Nel 2008 il capitalismo è precipitato in una crisi che nessun economista finora è stato in grado di spiegare. L'incapacità della borghesia di capire le dinamiche strutturali dell'economia è dovuta all'assenza di qualsiasi teoria economica, o meglio, alla bancarotta di tutte le sue teorie. Dopotutto, sono stati già sperimentati a sufficienza liberismo, keynesismo, neo-keynesismo, e ormai le armi a disposizione sono tutte spuntate.
Nella Lettera ai compagni "Il Diciotto Brumaio del Partito che non c'è" (1992), abbiamo scritto che il fascismo è un fenomeno di totalitarismo moderno che nasce in Italia e diventa il modo comune di governare l'economia in tutto il mondo borghese; e che la sovrastruttura politica necessaria alle esigenze capitalistiche è una democrazia "snella", cioè un esecutivo che non venga troppo intralciato da chiacchiere parlamentari e "disfunzioni" varie". La borghesia italiana è ancora alla ricerca di quel partito, ma all'orizzonte si vedono solo caos e ingovernabilità.
La contraddizione con cui la classe dominante deve fare i conti è quella tra il lavoro associato a livello mondiale e il fatto che le borghesie hanno radici nazionali, e quindi sono in preda a convulsioni protezioniste. Stati Uniti e Cina, ad esempio, sono legati da un doppio vincolo, dove ognuno ha bisogno dell'altro, ma al tempo stesso sono costretti a pestarsi i piedi a vicenda. Nell'articolo "Recessione, il commercio spaventa più della curva dei rendimenti" del Sole 24 Ore, si scrive:
"Un'economia interconnessa al massimo, con infinite catene di forniture e produzione, diventa oggi allo stesso tempo preda di nuove e brusche spinte nazionaliste e protezioniste, potenzialmente incontrollate".
Catene internazionali della logistica, aziende multinazionali che hanno un piano di produzione e distribuzione che supera i confini nazionali, devono misurarsi col fatto che ogni paese ragiona per sé, in preda all'anarchia del mercato. Pechino e Washington si minacciano a vicenda, ma poi aprono al dialogo in cui toni forti vengono subito seguiti da distensioni; questa instabilità produce delle conseguenze materiali sulla già fragilissima situazione dell'economia mondiale. La produzione industriale ha avuto dei significativi rallentamenti in Cina, negli Usa e in Germania. Nei prossimi giorni si riuniranno in Wyoming, a Jackson Hole, i capi delle maggiori banche centrali, Fed, Bce, Boe e Boj. Il motivo? La crescita dei timori di recessione e gli interventi per rianimare il capitalismo-zombie: dall'avvio di un quantitative easing 2 per l'Europa (che potrebbe ammontare a 50 miliardi) a politiche "accomodanti" per Inghilterra e Giappone, quest'ultimo in coma piatto da oltre 30 anni.
Solo avendo presente la natura dissipativa dell'attuale modo di produzione, si possono capire e quindi spiegare le manifestazioni di piazza degli ultimi anni e quelle in corso. Nell'articolo "Il secondo principio" (n. 41 della rivista), abbiamo scritto che "è la complessiva dinamica che dobbiamo considerare. E questa indica, chiaramente, una sequenza storica, una catena causale unidirezionale."
Massicce manifestazioni hanno coinvolto circa 80 città in Brasile, ufficialmente contro i tagli all'istruzione del nuovo governo di destra. Pochi giorni prima c'era stato il tonfo finanziario dell'Argentina. Continuano in Russia le proteste antigovernative e con esse gli arresti. Ci sono delle interconnessioni globali tra fenomeni apparentemente diversi e distanti tra loro, dal crollo delle borse alla mancata crescita industriale, fino allo sviluppo di movimenti antiformisti.
Domenica 18 agosto una grande manifestazione ha nuovamente invaso le strade di Hong Kong coinvolgendo 1,7 milioni di persone. Nei giorni precedenti la polizia aveva chiuso per due giorni consecutivi l'aeroporto internazionale, importante hub asiatico, dopo che centinaia di manifestanti avevano occupato il terminal delle partenze. Durante la mobilitazione si erano verificati violenti scontri, con arresti e decine di feriti. Recentemente l'Avvenire ha pubblicato l'articolo "Le proteste a Hong Kong: 'Il motore è la diseguaglianza'", in cui si sostiene che l'ex colonia britannica, emblema della globalizzazione, ne subisce tutte le contraddizioni. Le proteste attuali, partite da settori studenteschi, hanno poi riguardato lavoratori e precari, diffondendosi a tutta la società.
La maggior parte delle nuove generazioni non riesce a trovare sbocchi lavorativi, a costruirsi un futuro, e questo è alla base di tutte le rivolte scoppiate negli ultimi anni, dalla Primavera araba ad Occupy Wall Street. Insomma, milioni di uomini conducono una vita senza senso e, del tutto spontaneamente, si ribellano allo stato di cose presente, scendendo per le strade e chiedendo un cambiamento. E pensare che in giro ci sono dei "comunisti" che definiscono le proteste di Hong Kong teleguidate dagli Usa, come se non ci fossero abbastanza motivazioni materiali in grado di far esplodere la rabbia sociale.
Abbiamo quindi terminato la teleconferenza leggendo e commentando alcuni passi di "Tracciato d'impostazione" (1946), a cominciare dal seguente:
"Gli uomini non sono messi in movimento da opinioni o confessioni o comunque da fenomeni del cosiddetto pensiero, da cui siano ispirate la loro volontà e la loro azione. Sono indotti a muoversi dai loro bisogni, che prendono il carattere di interessi quando la stessa esigenza materiale sollecita parallelamente interi gruppi. Si urtano contro le limitazioni che l'ambiente e la struttura sociale pongono alla soddisfazione di tali esigenze. E reagiscono singolarmente e collettivamente, in un senso che nella grande media è necessariamente determinato, prima che il gioco degli stimoli e delle reazioni abbia fatto nascere nella loro testa i riflessi che si chiamano sentimenti, pensieri, giudizi."