Proseguendo nel suo discorso, il pontefice ha puntato il dito contro un mondo del lavoro squilibrato: "E' una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga una intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti". E ha continuato elencando le sfide che il sindacato deve affrontare per potersi sganciare dall'omologazione imperante: "... nelle nostre società capitalistiche avanzate il sindacato rischia di smarrire questa sua natura profetica, e diventare troppo simile alle istituzioni e ai poteri che invece dovrebbe criticare. Il sindacato col passare del tempo ha finito per somigliare troppo alla politica, o meglio, ai partiti politici, al loro linguaggio, al loro stile." Quindi se la prima sfida per tali organizzazioni è quella di ritrovare la lungimiranza nelle proprie azioni guadagnandone in termini di forza ed efficacia, la seconda riguarda invece l'innovazione, ovvero l'agire stesso del sindacato. Fino ad ora esso si è limitato a tutelare chi un lavoro c'è l'ha, mentre "la vostra vocazione", dice il vicario di Cristo rivolgendosi ai sindacalisti, "è anche proteggere chi i diritti non li ha ancora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia".
Da buon riformista, il Papa vorrebbe che si stipulasse un "nuovo patto sociale umano", e delinea i tratti di un sindacato capace di andare incontro a quel 40 per cento di giovani che non lavora, agli immigrati, ai poveri che assediano "le mura della città", per rinascere nelle "periferie esistenziali". E' la proposta di un'organizzazione economica di tipo territoriale, di un organismo che abbracci tutti i lavoratori indipendentemente dall'essere occupati o meno.
Qualche mese fa la Chiesa ha dato il suo appoggio ad alcuni gruppi di lavoratori, soprattutto del comparto della grande distribuzione, che si sono mobilitati contro il lavoro domenicale e pasquale. Una parte di popolazione lavora con ritmi e turni massacranti e questo, in effetti, si traduce in una riduzione del tempo da dedicare alla vita cristiana e al suo pilastro sociale, la famiglia. Desta inoltre preoccupazione tra le mura vaticane il giganteggiare dell'esercito dei disoccupati; già nel 2013, nel Discorso del Santo Padre Francesco alla Delegazione dell'Istituto Dignitatis Humanae, il Papa affermava:
"Purtroppo nella nostra epoca, così ricca di tante conquiste e speranze, non mancano poteri e forze che finiscono per produrre una cultura dello scarto; e questa tende a divenire mentalità comune. Le vittime di tale cultura sono proprio gli esseri umani più deboli e fragili – i nascituri, i più poveri, i vecchi malati, i disabili gravi... –, che rischiano di essere 'scartati', espulsi da un ingranaggio che dev'essere efficiente a tutti i costi."
La Chiesa e i suoi rappresentanti, schierandosi sempre dalla parte della classe dominante, non riescono a risalire alle radici dei problemi che affliggono il nostro tempo e, per quanto critichino questa società, finiscono sempre per salvare l'oggetto del loro biasimo. Papa Francesco, appellandosi in fin dei conti ad un capitalismo dal volto umano, non chiede certo la soppressione del mercato tout court ma l'avvento di un'"economia sociale di mercato".
Negli anni '50 la nostra corrente ha scritto articoli come "Chiesa e fede, individuo e ragione, classe e teoria", "Ossature giubilari teoretiche" e "Sorda ad alti messaggi la civiltà dei quiz" al fine di inquadrare correttamente la cosiddetta questione religiosa. La Chiesa cattolica, l'organismo millenario che è riuscito ad adeguarsi a più modi di produzione, basa il suo modo di essere su enunciazioni fondamentali per la sua dottrina e stabilisce un corso invitando tutti gli aderenti ad uniformarsi ad esso. Tuttavia è difficile pensare che essa, nella sua evoluzione, possa oggi approdare al cristianesimo comunistico delle origini: la ruota della storia non gira all'indietro, mentre lo scontro tra modi di produzione non può che dissolvere le vecchie forme e anticipare quelle nuove (adatte al livello raggiunto dalla forza produttiva sociale).
Anche gli stati faticano sempre più vistosamente ad affrontare i problemi che pone la società moderna. Di fronte al crescente flusso migratorio, soprattutto dal continente africano, i paesi membri dell'Unione Europea hanno cominciato a fibrillare ed ognuno si è mosso per conto proprio. L'entità politica dell'Europa esiste solo sulla carta e il paventato schieramento dell'esercito al confine del Brennero da parte dell'Austria non è altro che la manifestazione dell'impossibilità di reggere un fenomeno assolutamente out of control. Il Capitale si è da tempo autonomizzato e non bada più a nessuno, né ai moniti del Papa né a quelli dei governanti, e più esso si sottrae alle regole, più gli uomini, invano, le moltiplicano nella speranza di riprenderne la gestione.
Prendendo spunto da queste ultime considerazioni, abbiamo deciso, anche in previsione delle prossime teleriunioni, di approfondire la situazione economica e politica in cui versano gli Stati Uniti. La politica dell'amministrazione Trump è il riflesso di qualcosa che ribolle nel profondo del paese e l'impasse in cui si trova (nonostante il rilancio dei settori militare e spaziale) riguarda l'impossibilità di controllare l'economia.
In chiusura di teleconferenza abbiamo accennato a quanto accade nell'area mediorientale. Dopo gli ultimi avvenimenti, lo Stato Islamico risulta fortemente ridimensionato e Mosul e Raqqa sono state quasi "liberate", ma ci sono città distrutte e stati che non controllano più il loro territorio. Anche se il Califfato sarà sconfitto, rimarranno i problemi che lo hanno fatto nascere: Siria, Iraq, Libia, ecc., sono terra di scontro tra fazioni, milizie, signori della guerra e partigianerie al soldo dei grandi paesi. I vecchi equilibri sono saltati per sempre.