Per entrare nel merito della domanda, possiamo dire che attualmente alla Cina non converrebbe mettersi in una situazione del genere. In generale, come scritto nell'articolo "Dall'equilibrio del terrore al terrore dell'equilibrio", con il collasso dell'Unione Sovietica e quindi con la fine del condominio Usa-Urss, regolatore del mondo capitalistico, sono mutati gli equilibri inter-imperialistici; da allora gli Stati Uniti sono riusciti a mantenere il predominio a livello globale, soprattutto in virtù delle loro 800 basi sparse in giro per il mondo e in buona parte in Europa, ma le sfide geopolitiche che devono affrontare sono molteplici.
In questo conflitto gli attori principali sono Usa, Russia e Cina. Possiamo aggiungere l'Europa, che però non può essere considerata una potenza di egual misura anche solo per il fatto di essere un insieme di stati piuttosto che una vera e propria unione (nonostante si vociferi di un esercito europeo). Tutte le forze elencate (e la Turchia) hanno interessi diretti nella zona chiamata Eurasia. Forse gli Usa non si aspettavano, come sostiene l'ex ufficiale della CIA, che la Russia reagisse in questo modo all'avanzamento ad Est della Nato; o forse invece, facendole compellence, l'hanno costretta ad intervenire militarmente in Ucraina per poi avere un pretesto per contrattaccare. Rimane il fatto che è in corso una guerra per ridefinire i rapporti di forza e gli equilibri inter-imperialistici a livello globale, seppur per adesso la guerra guerreggiata coinvolga un territorio circoscritto.
Questa guerra sta cambiando il mondo. Basti un'osservazione elementare: tutta una serie di paesi occidentali sta armando l'Ucraina. Il conflitto bellico, cominciato un mese fa, ha trovato una sua simmetria. Se consideriamo le relazioni economiche che le soggiacciono, notiamo come le sanzioni sancite contro la Russia non precludono al paese la vendita di gas all'Europa e scambi commerciali con Pakistan, India, Cina, Argentina, ecc. Le simmetrie che si determinano in ambito militare sono il portato di simmetrie più ampie instaurate tra blocchi capitalistici.
In questa situazione, il proletariato è il grande assente?
Dal punto di vista politico esso non ha voce in capitolo sugli avvenimenti, non si esprime come classe per sé. D'altronde, se il proletariato non si oppone alla guerra allora la subisce. Detto questo, ci sono state mobilitazioni contro il carovita in Sri Lanka, Albania, Sudan, Spagna, ecc. La crisi dell'attuale modo di produzione ha una freccia nel tempo ed è destinata ad aggravarsi; le condizioni di vita dei proletari peggiorano e quindi è certo che emergeranno organismi di lotta dei senza-riserve. Il partito rivoluzionario non appare all'improvviso a colmare un vuoto, ma c'è un divenire sociale che lo prepara.
Durante la scorsa riunione abbiamo parlato della crisi delle catene di approvvigionamento. Quanto sta accadendo in Cina, anche se non direttamente riconducibile alla guerra in Ucraina, rientra nel grande subbuglio mondiale che da almeno dieci anni a questa parte sta crescendo e ha visto un'accelerazione con l'emergenza Coronavirus.
La Cina della politica "zero contagi" si sta ritrovando in una condizione simile a quella di Wuhan del 2020, quando è scoppiata la pandemia. Dopo che alcune grandi città nei giorni scorsi sono state messe in lockdown per l'impennata dei contagi, il 28 marzo è toccato a Shanghai e ai suoi 26 milioni di abitanti. Secondo The Economist, gli investitori temono che il paese possa fare la fine di Hong Kong, e cioè che collassi il sistema sanitario e la situazione diventi ingestibile. I numeri cinesi spaventano sia dal punto di vista della tenuta sociale che economica, e non solo del paese asiatico ma del mondo intero dato il volume delle esportazioni. Negli ultimi 2 anni l'economia cinese è cresciuta del 10,5% (rispetto al 2,4% dell'America e allo 0,4% in generale delle economie avanzate), anche grazie alla politica "zero contagi". Ma con l'arrivo di Omicron, variante molto contagiosa, sembra che le ferree misure anti-Covid non funzionino più, perciò il governo cinese si trova di fronte ad un bivio: continuare con i severi lockdown che impongono il blocco della produzione e delle esportazioni; oppure adottare la strategia dei paesi occidentali di "convivenza" con il virus, opzione che nel giro di poco tempo potrebbe portare a milioni di morti e decine se non centinaia di milioni di contagiati. Pechino è di fronte all'alternativa del diavolo. Shanghai e Shenzhen rappresentano il 16% delle esportazioni e il protrarsi di eventuali blocchi avrebbe importanti conseguenze sulle catene di approvvigionamento globali.
In un recente intervento riguardo la situazione economica italiana, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha dichiarato che il peggioramento dovuto a Covid e guerra obbliga a mettere da parte la transizione green perché ora la priorità è la sicurezza energetica del paese (fornitura di gas, diversificazione delle fonti di energia, materie prime). Lo stato di cose determinato dalla pandemia ha portato ad un aumento della miseria a livello globale, tanto che si stima che "oltre 100 milioni di persone torneranno in stato di povertà estrema". Il quadro, ha detto, è talmente complesso e cangiante che le conseguenze economiche, politiche e sociali sono "difficili da prevedere".
La paura delle classi dominanti è che il proletariato passi all'attacco, visto che non ha nulla da perdere e che, nella condizione materiale in cui si trova, non può fare altro. In ampi strati sociali aumenta l'incertezza verso il futuro. Partiti, sindacati e istituzioni perdono credibilità. Il rifiuto dei vaccini che ha coinvolto milioni di persone è il sintomo di un disagio generalizzato, che ha fatto muovere innanzitutto le mezze classi, chi ancora ha guarentigie da difendere in questa società.
Il sistema sta perdendo energia, non ha più vitalità, si sta disgregando. Questa è la chiave di lettura con cui guardiamo a ciò che sta accadendo, come abbiamo fatto per esempio al tempo dell'avvento dei grillini sulla scena politica italiana. Le vecchie strutture politiche stanno sparendo e il loro posto viene occupato da nuove forme di populismo, espressioni di una fase di transizione che è tutto fuorché compiuta.
La teleconferenza si è conclusa con alcune considerazioni sulla rendita, in relazione alla richiesta da parte della Russia di ricevere pagamenti in rubli per le forniture di gas, e alle conseguenti dichiarazioni da parte degli Usa sulla volontà di diventare il primo fornitore di gas in Europa. Per un ripasso della teoria della rendita nel moderno capitalismo segnaliamo due testi della nostra corrente: "Patria economica?" (1951) e "Sottosuolo e monopolio" (1951). Riguardo invece il fenomeno delle criptovalute e il riconoscimento da parte dei russi dei bitcoin come valuta per il pagamento di gas e petrolio, consigliamo l'articolo della rivista "Dimenticare Babilonia". Insomma, come ha detto recentemente il direttore di Limes, viviamo in un mondo accelerato.