Nell'articolo "Lo Stato nell'era della globalizzazione", abbiamo analizzato la perdita di energia degli stati nella gestione dell'economa e della società, causa di una condizione di ingovernabilità che ha influito sullo sviluppo di movimenti anti-sistema. Ad oggi gli stati collassati cominciano ad essere tanti, dal Nordafrica al vicino Medioriente; si tratta di paesi che sotto il peso di manifestazioni di massa, poi trasformatisi in guerra civile, si sono polverizzati, finendo in mano a mafie, tribù e signori della guerra, e anticipando quanto potrebbe succedere in zone più importanti dal punto di vista geostrategico. In Francia, prima con la rivolta delle banlieue, poi con gli attacchi di gruppi islamici collegati all'IS, ed infine con i gilet gialli, si è avuto il potenziamento degli esecutivi e la militarizzazione delle forze di polizia. Lo stato centrale è stato costretto a blindarsi. Più che un segno di forza, è un segno di debolezza.
Sempre più manifestazioni, pur mancando un indirizzo preciso, sono dichiaratamente contro lo Stato, e questo è l'aspetto più importante. Secondo alcuni sinistri, le cosiddette rivoluzioni colorate sarebbero generate e fomentate dagli americani. E' vero che un paese imperialista come gli Usa non può fare a meno di intervenire ovunque, ma è il Capitale a dominare sugli stati e questi non possono muoversi in autonomia. Quando milioni di persone scendono in piazza per mesi, significa che esistono motivazioni più profonde che non l'intervento di intelligence straniere. Il cinema, in primis quello hollywoodiano, sforna ogni anno film su spie infiltrate in ogni dove, terroristi che cercano di uccidere presidenti, stati in mano ad élite e gruppi finanziari malvagi. Questa società descrive se stessa e produce rappresentazioni artistiche dai contenuti molto chiari, ma bisogna stare attenti a non confondere la sovrastruttura politica con la struttura materiale del capitalismo.
Si è poi passati a commentare l'articolo "C'è un'ipotesi estrema contro la recessione: far piovere soldi sui conti correnti privati" pubblicato sul sito dell'AGI. Secondo la BlackRock, società americana di investimento e gestione di valori, la recessione è incombente e visto che "le politiche monetarie e quelle di bilancio hanno esaurito il loro spazio... serve un risposta senza precedenti". Gettiamo i soldi dagli elicotteri, dicono. Tremonti, durante la crisi del 2008, affermava che l'economia è come un videogame: quando si uccide un mostro, si passa al livello successivo dove compare un mostro più grande che si può eliminare solo con armi più potenti. A dieci anni dalla crisi dei mutui subprime, è dato per certo dai maggiori centri studi borghesi l'arrivo di un'ondata di panico sui mercati finanziari: prestare soldi alle banche non ha fatto sì che queste li versassero nelle tasche dei cittadini, e allora per fronteggiare una nuova crisi perché non mettere i soldi direttamente nei conti correnti? Qualche tempo fa l'erogazione di un reddito di cittadinanza sembrava impossibile, eppure in Italia sono stati costretti a prendere tale provvedimento e nei fatti migliaia di persone oggi sono coperte da tale misura. Uno dei candidati democratici alle prossime presidenziali americane, Andrew Yang, sta impostando la sua campagna elettorale sul reddito di base incondizionato, e il prossimo 21 settembre la rete Basic Income New York organizzerà una marcia cittadina per chiederne la realizzazione. L'esigenza del capitalismo di riattivare i consumi s'incrocia con quella di chi ha bisogno di un salario per vivere. E nel momento in cui il reddito di stato diventa qualcosa su cui migliaia di persone fanno affidamento, toglierlo diventa un problema. I governanti non possono stare con le mani in mano mentre aumentano precarietà, disoccupazione e miseria, ma guai a quella società che invece di sfruttare i propri schiavi è costretta a mantenerli (Marx).
Il reddito di cittadinanza serve ad agire sulla propensione marginale al consumo, ma oggigiorno il capitalismo produce una quantità di merci impossibile da consumare. Se misure quali l'helicopter money o il reddito di base universale andassero in porto, aumenterebbero i consumi, gli investimenti e quindi il capitale costante; ma l'impiego di nuove macchine, robot e computer porterebbe ad ulteriori licenziamenti e ad una sovrappopolazione sempre più grande da sostenere. Questa società non sa fare altro che spostare i problemi più avanti nel tempo, ingigantendoli e rendendoli esplosivi. Engels faceva l'esempio dello scudo e del proiettile: aumentando la dimensione di uno aumenta anche quella dell'altro, ma raggiunta una certa soglia si verifica la catastrofe: è un processo che non può durare all'infinito.
Il capitalismo produce manufatti che non servono, brucia energia, dissipa un'immane quantità di lavoro sociale ma, allo stesso tempo, sviluppa il sistema dell'uomo-industria, che è la vera natura antropologica della nostra specie. L'insieme di macchine intelligenti libera sempre più lavoro umano e questo è un passaggio rivoluzionario che mina le fondamenta dell'attuale modo di produzione.
A questo punto, ha ancora senso la lotta rivendicativa? In futuro vedremo sempre più la nascita di organismi di tipo intermedio ma non necessariamente sindacal-rivendicativi. Data l'integrazione ormai irreversibile del sindacato nello Stato, sarà normale assistere alla formazione di organizzazioni partecipative di base in marcia verso una società che non c'è ancora, ma che preme dal futuro per realizzarsi. Nel mondo del (non) lavoro, basti prendere ad esempio il settore del food delivery, in cui è impossibile una dinamica sindacale di tipo classico e, infatti, la lotta diventa subito selvaggia, territoriale. Secondo i dati OCSE, dal 1985 ad oggi, la media di lavoratori affiliati ad un sindacato nei paesi membri è scesa dal 30 all'attuale 16%. Si sta dissolvendo il vecchio paradigma del sindacato organizzato per luoghi di lavoro. Il calo degli iscritti non è solo colpa dei bonzi sindacali, ma del fatto che i sindacati non hanno nulla da dire alle masse di precari che tirano avanti coi lavoretti. Disoccupato è colui che ha perso il posto di lavoro e ne attende un altro, mentre stanno nascendo generazioni di inoccupati che non avranno mai un posto di lavoro. Il cambiamento è così radicale che una parte della borghesia si fa portavoce di rivendicazioni storiche del movimento operaio come il salario ai disoccupati e la riduzione dell'orario di lavoro.
Proprio per questo, le forze combattenti che si presenteranno sulla scena non rivendicheranno più nulla ma si presenteranno come totalmente alternative al capitalismo. Non è un caso che tutti i movimenti nati negli ultimi anni sono tendenzialmente anti-Stato. Persino i giornalisti ammettono che le motivazioni della protesta di Hong Kong siano andate in secondo piano rispetto alla dinamica di scontro che si è determinata in piazza. Per concludere: bisogna evitare di fissarsi sulle forme organizzative perché la rivoluzione ne sceglie e uccide continuamente secondo una vera e propria selezione darwiniana. La rivoluzione non è questione di forme, ma di forza.