storico irreversibile, e che non si tornerà più al capitale finanziario del tempo di Lenin e Hilferding. In "Non è una crisi congiunturale", abbiamo ribadito come il rapido incremento del capitale finanziario è una conseguenza del livello raggiunto dalle forze produttive. La capacità del capitale di riprodursi bypassando la produzione materiale è un'illusione, e il ritorno alla realtà è rappresentato dallo scoppio delle bolle speculative. Ogni strumento finanziario è necessariamente un espediente per esorcizzare la crisi di valorizzazione, nella speranza di poter trasformare il trasferimento di valore in creazione del medesimo.

Rivista n°54, dicembre 2023

copertina n° 54

Editoriale: Reset

Articoli: La rivoluzione anti-entropica
La guerra è già mondiale

Rassegna: Polarizzazione sociale in Francia
Il picco dell'immobiliare cinese

Terra di confine: Macchine che addestrano sè stesse

Recensione: Tendenza #antiwork

Raccolta della rivista n+1

Newsletter 245, 19 gennaio 2022

f6Libertà

Viviamo in una società che scoppia. I suoi membri, divisi o raggruppati secondo criteri il più delle volte arbitrari e casuali, non riescono più a darsi un'identità plausibile. La pandemia, invece di compattare gli individui intorno a provvedimenti utili alla salvaguardia della specie, ha aggravato la situazione facendo emergere ataviche tendenze all'irrazionale.

Continua a leggere la newsletter 245
Leggi le altre newsletter

Abbonati alla rivista

Per abbonarti (euro 20, minimo 4 numeri) richiedi l'ultimo numero uscito, te lo invieremo gratuitamente con allegato un bollettino di Conto Corrente Postale prestampato.
Scrivi a : mail2

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla newsletter quindicinale di n+1.

Invia una mail a indirizzo email