Abbiamo sempre combattuto contro quelle correnti politiche che pensano che si possa attivare la lotta di classe fondando nuovi sindacati, magari più ideologizzati. Qualunque organizzazione per la difesa degli interessi economici dei proletari ha come fine quello di raccogliere il maggior numero di lavoratori, di diverso credo religioso e politico, e perciò non deve avere rigide connotazioni ideologiche. Nel contesto attuale, in una situazione storica di dominio dell'opportunismo, per i comunisti valgono le indicazioni di Lenin sull'importanza di lavorare nelle organizzazioni sindacali (mettendo sempre in primo piano gli interessi generali del proletariato) per tenersi in "allenamento" e non lasciar cadere la tensione nei confronti dell'avversario.
Solo una polarizzazione capace di provocare uno stravolgimento sociale può cambiare l'attuale assetto corporativo dei sindacati, di certo non i proclami battaglieri dei bonzi di turno. Sindacatini e sindacatoni puntano al riconoscimento da parte dello Stato e alla trattativa con i capitalisti. Detto questo, dobbiamo tener presente che il sindacato ha bisogno di iscritti e ogni tanto è costretto a portare a casa dei risultati scendendo in piazza e organizzando scioperi. Attualmente la CGIL ha circa 5,5 milioni di iscritti, ma più della metà sono pensionati. Questi, per ragioni anagrafiche, non possono rappresentare il futuro dell'organizzazione mentre, significativamente, i giovani precari e i disoccupati non si iscrivono.
Il nuovo sindacato sarà forse - come ha scritto qualcuno - un'app da scaricare sullo smartphone?
Negli Usa, alla fine degli anni '90, i lavoratori dell'UPS hanno utilizzato le apparecchiature satellitari montate sugli automezzi per coordinare uno sciopero che fu importantissimo, non tanto per le rivendicazioni, quanto per la dimostrazione delle potenzialità dell'organizzazione a rete. Occupy Wall Street ha rappresentato un salto avanti: il movimento è riuscito a coinvolgere vasti strati della classe operaia americana mettendo in piedi scioperi simultanei in tutti i porti della West Coast e trascinando i sindacati ufficiali nella lotta. OWS si è organizzato sul piano territoriale, fuori dalle aziende, sulle piazze, da dove è partito all'attacco del simbolico 1%. Dalla fine del 2011 e per tutto il 2012 sul territorio americano si sono formate decine di "acampadas" che hanno saputo risolvere problemi reali: cibo, accoglienza, assistenza medica e comunicazione con il resto del mondo.
Il proletariato diffuso (precario, intermittente e senza riserve) non può che organizzarsi sul territorio, dotandosi di una rete di "luoghi fisici". In Turchia durante le rivolte del 2013 si è formata "Solidarity Taksim", un'aggregazione frontista formata da 116 organismi diversi che andavano dai partiti tradizionali d'opposizione ai gruppi calcistici di ultras normalmente nemici, dai sindacati ai gruppi anarchici o "marxisti". Queste forze sociali, per quanto eterogenee, hanno fornito non solo coordinamento ma anche centralizzazione tramite l'ormai consueta rete dei social network. In Egitto durante le manifestazioni anti-Mubarak i giovani smanettoni hanno messo in piedi reti mesh per collegarsi tra loro, bypassando le reti di comunicazione ufficiali; la stessa cosa hanno fatto i dimostranti di Occupy Central a Hong Kong che per comunicare usavano FireChat, una chat pubblica basata sui mesh network (sfruttando la prossimità dei dispositivi, l'app implementa una rete a maglie in cui ogni apparecchio funge da nodo per la trasmissione del segnale).
Va ribadito che l'unico punto di riferimento è il partito, inteso come organismo che anticipa la società futura, con i suoi legami forti e deboli all'interno dell'attuale forma sociale. La prossima rivoluzione sconvolgerà il mondo e interesserà tutta l'umanità, tutte le classi, nessuna esclusa. Gli schemi utilizzati per la rivoluzione di Ottobre e la fondazione della Terza internazionale, quelli della "doppia rivoluzione" (borghese e proletaria), sono superati. I rapporti tra le classi si sono semplificati: è sparito il peso dello stalinismo sulla classe operaia, la società è collegata in rete e organizzata in modo completamente diverso rispetto agli anni 20', le fabbriche moderne funzionano grazie ai robot e il sistema finanziario globale ha sincronizzato tutto. Il capitalismo "puro" non esiste, esiste invece una larga fetta di popolazione che non produce plusvalore e lavora non capitalisticamente, erogando gratuitamente milioni di ore di lavoro.
Parlando delle trasformazioni in corso nel profondo della struttura produttiva capitalistica, un compagno ha commentato l'articolo Se il lavoro va ai robot: un automa vale sei operai, di Rampini (Repubblica, 30.3.17):
"L'industria americana ha introdotto in media un nuovo robot industriale ogni mille operai, tra il 1993 e il 2007. (In Europa l'automazione è ancora più spinta: 1,6 robot ogni mille operai). Ogni robot nuovo che viene installato per ogni mille operai, distrugge 6,2 posti di lavoro e fa calare dello 0,7 per cento il salario. Tra il 1990 e il 2007 l'automazione ha distrutto 670.000 posti. E stiamo parlando solo di fabbriche manifatturiere negli Usa. Ma l'intelligenza artificiale avanza implacabile nella finanza dove elimina bancari, nel settore ospedaliero dove elimina tecnici delle analisi, nelle prenotazioni di aerei o di spettacoli, un giorno forse sarà alla guida di taxi e camion."
Le fabbriche sono automatizzate e quasi la metà del PIL americano è costituito da rendite su "diritti", brevetti e royalty su cinema, tv e musica; una situazione insostenibile per il maggior paese capitalistico. Il motto con cui Trump ha vinto le elezioni, "Faremo di nuovo l'America grande", non è altro che la confessione che gli Usa stanno diventando piccoli, una condizione pericolosa, non solo per gli americani.