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  • Resoconto teleriunione  30 marzo 2021

Fragilità del capitalismo globalizzato

La teleconferenza di martedì sera, presenti 24 compagni, è iniziata con alcune considerazioni riguardo l'incidente avvenuto nel canale di Suez.

L'alveo artificiale navigabile situato in Egitto venne inaugurato nel 1869 e nei decenni successivi subì diversi interventi: fu prolungato, ampliato e reso più profondo, adeguandolo alle nuove navi che lo dovevano solcare. Nel 2010 il percorso del canale viene ancora modificato, portando la sua estensione a 193,30 km di lunghezza, 24 m di profondità e ad una larghezza che varia tra 205 e 225 mt. Suez è fondamentale per il transito delle merci in arrivo dall'Asia e dirette verso l'Europa, perché evita la circumnavigazione dell'Africa nell'Oceano Atlantico.

Nei giorni scorsi la portacontainer Ever Given, un gigante di ultima generazione pesante 200 mila tonnellate circa e lunga 400 mt, si è incagliata nel canale, a pieno carico, sembra a causa di una tempesta di sabbia che ne ha causato l'uscita fuori rotta.

Il 25% delle navi cargo in circolazione, circa il 10% del commercio marittimo internazionale, passa per Suez. La chiusura del canale, secondo Bloomberg, ha portato a una perdita economica globale di 9,6 miliardi di dollari al giorno, con oltre 300 navi in coda in attesa dello sblocco. Immediatamente in seguito all'incidente e al blocco del passaggio, si è verificato un rincaro delle materie prime. La supply chain, o catena di approvvigionamento, è intrinsecamente fragile: basta un collo di bottiglia per rallentare il flusso delle merci e la catena internazionale del valore. Lo rileva anche il Corriere della Sera che, nell'articolo di Massimo Nava "Ever Given, se il lockdown di Suez diventa il simbolo del progresso insostenibile", afferma:

"La Ever Given, il gigantesco cargo incagliato nel canale di Suez, è — come il Covid-19 — un altro drammatico simbolo della fragilità del nostro mondo globalizzato e della nostra dipendenza da sistemi economici e sociali troppo complessi e troppo interdipendenti per essere governati. Bastano un dito nell'ingranaggio, un banale errore umano, un soffio di vento più forte e imprevisto, una tempesta di sabbia, per paralizzare una parte enorme delle rotte commerciali del pianeta. L'incagliamento della Ever Given non è soltanto un caso di cronaca di questi giorni, è il capitolo finale di una storia lunga più di un secolo, cominciata con un'idea ambiziosa di progresso che oggi sconta la grandezza eccessiva di questa ambizione".

Così come ci sono le tempeste perfette in meteorologia, ne esistono di altrettanto perfette e devastanti in economia. La ricerca del profitto fa sì che si limiti accuratamente la voce "spese di manutenzione". Nel filo del tempo "Drammi gialli e sinistri della moderna decadenza sociale", si parte dall'affondamento dell'Andrea Doria (1956) per ribadire che il capitalismo coltiva le catastrofi, a causa della fame di profitto, del risparmio nei materiali e di un'ingegneria piegata alle esigenze del mercato (vedi crollo del ponte Morandi a Genova). Poca prevenzione dunque: le strade, come i ponti e i viadotti, andrebbero sottoposti a manutenzione costante, ma il più delle volte si pensa prima al risparmio che alla sicurezza. Nel caso del canale di Suez, ad esempio, il vento del deserto porta continuamente sabbia e questa dev'essere periodicamente rimossa con lavori di dragaggio.

Oggi, nella costruzione delle immense navi-hotel destinate ai viaggi turistici, lo spazio di immersione viene sacrificato per ottenere il massimo di rendimento (in termini di aumento degli alloggi e delle aree dedicate all'intrattenimento degli ospiti), a scapito del bilanciamento stesso del mezzo. Imbarcazioni di dimensioni e tonnellaggio enormi attraversano pericolosamente la città di Venezia o eseguono azzardati passaggi a filo di costa. Come dimenticare il caso della Costa Concordia, capovolta nei pressi dell'Isola del Giglio. Sono pratiche altamente rischiose, ma anche fortemente attrattive per i turisti.

