Nell'articolo de L'Avvenire "Dopo Genova. Cemento armato, la fine di una stagione" viene analizzato quanto accaduto nel capoluogo ligure partendo dalle caratteristiche tecniche dei tiranti e del cemento armato utilizzati per realizzare il ponte Morandi:
"Gli stralli agiscono prevalentemente in tensione. Per cui il cemento degli stralli è un peso inutile, anzi un elemento che aggiunge rigidità a un tipo di struttura che dovrebbe di per sé essere particolarmente elastica: la giustificazione è che, coprendo l'acciaio, lo proteggeva. Perché il problema maggiore del cemento armato deriva dal rischio di ossidazione dei ferri, se raggiunti dall'umidità a causa della porosità del materiale o a seguito di crepe che si possono aprire. Ma gli stralli devono essere elastici, come l'acciaio, non rigidi, come il cemento."
Il cemento è un materiale artificiale, intrinsecamente instabile a livello chimico e perciò non duraturo, e diverso dalle pietre naturali come il tufo o il calcare. Sul Web è molto facile reperire studi e tesi di laurea sul tempo di "vita" dei manufatti in cemento armato. Tra le varie forme di degrado la più invasiva e presente è la corrosione dell'acciaio delle barre di armatura, innescata da fattori esterni come i cloruri nella carbonatazione ed alimentata dalla presenza di aria ed acqua.
L'articolo si conclude quindi con una nefasta previsione: "Ci saranno altri crolli, perché nel corso degli ultimi sessant'anni son state costruite troppe strutture con materiali impropri, che richiederebbero troppi investimenti per essere mantenute."
Il ponte più alto d'Europa si trova in Francia ed arriva a 365 metri; quando il cemento utilizzato per realizzarlo manifesterà i primi problemi non ci sarà nessuna manutenzione possibile. Un altro ponte di Morandi, costruito ad Agrigento, è oggi quasi completamente sbriciolato e l'acciaio è nudo. Su Youtube, alla voce "demolizione ponti", sono decine i video dei viadotti fatti saltare in aria perché pericolosi.
Con il solito metodo della spesa pubblica e del profitto privato, lo Stato nel passato ha garantito la realizzazione delle cosiddette grandi opere. Ora, a livello governativo si vocifera di nazionalizzare la rete autostradale. Effettivamente una gestione centralizzata sarebbe più efficiente: quando c'è stata la suddivisione della rete ferroviaria italiana in diversi comparti (pulizia, revisione motori, linee, ecc.) si è provocato un vero disastro in termini di funzionalità, efficienza e gestione della rete stessa. In Inghilterra la privatizzazione ha distrutto un sistema ferroviario che funzionava benissimo. Ma tornare alla nazionalizzazione significherebbe ripristinare la socializzazione delle perdite in un settore che i privati non vogliono più.
Nella maggiorparte dei paesi occidentali sia le reti autostradali che i ponti, le case, le scuole e gli ospedali sono stati costruiti nel secondo dopoguerra. Alla base di quest'immensa espansione edilizia ci sono stati miliardi di metri cubi di cemento armato, la cui durata canonica è di 50 anni.
L'Internazionale ha tradotto un articolo di The Economist in cui si afferma che "circa il 30 per cento dei ponti stradali europei presenta una qualche criticità, spesso dovuta alla corrosione dell'armatura d'acciaio o dei tiranti precompressi. Le conclusioni di un rapporto pubblicato a gennaio dall'American road & transportation builders association sono ancora più preoccupanti. Secondo lo studio, 54.259 ponti statunitensi (su un totale di 612.677) presentano "carenze strutturali". Questi ponti problematici hanno un'età media di 67 anni e ogni giorno li attraversano 174 milioni di veicoli."
L'agenzia Ansa, in un articolo del 16 agosto 2018, rincara la dose: "In Italia i ponti 'scaduti' e da revisionare sono circa diecimila. Secondo i dati gli elementi principali alla base del rischio crollo sono i volumi di traffico e l'età dei manufatti. Quando quest'ultima è superiore a 50 anni e le strutture sono ancora interessate da grossi volumi di traffico, si accende un campanello d'allarme: questi ponti sono diecimila".
Dal punto di vista tecnico si prepara una vera apocalisse: cominceranno a collassare i ponti e le infrastutture più vecchie e soggette a maggior traffico, ma tra una ventina d'anni sarà tutto il parco cementizio dei paesi occidentali a rischio collasso. Senza contare le tubazioni, gli infissi e la rete elettrica.
La società futura avrà modo di controllare produzione e trasporti attraverso sistemi computerizzati, sensori e attuatori, evitando le opere ed il traffico inutili, al contrario del modo di produzione attuale in cui la sete di profitto impedisce qualsiasi razionalità. In futuro non sapremo che farcene di manufatti giganteschi, dissipativi e legati alle folli necessità di consumo dell'attuale modo di produzione.
"Noi non abbiamo il compito di costruire, ma quello di distruggere, di abbattere determinati ostacoli! Non solo il capitalismo ha da tempo costruito quanto a noi basta ed avanza come base 'tecnica', ossia come dotazione di forze produttive, sicché il grande problema storico non è - nell'area bianca - di crescere il potenziale lavorativo, ma di spezzare le forme sociali di ingombro alla buona distribuzione ed organizzazione delle forze ed energie utili, vietandone lo sfruttamento e il dilapidamento; ma lo stesso capitalismo ha troppo costruito e vive nella antitesi storica: distruggere, o saltare". ("Politica e costruzione", 1952)
In chiusura di teleconferenza si è accennato alla grave crisi economica che attanaglia la Turchia, alla situazione economica e sociale del Venezuela dove l'inflazione ha raggiunto livelli altissimi, e alle violente manifestazioni contro il governo in Romania.