Sul fronte politico, è sotto i riflettori la sospensione - nei fatti - del trattato di Schengen. Le massicce ondate migratorie verso l'Europa hanno provocato la riattivazione dei controlli alle frontiere di molti paesi dell'Unione, con modalità diverse per ogni stato e quindi senza alcun coordinamento. Se a questo aggiungiamo i problemi economici che attanagliano la UE, emerge uno scenario grave. Abbiamo sempre detto che l'Europa Unita non esiste in quanto entità politica, ma ora il rischio è quello della disgregazione totale.
A Calais lo scorso 23 gennaio una manifestazione partita dall'accampamento spontaneo dove vivono migliaia di immigrati ha attraversato il centro della città ed è arrivata fino al porto dove immigrati e solidali hanno cercato di prendere il traghetto diretto a Londra. La polizia è intervenuta e con cariche e lanci di lacrimogeni ha disperso il corteo. Le lotte dei senza riserve mettono in luce l'affermarsi di processi di autorganizzazione, gli stessi che, ad esempio, permettono ai profughi siriani di collegarsi con i familiari via social network o di trovare le mappe satellitari per i varchi di ingresso, e che allo stesso tempo si scontrano con i rigurgiti nazionalisti fomentati dalla destra dopo i fatti di Colonia.
In Italia, per ora sono i facchini della logistica ad agitare il panorama delle lotte in corso. A seguito della repressione cui è stato sottoposto il movimento, soprattutto alla Bormioli di Fidenza dove anche i confederali sono scesi in campo organizzando un presidio contro i lavoratori in lotta, due sindacatini attivi nel comparto hanno indetto per il prossimo 30 gennaio una manifestazione congiunta a Parma e Vicenza. Nel frattempo in Veneto istituzioni, rappresentanti dei grandi magazzini e Cgil-Cisl-Uil si sono riuniti per tentare di capire come porre un freno alle lotte che coinvolgono il settore.
Da segnalare la ripresa in Tunisia di un movimento di lotta con caratteristiche simili a quello che diede il via, nel 2011, alla Primavera Araba. Anche in Marocco, finora uno dei pochi paesi non interessato dall'ondata di sconvolgimenti, sono in atto scioperi e proteste del 99% contro l'1% della società.
La teleconferenza si è conclusa con la lettura di un interessante articolo del Corriere sulla "quarta rivoluzione industriale", in cui si tracciano le linee di quella che chiamiamo terra di confine, ciò che sta tra il capitalismo in coma e la società futura. Ne riportiamo un passo:
"Uber, la più grande società al mondo di taxi, non possiede automobili; Facebook, il social media più popolare al mondo non crea alcun contenuto; Airbnb, il più grande fornitore al mondo di ospitalità, non possiede alcun immobile. E Amazon, il più grande commerciante al mondo, non ha una catena di negozi. Eppure il loro valore in Borsa — o quello stimato dai privati investitori, nel caso delle società non ancora quotate — è superiore a quello dei concorrenti del mondo non virtuale, quello dei brick mortar, 'mattoni e cemento'."
Oltre alle merci, anche i mezzi di produzione si smaterializzano. Mentre un'officina, con le sue macchine, i generatori, gli impianti elettrici, genera altra produzione, il software non mette in moto nulla, nella chiavetta USB non troviamo più il rapporto tra la giornata di lavoro pagata e quella non pagata. Cambiano i rapporti interni della composizione del valore: se da una parte diminuisce il plusvalore realizzabile, dall'altra giganteggia il capitale morto fissato nella rendita: svanisce l'essenza del capitalismo.
Il fenomeno Internet mina alla base i rapporti di valore. Gli industriali sul loro giornale ne dicono meraviglia (Lezioni di futuro, Il Sole 24 Ore), ma sono questi i mezzi che uccideranno il Sistema. Nei giorni scorsi è ricorso il 15° anno di vita di Wikipedia. Nel recente passato il capitale editoriale avrebbe eliminato fenomeni di questo tipo, invece oggi avviene il contrario: è Wikipedia che distrugge l'editoria, obbligando la gloriosa enciclopedia Britannica a finire sul web, gratis.
I capitalisti si sono auto-espropriati a favore di un Capitale autonomizzato che tutto ha fagocitato. La società intera deve pagare una tangente ai pochissimi rappresentanti della massa di capitale impersonale e internazionale, proprio quel simbolico 1% contro cui si scaglia Occupy Wall Street.