A quanto pare, nessuno di questi organismi riesce a fuoriuscire dalla logica corporativa e tutti - sindacatoni, sindacatini e associazioni varie - reclamano a gran voce tavoli delle trattative e il riconoscimento da parte delle istituzioni. I sindacati di base, caratterizzati - a sentir loro - dall'essenza "classista", non offrono però novità di rilievo rispetto al panorama tipico degli ultimi settant'anni. Più piccoli rispetto a quelli tricolore, spesso con una base combattiva e in buona fede, sono relegati in aree di nicchia, dove riempiono il vuoto lasciato dai grossi raccogliendo lo scontento di alcune fasce di lavoratori, e sono costretti ad essere radicali proprio per mantenere quel minimo di consenso perduto dai concorrenti ("La socializzazione fascista e il comunismo").
Al solito, bisogna proiettarsi in n+1 (società futura) per capire come muoversi in n (società vigente). Coloro che si indignano per i lavoratori sfruttati e si agitano di fronte a fatti come quelli di Foggia, non scalfiscono minimamente il modo di essere del capitalismo. Gli slogan contro lo sfruttamento servono a poco se non sono accompagnati da una pratica di lotta coerente. A noi non interessano le richieste di maggiori diritti o di garanzie, interessano i saggi di organizzazione futura, quelli che abbiamo visto all'opera a Rosarno nel 2010: un episodio dirompente di lotta di classe, una vera e propria rivolta in stile banlieue, che nessun sindacato o partito è riuscito a cavalcare. Insomma, non vediamo l'ora che la pletora di contratti, diritti e garanzie che tengono legati i proletari alle istituzioni borghesi svaniscano definitivamente. Con il maturare del capitalismo, troviamo scritto nel Manifesto del partito comunista (1848), "si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti".
Il continuo sconvolgimento dei rapporti sociali è una peculiarità del ciclo storico del dominio della borghesia, mentre caratteristica delle "classi industriali precedenti" era "l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione". Il movimento rivoluzionario svolto dal capitalismo, che è costretto nel suo procedere a negare sé stesso, porta alla dissoluzione sempre più accelerata di tutti i vincoli e i rapporti stabili, spogliando il proletariato di tutte le garanzie. Non è possibile per i salariati conquistare per vie sindacal-corporative, o peggio ancora, parlamentari, posizioni di vantaggio definitive nella società capitalistica. Rimane solo la lotta per la salvaguardia delle condizioni immediate, senza la quale i proletari non possono mantenere quell'allenamento necessario alla battaglia rivoluzionaria, previsto sia da Marx che da Lenin.
Se il Capitale non può che rivoluzionare continuamente il suo modo d'essere, i veri conservatori sono quelli che dicono di lottare contro il Sistema ma poi si dissociano dagli episodi di "rottura" con esso. A Torino, nel 1962, in un contesto diverso rispetto a quello attuale, quelli che si definivano "estremisti" hanno subito preso le distanze dagli atti di collera proletaria avvenuti in Piazza Statuto. In ogni episodio di polarizzazione di classe si rende visibile la separazione tra chi è in linea con il "movimento reale" e lo asseconda, e chi - a parole - è a favore della lotta di classe ma - nei fatti - è per la difesa del vecchio mondo. Ecco cosa dice Marx nell'Indirizzo al Comitato Centrale della lega dei Comunisti (1850):
"Ben lungi dall'opporsi ai cosiddetti eccessi, casi di vendetta popolare su persone odiate o su edifici pubblici cui non si connettono altro che ricordi odiosi, non soltanto si devono tollerare quegli esempi, ma se ne deve prendere in mano la direzione".
