Per le proprie leggi di sviluppo, la grande industria ha potuto imporsi solo quando è stato messo in un angolo il virtuosismo tecnico della mano, quel sapere artigiano di cui l'operaio parziale della prima manifattura era ancora impregnato. Le macchine costruite dagli uomini ad un certo punto diventano sistema: da quelle che producono semilavorati per altre, si arriva a macchine che si auto-costruiscono e si auto-riparano. Il processo si diffonde in tutte le sfere dell'economia, trasformando le fabbriche locali in tanti organi della fabbrica globale, un unico grande automa che fa il giro del pianeta tramite l'intensificarsi dei traffici e delle reti informatiche, la conservazione dei dati in memorie sempre più diffuse, l'elaborazione interattiva di questi dati ("Verso la singolarità storica", rivista n. 40).
Per Marx ogni macchina sviluppata è composta di tre parti: la macchina motrice, il meccanismo di trasmissione e la macchina utensile. Lo strumento artigianale, il semplice utensile, viene inglobato in una struttura più complessa. In altri passi del Capitale, egli descrive le ricadute sociali di tale processo, con la concentrazione di grandi masse di operai negli opifici per mezzo della cosiddetta accumulazione originaria. Il capitalismo deve sviluppare un modo di produzione a propria immagine e somiglianza, e per fare ciò spazza via tutte le resistenze rappresentate dai modi di produzione precedenti. In epoca capitalista l'industria abbruttisce l'operaio, ma allo stesso tempo è la base per il passaggio alla società futura. Per Marx, infatti, la vera natura antropologica è il complesso natura-uomo-industria ("Genesi dell'uomo-industria", rivista n. 19).
Lo strumento, nato come mediazione tra uomo e materia, viene tolto dalle mani dell'artigiano e inglobato nel macchinario automatico. Con la grande industria le macchine assumono così una dimensione ciclopica, dato che devono lavorare masse enorme di ferro, compiendo innumerevoli e complicate operazioni. Oggi, alle merci materiali (pesanti) si affiancano sempre più quelle immateriali (leggere). Dalle macchine che producono macchine si arriva ai software che producono software. Italo Calvino descrive così questo passaggio:
"Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall'inizio dei tempi... Poi, l'informatica. È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d'elaborare programmi sempre più complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come i bits d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso" (Lezioni americane, "Leggerezza").
Il capitalismo è costretto a rivoluzionare continuamente sé stesso: la fabbrica non è più alimentata dalla macchina a vapore, che ha un utilizzo locale, ma dall'elettricità, che si distribuisce a rete. Da Marx ai giorni nostri, la produttività del lavoro è cresciuta a dismisura, tanto che siamo arrivati alla robotizzazione della produzione. L'attuale modo di produzione è costretto a generare forze non più compatibili con la sua base, che lo portano a negare la legge del valore. Diversi anni fa, il sociologo Luciano Gallino ha stimato che un operaio di una fabbrica di automobili lavorava circa 40 minuti per sé e il resto della giornata di 8 ore per il capitalista. Oggi la quota di lavoro necessario si è ulteriormente ridotta, ma sappiamo che non si può estrarre da pochi operai sfruttati al massimo la stessa quantità di plusvalore che si estrae da molti operai sfruttati meno. Non solo le macchine sostituiscono gli uomini nella produzione, ma impongono nuovi metodi di produzione, più razionali ed efficienti.
La macchina memorizza operazioni, prima semplici e poi complesse. Il telaio Jacquard, inventato agli inizi dell'800 (ma molti prototipi furono sviluppati durante la seconda metà del '700), era un computer ante litteram: attraverso una fisarmonica di schede perforate, una catena di trascinamento che faceva avanzare i riquadri perforati e una serie di contrappesi cilindrici collegati alle maglie dei licci, permetteva la produzione di tessuti di notevole qualità in meno tempo. Anche una vecchia lavatrice ha un tamburo con delle camme che girano, le istruzioni sono memorizzate grazie a profili differenti, e riflettono la differenza di programmi di lavaggio. L'informazione di tipo binario sì/no, sensore acceso/sensore spento, è la stessa che muove un organismo unicellulare immerso in un liquido, intento a fluttuare lungo un gradiente zuccherino. Alan Turing, nel suo test volto a stabilire se una macchina può esprimere un comportamento intelligente, non pretendeva che il computer avesse una coscienza, ma che riproducesse quello che l'uomo fa e che non fosse riconoscibile da quest'ultimo ("gioco dell'imitazione"). Oggi, il software si scrive da sé e il controllo è un debug automatico: la stragrande maggioranza delle attività produttive (logistica, finanza, servizi, industria) non sono controllate da un cervello umano o da un insieme di cervelli umani ma da sistemi impersonali.
Marx è riuscito a prevedere questi scenari perché lavorava su invarianti e trasformazioni, adottando come chiavi d'indagine le dissoluzioni e le anticipazioni delle forme sociali. In ogni epoca la rivoluzione trova i suoi strumenti in tutte le classi presenti sulla scena storica e si esprime non solo con la guerra sociale ma anche con l'accumulo di conoscenza e risultati teorici, che rimangono patrimonio di tutta l'umanità (Lettera ai compagni "Militanti delle rivoluzioni", 1996). Conoscenze e pratiche utili allo sviluppo della forma capitalistica e del suo consolidamento, conoscenze e pratiche portate all'estremo limite di questa utilizzazione con l'esaltazione del macchinismo computerizzato e robotizzato, sono fattori di trasformazione sociale su cui la rivoluzione sta facendo leva. La liberazione di tempo di lavoro in seguito all'aumentata produttività sociale non è un fenomeno affrontabile con i vecchi schemi sindacali o riformisti, ma solo con un cambio di paradigma di entità pari o superiore a quello avvenuto con le rivoluzioni del passato.