I teatri di guerra sono tutti collegati. In Siria, così come in Mali, operano i sevizi segreti militari ucraini (GUR), che cercano di colpire la Russia su più fronti. Le recenti manovre russe nel Mediterraneo orientale, con il lancio di missili ipersonici Zirkon, sono avvertimenti che Mosca invia ai suoi nemici: non ci manderete via dalla Siria. Questo tipo di missili è difficilmente intercettabile perché può viaggiare a una velocità fino a 10 volte superiore quella del suono. E' sempre più chiaro che tali conflitti, seppur localizzati geograficamente, sono inseriti in un contesto di guerra mondiale.
Nel governatorato di Idlib, roccaforte dei miliziani di HTS, sono presenti anche forze irregolari legate alla Turchia; in tutto il distretto circola la lira turca e i collegamenti (acqua, luce, ecc.) vengono forniti direttamente da Ankara. La penetrazione in Siria da parte di forze filo-turche sta diventando qualcosa di serio: non sappiamo quanto si spinga in profondità l'avanzata di HTS (Al-Jazeera riporta di scontri intorno alla città di Hama), ma nei fatti la Turchia si candida a fungere da forza di stabilizzazione nell'area (anche in funzione anti-Iran). Si dimostra quanto avevamo scritto nella rivista n. 23, "L'Europa virtuale e i nuovi attrattori d'Eurasia: la Turchia come fulcro dinamico": la Turchia si fa sentire non solo come potenza regionale, collocata com'è tra Europa, Caucaso e Medio Oriente, ma anche come potenza mondiale, con una propria zona d'influenza turcofona che arriva fino in Cina (gli uiguri sono un'etnia turcofona di religione islamica). Il Patto Nazionale turco, ovvero l'insieme di decisioni prese dall'ultima legislatura del Parlamento ottomano (1919), disegna i confini del paese e questi includono anche le città di Mosul e Aleppo.
La Siria è ormai uno stato disgregato. A nord est ci sono i curdi del Rojava, sostenuti dagli USA e storicamente nemici della Turchia (che è membro della NATO). A nord ovest diverse aree (Afrin, Idlib) sono in mano alle milizie filo-turche. Nel deserto verso l'Iraq permangono sacche dello Stato Islamico.
Con il 7 ottobre, giorno dell'attacco di Hamas ad Israele, si è messo in moto un effetto domino e, nella già precaria situazione mediorientale, ognuno ha iniziato a muoversi secondo piani e wargame pronti per l'utilizzo sul campo. Israele sta soffiando sul fuoco, favorendo l'indebolimento del regime di Al Assad in funzione anti-iraniana (da settimane bombarda Damasco perché ritiene che i rifornimenti iraniani a Hezbollah passino attraverso la Siria). La Turchia arma e sostiene le milizie sunnite dell'opposizione. Russia, Iran ed Hezbollah, come abbiamo detto, sostengono le forze governative. Nella guerra di tutti contro tutti, divenuta sistema, ognuno coltiva i propri interessi, incurante delle conseguenze a medio e lungo termine a livello mondiale. Coloro che sono alleati in un conflitto possono diventare nemici in un altro contesto. La crisi degli Stati non permette di ricomporre le alleanze in maniera coerente, per cui i conflitti diventano endemici.
Il mondo capitalistico è interessato da un'unica ondata di crisi, partita almeno dal 2008. L'editoriale del prossimo numero della rivista, appena portato in tipografia, si intitola "I limiti dell'... inviluppo", e vuol dare l'idea di qualcosa che si avvolge su sé stesso, una matassa difficile da sbrogliare, che non può aggrovigliarsi ancora a lungo.
In passato gli USA hanno sostenuto i talebani in funzione anti-Russia, dopodiché questi si sono autonomizzati. Lo Stato Islamico, invece, nasce anche dalla disgregazione dello stato iracheno e di quello siriano. Nel dopo Saddam, una volta che gli Americani avevano distrutto la macchina statale e la struttura dell'esercito iracheno, le milizie islamiche avevano avuto gioco facile nell'organizzare la "resistenza". Gli stati imperialisti evocano forze che poi non riescono più a controllare. Come molti osservatori borghesi ammettono, la novità della nostra epoca è la [disgregazione degli Stati], ma in pochi comprendono che tale fenomeno fa parte della crisi generale del capitalismo senile. Come abbiamo scritto nell'articolo "Il grande collasso" (n. 41, 2017), "si può sostenere senza sbagliare che le difficoltà degli stati della periferia imperialistica sono dovute al supersfruttamento 'neocoloniale' delle risorse da parte delle centrali imperialistiche, ma il fenomeno dilagante è troppo diffuso su di un ventaglio troppo diversificato per dipendere solo da uno sfruttamento che tutto sommato è sempre esistito da quando esiste il capitalismo. Dev'essere possibile collegare l'effetto sovrastrutturale (il collasso degli stati) alle materiali condizioni economiche della struttura produttiva e distributiva (la crisi sistemica in atto)."
La Siria confina con stati a loro volta collassati o semi-collassati, ad esempio l'Iraq e il Libano. Gli Americani, che cercano di evitare un coinvolgimento diretto sul campo, non possono però esimersi dall'intervenire, per ora tramite l'aviazione e forze proxy, come i Curdi e alcune tribù arabe (Forze Democratiche Siriane).
In Corea del Sud, dove non è in corso una guerra civile, il presidente ha annunciato l'imposizione della legge marziale, scatenando manifestazioni e scontri con la polizia. Stato modernissimo, demograficamente rilevante, produttore di apparecchiature elettroniche, la Corea del Sud è ora in preda al caos politico. Quanto accade non si può disgiungere dalla guerra in Ucraina: le motivazioni ufficiali della proclamazione della legge marziale riguardano il ruolo dei partiti dell'opposizione accusati di appoggiare la Corea del Nord, la quale è presente con propri contingenti in territorio russo. Anche quanto avvenuto recentemente in Giorgia è legato al conflitto ucraino. Nel paese caucasico ha vinto le elezioni un partito filorusso, Sogno Georgiano, e ci sono state proteste da parte di manifestanti filoeuropei, che hanno portato a centinaia di arresti.
L'aspetto della "guerra ibrida" va approfondito perché sta prendendo il sopravvento; essa passa attraverso le famose rivoluzioni arancioni, l'uso di ONG, milizie e partigianerie, il sabotaggio di cavi sottomarini, oleodotti e gasdotti, la guerra elettronica, i sabotaggi informatici, la propaganda, l'uso di agenti d'influenza (quindi coinvolge in pieno la società civile).
In chiusura di teleconferenza, si è accennato alla situazione politico-economica in Germania, alle prese con una crisi che riguarda le grandi case automobilistiche. Negli stabilimenti Volkswagen il potente sindacato IG Metall ha minacciato uno sciopero ad oltranza. Il paese, apparentemente il più stabile d'Europa, fa i conti con una grave crisi economica e i primi segnali di conflittualità sociale. Oltre al marasma sociale e alla guerra, nel mondo sta succedendo qualcosa di grosso a livello strutturale, produttivo, industriale, a cui bisogna prestare la dovuta attenzione. Gli articoli sul prossimo numero della rivista sul "Gemello digitale" e "L'intelligenza al tempo dei Big Data" cercano di dimostrare che siamo nel bel mezzo di una svolta epocale.