Al risparmio sul capitale costante si aggiunge il risparmio su quello variabile, con lo sfruttamento massimo della forza lavoro. Il personale marittimo è sottoposto pressoché ovunque a ritmi di lavoro estenuanti, la marina mercantile è uno dei settori lavorativi più deregolamentati. "Per gli armatori, l'essenziale resta garantire la continuità del trasporto delle merci e quindi mantenere a galla la forza lavoro. Ma alcuni marinai sono molto stanchi e sappiamo che la maggior parte degli incidenti in mare sono dovuti alla stanchezza e all'errore umano", afferma la sociologa Claire Flécher, autrice di una tesi sulla marina mercantile ("Marittimi sfruttati e sull'orlo di una crisi di nervi").

Le stesse criticità riguardano la logistica di un'azienda globale come Amazon, che sfrutta la forza-lavoro al massimo spingendola alla ribellione e, un domani, a un possibile blocco multinazionale della produzione. Ultimamente, oltre al primo sciopero nazionale in Italia, l'azienda è stata colpita dalla mobilitazione dei lavoratori delle città indiane di Pune e Delhi, e un'altra, della durata di 4 giorni, è prevista a ridosso delle festività di Pasqua in sei magazzini in Germania.

La fragilità intrinseca del mondo globalizzato d'oggi riguarda quindi molteplici aspetti, ma tutti riconducibili alla degradazione dei grandi sistemi, come scritto da Roberto Vacca nel libro Il medioevo prossimo venturo. Non possiamo ingannare la natura: così disse il fisico Richard Feynman, chiamato a testimoniare sul disastro della navetta spaziale Challenger, tentando di mettere in guardia da un'interpretazione errata della sicurezza dei sistemi complessi. Il sistema rappresentato dall'enorme razzo di spinta, dalla navetta, e dall'equipaggio di sette membri era il più complesso tra quelli progettati fino a quel momento, e la crescita lineare del numero dei componenti aveva prodotto una crescita esponenziale del pericolo di incidenti. In natura la crescita esponenziale raggiunge un "punto di flesso" per poi avviarsi verso l'equilibrio. Ma il capitale aborre l'equilibrio essendo valore in processo, che ha come unico fine la sua valorizzazione.

Diversi parametri della società capitalistica hanno un andamento esponenziale e graficamente possono essere rappresentati con delle linee quasi verticali: si tratta di processi che tendono all'infinito ma che non possono persistere a lungo in un sistema-mondo finito (vedi produzione di rifiuti, deforestazione, ecc.).

Abbiamo quindi affrontato il problema dell'aumento del prezzo delle materie prime, fenomeno irreversibile.

Storicamente, vengono sfruttate prima le aree del pianeta più accessibili e ricche di materie prime, quindi le restanti. E' il campo peggiore che determina il prezzo di quello migliore, e ciò vale anche per i giacimenti petroliferi: man mano che un minerale diventa scarso si vanno a scavare miniere in luoghi che prima non erano economicamente appetibili. Pensiamo al petrolio: i pozzi in esaurimento e quelli di nuovo impianto rendono l'estrazione sempre più costosa. L'indice EROEI (Energy Returned On Energy Invested) indica l'energia ricavata in rapporto all'energia consumata, un coefficiente che, riferito a una data fonte di energia, ne indica la sua convenienza in termini di resa energetica:

"La necessità del capitale di utilizzare sempre più macchine e uomini per produrre sempre più merci ha provocato una corsa a fonti sempre più inefficienti non solo per quanto riguarda la spesa energetica, ma anche l'impatto sull'ambiente e sul lavoro umano. La corsa a nuovi giacimenti e a nuove tecnologie di sfruttamento ha prodotto nel corso dei decenni un decremento dell'EROEI per la media delle fonti utilizzate." ("La grande dissipazione energetica come transizione di fase", rivista n. 31)

L'attuale modo di produzione è altamente dissipativo e determina, su grande scala, il continuo aumento del fabbisogno energetico necessario alla produzione e alla distribuzione delle merci. La fame di energia e di materie prime è un prodotto del processo di valorizzazione del capitale, non certo dei bisogni di specie.

La dottrina "marxista" della rendita conduce direttamente alla condanna del mercantilismo e della distribuzione secondo scambi di equivalenti (Mai la merce sfamerà l'uomo, 1953-54). Fino a pochi anni fa alcuni nostri critici sostenevano che la rendita fosse una questione esclusivamente agricola, superata dallo sviluppo capitalistico di tipo industriale. Avevano preso un grosso abbaglio: non c'è niente di più capitalisticamente moderno della rendita, essa non è che una parte del valore totale prodotto nella società, devoluta al proprietario del fondo. La rendita porta alla morte del capitalismo, perché veicola un drenaggio spietato di capitali a discapito dell'industria e a favore della finanziarizzazione del mondo.

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Rivista n°54, dicembre 2023

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Editoriale: Reset

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