La società attuale non può coniugare salute e produzione perché, prima di tutto, viene il profitto. Finché gli ospedali reggono il peso dell'emergenza in corso si tengono aperte le attività, quando la situazione precipita si richiude di nuovo. Poi si vedrà. Insomma, si procede per tentativi senza farsi mancare una buona dose di improvvisazione.
Quando si è soggetti ad una patologia dovuta a stress fisico e mentale, magari causata dal lavoro, serve a poco inghiottire una pastiglia, se non ad alleviare momentaneamente il dolore. Andare alla radice del problema, invece, significa indagare le cause della malattia andando oltre il sintomo attraverso cui essa si manifesta. Lo stesso ragionamento vale per l'ecosistema: finché il capitalismo continuerà a crescere in maniera esponenziale, distruggendo gli habitat in cui vivono animali selvatici e introducendo coltivazioni ed allevamenti intensivi a ridosso di tali aree, questa attività predatoria non potrà che produrre disfunzioni.
Nessuno sa bene se i vaccini attualmente in circolazione siano utili per bloccare le varianti inglese, brasiliana, sudafricana del virus, senza contare le centinaia di mutazioni che verranno. I vaccini, da soli, non sono la soluzione. Come scrive Cristina Marrone sul Corriere della Sera ("Covid, quando tutto il mondo sarà vaccinato il virus sparirà?"), nella migliore delle ipotesi nei prossimi anni il virus provocherà qua e là focolai che dovranno essere bloccati sul nascere:
"Il coronavirus che provoca Covid-19 ha già colpito oltre 110 milioni di persone nel mondo e ne ha uccise quasi due milioni e mezzo. Le varie strategie di contenimento della diffusione del virus messe in atto nel mondo non sono state sufficienti a rispedire nel bacino animale Sars-CoV-2, come era successo con la Sars nel 2003. La conseguenza di questo fallimento è che quasi certamente non ci libereremo di questo virus perché ormai è troppo diffuso e trasmissibile. Secondo molti epidemiologi la pandemia terminerà quando in tutto il mondo ci sarà un numero sufficiente di persone che sarà stata vaccinata o si sarà ammalata, e avrà così acquisito l'immunità per un certo periodo di tempo. Ma il virus continuerà a circolare, ci conviveremo per anni e molto probabilmente diventerà endemico."
Il capitalismo è un insieme di rapporti sociali che sono il riflesso dei rapporti di produzione. In un contesto globale in cui i capitalisti delocalizzano le produzioni industriali dove il lavoro costa meno, i proletari sono disposti, per difendere il "proprio" posto, ad accettare condizioni lavorative semi-schiavistiche e, in molti casi, nocive per la salute. Basti pensare a quanto è successo all'Ilva di Taranto o al petrolchimico di Porto Marghera: per anni (complici i sindacati) si è barattata la salute di lavoratori e cittadini con la difesa di qualche migliaio di posti di lavoro. I rapporti sociali capitalistici sono diventati catene che bloccano l'ulteriore sviluppo sociale e per salvaguardare il sistema economico i salariati vengono trattati come carne da macello, nelle fabbriche, negli ospedali e nei magazzini della logistica. In migliaia sono costretti a prendere mezzi di trasporto e ad assembrarsi nei luoghi di lavoro, con il rischio di essere contagiati e a loro volta contagiare altri.
Se il proletariato abdica alla quotidiana difesa delle sue condizioni di vita, non può nemmeno pensare di fare il salto politico verso un'altra forma sociale. Dal punto di vista dello schieramento di classe la situazione non è certo rosea. Il proletariato non va né mitizzato né santificato: se non riesce a costituirsi come classe per sé e a darsi un proprio organo politico, resta un oggetto in mano al Capitale. Oggi, i militanti rivoluzionari che restano sul filo del tempo difendendo la linea del futuro di specie, fanno un lavoro controcorrente, non riconosciuto dalla classe sfruttata. D'altronde, vale per l'ideologia quanto Engels diceva a proposito della religione: con la rivoluzione non ci si libera immediatamente dalla superstizione religiosa, anche dopo la presa del potere da parte del partito di classe, ci vuole del tempo per superare il vecchio modo di pensare.
La struttura materiale della società è matura per un cambiamento radicale, ma l'ideologia è un elemento che ritarda l'avvento della società futura. Essa è una forza materiale, è il prodotto di determinati processi storici. Quando nel corso degli anni Venti la Rivoluzione russa si trasformò in controrivoluzione, venne ipotecato per decenni il futuro dell'umanità. La Russia bolscevica, priva dell'aiuto del proletariato europeo, venne soffocata dalla controrivoluzione stalinista, che diventò un attrattore per il movimento operaio, etichettando il capitalismo come socialismo e stravolgendo così il lessico marxista. Ma la rivoluzione è sempre in marcia e il cambio di paradigma si manifesterà in maniera dirompente, così come una trave si spezza sotto un peso crescente.
Un compagno ha segnalato un interessante rapporto dell'FMI in cui viene previsto l'aumento del rischio di agitazioni sociali nei prossimi anni, man mano che la pandemia si attenuerà. I borghesi interpellano il loro oroscopo e scoprono che ci sono tutti gli elementi (sociali, economici, sanitari) per lo scoppio di rivolte generalizzate.
Nonostante i potenti mezzi tecnici e scientifici a disposizione, la borghesia fatica a comprendere i meccanismi di funzionamento del proprio modo di produzione. Prendiamo ad esempio l'inflazione: per un monetarista essa è provocata da un eccesso di circolazione sul mercato, per un keynesiano non è un fatto monetario ma di equilibrio tra risparmio ed investimento, da correggere tramite l'intervento dello stato. Una certa corrente borghese l'attribuisce all'attività bancaria che per sua natura creerebbe moneta tramite i prestiti erogati ai clienti: siccome per legge la banca può prestare più di quanto abbia in deposito, non sarebbe il deposito a creare il prestito ma il prestito a creare il deposito.
Mario Draghi ha sempre auspicato una crescita dell'inflazione, ritenuta positiva in una certa percentuale dai modelli borghesi. Fra le teorie più creative, c'è quella dell'influenza psicologica sull'andamento dei prezzi: quando essi iniziano a scendere, finisce che scendono ancora di più perché i consumatori si aspettano proprio che scendano ancora di più per acquistare! Siamo nel corso di una crisi sistemica, la produzione crolla, milioni di persone perdono il lavoro o non l'avranno mai, s'è innescata la catena dell'abbassamento dei consumi e della chiusura di attività produttive e distributive e, tuttavia, l'economia politica ci dice che la deflazione è una questione psicologica ("La creazione").
Fino agli anni Ottanta l'inflazione correva a doppia cifra ma, in Italia come in Francia, esistevano protezioni per tutelare il potere d'acquisto dei salari (vedi "scala mobile"). Oggi non c'è nessuna protezione automatica e, con un'inflazione del 20%, nel giro di pochissimo tempo le popolazioni sarebbero alla fame. Tutti i parametri economici sono sballati, ne sono conferma i massicci movimenti verso il Bitcoin, giunto a valere 57 mila dollari. Tale situazione non si può paragonare alla speculazione sui prezzi dei tulipani olandesi del Seicento, perché all'epoca il funzionamento dell'economia era di tipo elementare, mentre oggi ci sono banche e centri d'investimento collegati a reti di computer pronti a effettuare centinaia di migliaia di operazioni al secondo sui mercati finanziari globali. La crisi dei mutui subprime è un monito inascoltato.