A proposito di lotte immediate, in questi giorni Foodora ha annunciato che lascerà l'Italia, probabilmente più per una riorganizzazione interna che per le proteste dei rider. Che fine faranno i fattorini impiegati dall'azienda del food delivery? Non possono protestare perché non c'è un luogo di lavoro, non c'è neppure un padrone e tantomeno un contratto cui appellarsi. I lavoratori della gig economy saranno costretti dai fatti ad intraprendere nuove strade. Grandi movimenti - se non nei numeri almeno nelle modalità - ne abbiamo già visti: nel 1997 con lo sciopero dell'UPS e nel 2011 con Occupy Wall Street: esperienze che rappresentano i format della lotta del futuro. Le condizioni di vita del proletariato internazionale arriveranno ben presto a dei limiti intollerabili e prima o poi i segnali di ribellione generalizzata si faranno marcati (en passant: alcuni giorni fa a Ceuta, enclave spagnola in territorio marocchino, un migliaio di immigrati ha preso d'assalto il posto di polizia per oltrepassare il confine). Ognuno di noi ha in tasca uno smartphone, un terminale connesso in Rete, e può coordinarsi con altri al di là dei confini aziendali, categoriali e nazionali tramite le più svariate reti sociali.
Si è poi passati a commentare il crollo in Borsa di Facebook dello scorso 26 luglio. Nel giro di poche ore, il titolo del più famoso social network ha perso fino al 24% del suo valore, bruciando circa 120 miliardi e scatenando il panico di alcuni azionisti. Nella stessa giornata si sono registrati i crolli di gruppi come Intel (-22%), Lucent tecnologies (-20%), Microsoft (-14,5%), Google (-5%), Apple (-12,5%) e Bank of America (-26,2%). Gli analisti fanno notare che in un'unica seduta si sono volatilizzati circa 1000 miliardi di dollari, cifra pari al PIL di un paese come l'Argentina. Significativamente, si tratta dello stesso valore di capitalizzazione raggiunto dalle azioni della Apple nei giorni successivi.
L'autonomizzazione del Capitale ha raggiunto livelli mai visti prima e lo scoppio di micro-bolle aumenta con l'avvicinarsi del Big One. Il capitalismo è uno zombie che ancora cammina e con esso lo sono ancor di più i borghesi: se un tempo le forti perdite in Borsa dei colossi tecnologici li avrebbero terrorizzati, oggi sono invece assuefatti e incapaci di reagire. Anche di fronte ad un capitale che si smaterializza sempre più e in cui a farla da padrone non sono più gruppi come General Motor e Ford, che producevano mezzi materiali utilizzando stabilimenti pieni di operai, ma Facebook, Google, Amazon, Apple, che impiegano pochissimi lavoratori. Questi moderni colossi hanno raggiunto dimensioni tali per cui non soltanto hanno assurto lo stato di monopolio nel settore in cui operano, ma sono diventati strutture che si autosostengono, ecosistemi integrati che fanno il giro del mondo grazie al Web. Componenti critiche della borghesia come i libertariani hanno la possibilità di teorizzare il "Government as a platform" (Tim O'Reilly) proprio perché queste piattaforme già esistono e possono, secondo loro, sostituirsi a dinosauri dissipativi come gli Stati.
In chiusura di teleconferenza, abbiamo commentato alcune news in arrivo dalla Turchia, paese che si trova nell'occhio del ciclone di una tempesta finanziaria che va avanti da qualche mese. Il crollo della lira turca si inserisce in una situazione critica che si aggiunge allo scontro diplomatico con gli Usa e al caos politico dovuto al tentativo di colpo di stato del luglio 2016. Negli ultimi giorni Ankara ha raggiunto il triste primato di peggiore piazza borsistica del mondo, superando la disastrata Argentina. Per far fronte a questa situazione sono stati stipulati una serie di accordi commerciali con la Cina che riguardano anche la nuova Via della seta. Alle prese con una guerriglia "locale" con i curdi, in pochissimi anni la Turchia è passata dalla condizione di media potenza lanciata alla conquista dell'area turcomanna, a paese con grandi difficoltà che potrebbero portarlo al collasso.
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